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Bahrein: l'Occidente, il traffico di armi e la repressione della rivolta Sciita a Manama

di Dagoberto Bellucci - 03/11/2011

Fonte: dagobertobellucci


 

 

 

 

Il Bahrein simbolicamente sintetizza quello che rappresentano nella regione del Golfo, geopoliticamente e strategicamente vitale per l’economia mondiale, le cosiddette petrolmonarchie arabe o, per utilizzare la splendida espressione del compianto Imam Sayyeed Ruhollah al Musawi al Khomeini – fondatore della Repubblica Islamica dell’Iran – ; “l’Islam americano” funzionale alle logiche di sfruttamento capitalistico-consumista del Grande Satana a stelle e strisce.

 

Con i suoi 650mila abitanti (censimento del 2001) il Regno del Bahrein rappresenta uno dei maggiori alleati degli Stati Uniti nella regione, ospita una base militare americana ed è tra i paesi arabi in subbuglio dall’inizio dell’anno uno dei più a rischio a causa della mancanza di libertà costituzionali fondamentali e di un sistema di potere feudale ed oppressivo che ruota attorno alla monarchia dei Khalifa.

 

Dopo il crollo dell’impero ottomano, nel 1916 l’emirato del Bahrein diventò un vero e proprio protettorato britannico fino a quando, quarant’anni fa (1971), non ottenne la definitiva “indipendenza”: una indipendenza formale perché, di fatto, il giovane regno diventerà una succursale per le politiche imperialiste statunitensi.

 

L’assetto istituzionale del nuovo regno venne formalmente disciplinato dalla Costituzione del 1973: il 27 agosto 1975 la stessa venne “sospesa temporaneamente” e, a tutt’oggi, quelle che dovevano essere le garanzie di libertà di stampa e d’opinione ed un certo pluralismo nella vita politica furono cancellate.

 

Da allora la situazione politica non è mutata: la casa regnante dei Khalifa, di religione sunnita, governa con il pugno di ferro e attraverso gli aiuti militari di USA e Arabia Saudita una popolazione che, in maggioranza (70%), appartiene alla confessione sciita e guarda al vicino iraniano.

 

Lo scorso marzo l’attuale sovrano del Bahrein, Haman bin Isa al Khalifa, ha represso nel sangue la rivolta popolare che chiedeva maggiori libertà ed una nuova costituzione; da otto mesi nell’emirato vige lo stato di emergenza che ha significato per l’opposizione sciita – concentrata principalmente nell’isola di Sitra – una serie di misure cautelari con fermi di polizia, arresti e l’apertura di diversi procedimento penali contro diversi suoi esponenti.

 

Il sovrano ha accusato apertamente l’Iran di essere il principale ispiratore delle proteste del febbraio-marzo scorsi ; in realtà non soltanto non esistono prove in questa direzione ma, soprattutto, la protesta civile degli sciiti puntava soprattutto ad ottenere alcune riforme di carattere economico e libertà costituzionali fino ad oggi negate.

 

La rivolta popolare , che vedrà migliaia di cittadini manifestare pacificamente a Piazza della Perla nel cuore di Manama – la capitale – ; sarà repressa brutalmente dalle forze di polizia del sovrano: il 14 febbraio scorso tutti i membri del partito Al Wefaq – il principale movimento dell’opposizione sciita del paese – si erano dimessi per protesta dal Consiglio dei Rappresentanti (il parlamento nazionale).

 

Nei mesi seguenti e fino al 17 luglio scorso i negoziati tra la monarchia e le delegazioni di Al Wefaq era proseguiti con l’obiettivo di promuovere una piattaforma comune di riforme e ridisegnare i collegi elettorali che consentissero anche all’opposizione sciita una maggior rappresentanza in parlamento.

 

Da allora nel paese sono riprese le proteste e con esse la repressione.

 

La situazione nel Bahrein sta diventando, per gli sciiti, sempre più insostenibile come hanno riportato anche le organizzazioni internazionali che si occupano dei cosiddetti “diritti umani” violati.

 

Eppure nessuno parla del Bahrein.

 

Mesi e mesi di inondazione delle prime pagine dei quotidiani di tutto il pianeta dedicate alla situazione dell’Egitto, poi a quella della Libia e oggi alla Siria ma tutti si sono completamente dimenticati di quanto accade in questo piccolo regno ed il motivo di questo silenzio appare più che comprensibile: dietro alla monarchia degli al Khalifa si muovono gli interessi della politica americana e quelli delle grandi multinazionali del petrolio.

 

A marzo fu l’esercito saudita che intervenne per reprimere le rivolte e dar manforte al suo alleato.

 

 

 

Nessuno osò criticare quell’azione militare giustificata da Riad come una questione di “interesse nazionale” e avallata da Washington che ovviamente ha dato via libera ai suoi alleati sauditi per agire.

 

L’America sostiene il terrore instaurato in tutto il Golfo dalle intolleranti e ricche monarchie familiari che da decenni rappresentano l’Islam “americano”: finanziamenti per milioni di dollari in armamenti, addestramento militare per le forze di polizia e per i servizi segreti e sostegno diplomatico incondizionato presso le Nazioni Unite sono il ‘dazio’ che Washington paga annualmente per mantenere in piedi questi Stati-fantoccio.

 

In cambio l’America ottiene per le sue compagnie petrolifere prezzi di favore e basi militari utili, all’occorrenza, per scatenare nuovi conflitti in tutto il Vicino Oriente.

 

Perfino l’organizzazione mondialista che si occupa di denunciare i diritti umani su scala globale, la nota Amnesty International, in un rapporto di 100 pagine intitolato “Trasferimenti di armi in Medio Oriente e Africa del Nord: le lezioni per un efficace trattato sul commercio di armi” ha sottolineato la stretta relazione tra Washington ed i regimi arabi cosiddetti “moderati”: dal 2005 fino ad oggi sarebbero state vendute armi, gas lacrimogeni e veicoli blindati per un valore di 2,4 miliardi di dollari a quelle stesse nazioni (Bahrein, Egitto, Libia, Siria e Yemen) interessate dai principali movimenti di protesta.

 

Escludendo la Siria, sostenuta militarmente dalla Russia, nei traffici di armi diretti in Bahrein, Egitto, Yemen e Libia figurano gli Stati Uniti ed i loro principali alleati europei ( nell’ordine Austria, Belgio, Bulgaria, Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Repubblica Ceca).

 

Nel solo Egitto del tiranno Hosni Mubarak le aziende americane hanno esportato equipaggiamenti per le forze di polizia ed i servizi di sicurezza dell’ex rais per un valore di 1.3 miliardi di dollari.

 

Dieci invece le nazioni (tra le quali Belgio, Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Russia e Spagna) i cui governi hanno, a partire del 2005, venduto armamenti ed equipaggiamento alla Libia di Gheddafi fra cui le famigerate munizioni a grappolo di provenienza spagnola rinvenute a Misurata dopo gli attacchi dell’aviazione libica.

 

Armi vietate dalla Convenzione sulle cluster bomb firmata dal governo Zapatero.

 

Nel solo 2009, dal suddetto Rapporto di Amnesty, la fabbrica d’armi ‘Pietro Beretta’ avrebbe venduto a Tripoli armi leggere per un valore di 11,9 milioni di dollari contrassegnando la spedizione come “materiale non militare” ed evitando così il controllo del Ministero degli Esteri di Roma.

 

Mentre ‘Amnesty International’ denunciava questa situazione il dipartimento della difesa americano presentava al Congresso una proposta per la vendita al Bahrein di missili e mezzi corazzati per un valore di 53 milioni di dollari.

 

Gli Stati Uniti, qualora il Congresso ratificherà questa proposta, sarebbero il primo Stato a vendere armi all’emirato degli al Khalifa dopo la repressione del marzo scorso.

 

Dure le critiche da parte delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani: Maria Mc Farland, responsabile a Washington di ‘Human Right Watch’, crede che quella del governo americano sia stata “esattamente la mossa sbagliata, dopo la dura repressione del Bahrein sui manifestanti” e “sugli oppositori politici”. “Sarà davvero molto difficile per tutti” continua la McFarland“prendere seriamente una dichiarazione degli Stati Uniti su democrazia e diritti umani in Medio Oriente quando sembra premiare la repressione con nuove armi” ha concluso l’esponente della ong.

A quanto riferito da fonti ufficiali interne al Dipartimento USA nella bozza presentata al Congresso si prevede la vendita di tutto l’armamentario necessario per la repressione del dissenso ed in particolare le truppe dell’emirato si doterebbero di missili intelligenti, lanciamissili, mezzi corazzati di ultima generazione oltre ad un addestramento di alto livello per rendere autonome le forze di sicurezza dell’emirato.

L’America di Obama punta dunque a reprimere il dissenso e mettere il silenziatore alla voce già flebile dell’opposizione nel Bahrein dimostrando una volta di più la politica dei “due pesi due misure” che da sempre contraddistingue le amministrazioni americane: da un lato il pieno sostegno agli alleati qualunque sia la loro natura e qualsiasi mezzo utilizzino per mantenersi al potere; dall’altro lato complotti e sedizione contro quei governi che avversano le politiche imperialiste statunitensi.

Ricordiamo come il governo del Bahrein oltre a non essersi fatto alcuno scrupolo di utilizzare l’esercito contro i manifestanti, ad aver richiesto l’aiuto militare del vicino saudita, ha anche continuato a reprimere sistematicamente ogni forma di dissenso: ad oggi sarebbero migliaia le persone arrestate, oltre 2500 tra medici, infermieri, avvocati ed insegnanti sarebbero stati licenziati in tronco dai loro posti di lavoro perché “sospettati” di aver preso parte o sostenuto la protesta mentre a quanto emerge da non poche testimonianze oculari sarebbe ordinaria la tortura all’interno delle carceri del regno dei “due mari”.

Washington ha chiuso un occhio, anzi due, ieri lasciando via libera alla repressione. Oggi intende armare una volta di più la mano dei criminali di Manama.

Tra le “motivazioni” ufficiali che spingono il Dipartimento di Stato a richiedere al Congresso l’approvazione della proposta sulla vendita di armi al Bahrein ci sarebbe quella che “l’emirato rappresenta una importante forza per la stabilità politica ed il progresso economico del Medio Oriente”….con buona pace dei tanti inutili proclami obamiti sui “diritti umani”, le “libertà”, la “democrazia” eccetera eccetera…

Mentre la grancassa dei mezzi di (dis)informazione del Mondialismo continua a sbraitare di sanzioni contro la Repubblica Araba Siriana e nelle redazioni dei principali quotidiani internazionali si sprecano fiumi d’inchiostro per accusare il governo di Bashar el Assad di “crimini contro l’umanità”; mentre ci si è ben presto dimenticati della atroce fine che è stata riservata al leader libico Muhammar Gheddafi e si chiudono anche qui entrambi gli occhi sulle violenze ed i crimini commessi dai cosiddetti “ribelli” del CNT (Consiglio Nazionale di Transizione libico) e si osserva più o meno indifferenti la situazione egiziana e quella tunisina nessuno si preoccupa di denunciare la repressione che, silenziosa ma costante, prosegue nel Bahrein.

La politica estera statunitense sempre più simile alla fattoria degli animali di Orwell….

Evidentemente anche per Washington “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri”…

L’America sempre più ipocrita e sempre più nemica delle aspirazioni d’indipendenza e libertà delle nazioni.