Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Ti ricordi del Bahrein? La rivolta araba sedata nel sangue con l'avallo di Washington

Ti ricordi del Bahrein? La rivolta araba sedata nel sangue con l'avallo di Washington

di Dagoberto Bellucci - 28/09/2011

Fonte: dagobertobellucci


Da quando sono cominciate, prima in Algeria e Tunisia poi proseguite in Egitto e Libia, le cosiddette “rivolte” di quella che è stata definita come “la primavera araba” pochi si sono ricordati della situazione del Bahrein.

 

Emirato filo-occidentale del Golfo, il regno del Bahrein  ( in arabo: مملكة البحرين, Mamlakat al-Barayn), rappresenta uno dei principali esempi di colonizzazione indiretta della regione vitale per gli interessi economici della plutocrazia internazionale e, come tale, sottoposto a controllo, più o meno diretto, da parte degli Stati Uniti d’America lunga mano dell’Imperialismo e delle multinazionali del petrolio.

 

Il Bahrein , in arabo il “Regno Dei Due Mari”, è un arcipelago di appena 700mila persone (650.604 secondo il censimento del 2001) con capitale Manama. Uno stato eretto a monarchia assoluta dove la famiglia degli al Khalifa la fa da padrona come nel resto degli emirati del Golfo: l’attuale monarca è Hamad bin Isa al Khalifa, il governo è presieduto da Khalifa bin Salman Alì al Khalifa.

 

Quando scoppiarono i primi disordini, alla fine del febbraio scorso, in Bahrein si registrò l’intervento militare delle truppe della vicina Arabia Saudita.

 

La geopolitica del Golfo è, da ormai ottant’anni, contraddistinta da una rigida chiusura verso qualunque forma di modernità. Il Bahrein, dove si è sviluppata e concentrata una intensa attività bancaria e finanziaria, sembrava essere lo Stato della regione più vicino ai cambiamenti epocali degli ultimi decenni: investimenti stranieri, joint-venture, un elegante e pressoché unico comparto edilizio di nuovi quartieri extra-lusso con la consacrazione di esser diventata una nazione ‘matura’ – secondo le formule imposte dalla Globalizzazione – da quando, alcuni anni fa, incominciò ad ospitare anche il gran premio automobilistico di Formula Uno autentico palcoscenico internazionale del quale andava fiera ed orgogliosa la casa regnante.

 

A rovinare il quieto vivere di questo piccolo emirato sono arrivate le rivolte popolari arabe d’inizio anno: sull’esempio di quanto accaduto in Tunisia ed Egitto anche i giovani del Bahrein scesero in piazza per richiedere cambiamenti costituzionali, più libertà ed il diritto al voto con forme di maggior partecipazione democratica in particolare per la minoranza sciita vessata e temuta dalla casa regnante

Una minoranza , quella sciita, che guarda inevitabilmente verso il gigante persiano che domina l’altra sponda del Golfo e che viene, di fatto, percepita dai Khalifa al potere come sorta di ‘quinta colonna’ interna pro-iraniana.

 

Malgrado l’Occidente , ed in particolare gli Stati Uniti, siano stati obbligati a sostenere le rivolte di piazza arabe e, uno dopo l’altro, veder cadere alcuni dei loro alleati storici (Ben Alì a Tunisi, Hosni Mubarak al Cairo) per quanto riguarda la situazione nel Bahrein gli americani hanno preferito delegare la soluzione ai loro alleati sauditi.

 

L’Arabia Saudita, anch’essa come tutte le altre petrolmonarchie del golfo fortemente a rischio insurrezionale, non ha perso tempo e – forte di un arsenale militare che vede Riad competere nella regione perfino con la potente macchina bellica israeliana (un’inchiesta prodottadal servizio di ricerca del Congresso USA ha reso noto che – con 1,7 miliardi di dollari di acquisti – l’Arabia Saudita è il maggiore importatore di armi di produzione statunitense, seguita a ruota da Egitto e Israele che hanno ricevuto 1,2 miliardi di dollari di armi a testa, mentre l’Iraq ha “solo” 700 milioni di acquisti) – ha inviato le proprie truppe a sedare nel sangue la rivolta sciita.

 

Il tutto nel giro di poche settimane. Agli inizi di marzo infatti le autorità dell’emirato avevano proclamato lo stato d’emergenza per fermare le agitazioni di piazza.

 

Mentre i manifestanti sciiti occupavano, sull’esempio di quanto avvenuto a Tunisi e al Cairo, Piazza della Perla nel cuore della capitale Manama il principe ereditario e capo del governo Salman bin Hamad al Khalifa ordinava il massacro: polizia in assetto anti-sommossa e reparti corazzati dell’esercito in poche ore attaccavano i manifestanti, mentre elicotteri in assetto da guerra sorvolavano la zona.

 

Le riforme promesse dal governo rimanevano ovviamente lettera morta.

 

A decidere la repressione saranno i paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo , organismo monopolizzato dalla potente Arabia Saudita. I sauditi , che fin dall’inizio delle manifestazioni avevano alzato la voce per riportare l’ordine, intervennero massicciamente inviando loro contingenti militari a dar manforte alla repressione attuata con brutalità dalle forze lealiste.

 

 

 

Quando si parla del Bahrein è necessario tenere presente alcune note storiche e religiose: l’emirato è infatti governato da oltre due secoli da una monarchia di fede sunnita. I Khalifa si legarono fin dagli inizi del XIXmo secolo all’Inghilterra prima e agli Stati Uniti poi. La presenza britannica in queste regioni rimonta al 1820 quandola Coronadecise di fare delle isole che oggi conosciamo come Bahrein (in realtà Bahrein è l’isola più grande dell’arcipelago, le altre sono quelle di Muharraq, Sitra, Jidda, Nilah, Un an-Nassan e il gruppo delle Hawar) un proprio protettorato.

 

Raggiunta l’indipendenza il 14 agosto del 1971 il Bahrein resta nelle mani della famiglia Khalifa che per tutto l’Ottocento e gran parte del Novecento aveva funzionato quale dignitario locale degli interessi delle multinazionali del petrolio, inglesi prima americane poi.

 

Storicamente l’arcipelago fu occupato anche dai portoghesi (1521) dai persiani (1602) dagli omaniti (1618 e quindi di nuovo dai persiani (1783) che ne affidarono il governatorato al capo arabo el Haouili alla cui morte subentrarono gli attuali regnanti.

 

All’atto dell’indipendenza (1971) venne varata una costituzione che, almeno formalmente, garantiva l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge e la libertà d’espressione. Inizialmente fu anche creata un’Assemblea Nazionale che doveva funzionare come un parlamento espressione delle volontà popolari ma, con un atto di forza, sarà sciolto soltanto quattro anni più tardi (1975) dall’emiro che rivendicò a sé i pieni poteri.

 

Problema nel problema è quello confessionale: il Bahrein infatti ha una popolazione che al 70% è composta da sciiti in passato, fino almeno alla metà anni Novanta, attivi anche attraverso la costituzione di un’organizzazione di resistenza locale nota come Fronte Popolare di Liberazione del Bahrein che i Khalifa sostennero finanziato da Teheran.

 

 

Nell’area del Golfo, l’arcipelago riveste dunque un’importanza notevole per quanto riguarda gli assetti strategici e gli equilibri geo-politici, confessionali e militari che oppongono da sempre i due giganti del Golfo (Iran ed Arabia Saudita); importanza ancor più determinante se si considera che il Bahrein è fra i più ricchi produttori petroliferi ed ospita una base militare americana sul proprio territorio.

 

Ecco spiegata la decisione , e la fretta, con la quale Riad ha deciso di stroncare pressoché sul nascere la rivolta dei giovani sciiti di Piazza della Perla ed inviare suoi contingenti militari a sostenere la repressione: i sauditi temendo un cambio di regime a loro sfavorevole – che avrebbe provocato senz’altro una maggiore influenza iraniana sull’arcipelago – hanno giocato d’anticipo con l’avallo, più o meno indiretto, dei loro protettori americani che, se ufficialmente non hanno ‘benedetto’ la repressione condotta da truppe lealiste e saudite, sicuramente non hanno fatto niente nemmeno per impedirla.

 

 

A levare la voce contro la brutale repressione fu, all’epoca, la sola televisione di Stato iraniana ed il governo di Teheran che rilevava l’assoluta ipocrisia che contraddistingue la politica vicino-orientale degli Stati Uniti e dell’Occidente.

 

Mentre infatti Washington ed i suoi alleati europei premevano per incitare i siriani a ribellarsi contro il loro governo, nulla dicevano e tantomeno facevano per fermare l’azione congiunta dell’esercito dei lealisti e quello saudita i quali in poche ore riportavano ordine e calma limitando così i danni.

 

Così aveva deciso il Consiglio di Cooperazione del Golfo, così aveva stabilito la casa regnante dei Saud di Riad, così soprattutto stava benissimo agli Stati Uniti ed alle potenti multinazionali del petrolio.

 

Simbolicamente a voler ribadire che il pugno di ferro era stato utilizzato e la rivolta definitivamente sedata il 18 marzo scorso le truppe fedeli alla monarchia distruggevano il monumento posto al centro della Piazza della Perla che per circa un mese era diventato il luogo simbolo della rivolta di piazza.

 

All’epoca il segretario di Stato USA, Hillary Clinton, cianciava ai quattro venti e davanti a tutte le televisioni americane di ‘libertà’ e democrazia per il mondo arabo: parole, semplici, vuote parole.

 

Ricordiamo come la stessa Clinton avesse ammonito il Bahrein ed i suoi alleati di non proseguire sulla strada della repressione richiedendo al governo di aprire un negoziato ed intavolare un dialogo con gli oppositori.

 

Ovviamente una volta ripristinato l’ordine manu militari a Manama nessun’altra dichiarazione proveniente dal Dipartimento di Stato USA sulla situazione in Bahrein è stata registrata negli ultimi sei mesi….tutto va bene ciò che finisce bene (soprattutto per gli interessi a stelle e strisce).

 

Questa è la politica ‘double-face’ degli americani:  Nessuna novità anzi casomai solo conferme…perché , per dirla con l’ex segretario di Stato Henry Kissinger “quello è un figlio di puttana certo, ma è il nostro figlio di puttana”…

 

E i Khalifa sono rimasti tranquillamente al loro posto….