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Palestina, il nuovo muro è all’Onu

di Mario Braconi - 11/11/2011

 
    


“A meno che i Palestinesi non abbiano un asso della manica che non hanno mostrato fino ad ora, ci aspettiamo che rinuncino alla corsa al riconoscimento dello stato di paese membro presso il Consiglio di sicurezza; con la certezza di avere nove voti a favore, si affronta la votazione, altrimenti si lascia perdere”. Così si è espresso un diplomatico presso le Nazioni Unite, sentito nella notte (pomeriggio negli Stati Uniti) dal Wall Street Journal. Benché il verdetto finale del Comitato di Ammissione (MAC) sia atteso per domani, un documento “riservato” delle Nazioni Unite fatto filtrare alla stampa sembra confermare che non vi sia alcuna speranza di raggiungere al Consiglio di Sicurezza i voti necessari.

Gli Stati Uniti, che hanno fieramente e apertamente osteggiato l’iniziativa palestinese fin dall’inizio, possono cantare vittoria. Il loro obiettivo immediato era infatti impedire alla ANP di andare al voto al Consiglio di Sicurezza: se infatti Abbas fosse riuscito a coagulare attorno al suo progetto almeno nove voti del Consiglio di Sicurezza, gli USA avrebbero dovuto abbandonare le pressioni diplomatiche sui membri dei suoi stati membri per passare alle maniere forti. Ovvero al veto, cui si sono detti pronti in svariate occasioni ufficiali.

Senza il nono voto al Consiglio di Sicurezza, i palestinesi rinunceranno in partenza ad esporsi ad un fallimento clamoroso, mentre gli americani avranno sventato l’ennesimo tentativo di operazione politica non conforme ai propri diktat: il tutto senza “sporcarsi le mani” con un’iniziativa come il veto, particolarmente onerosa politicamente specie in tempi di (sfiorite) primavere arabe.

Il lavorio americano ai fianchi degli altri Paesi ha prima dissuaso la Colombia e poi, evidentemente, anche la Bosnia: i Palestinesi infatti non sono riusciti ad “convincere” il nono Paese dopo aver portato dalla propria parte, già diverse settimane fa, Russia, Cina, India, Sud Africa, Brasile, Libano, e perfino i tentennanti Nigeria e Gabon. Non stupisce che l’atteggiamento americano nei confronti della questione sia smaccatamente pro-Israele, vale però la pena rilevare l’ignavia delle diplomazie europee.

La Germania condivide pienamente le posizioni degli Stati Uniti ed è quindi apertamente contraria all’iniziativa palestinese: nel suo discorso del 26 settembre alle Nazioni Unite, l’ambasciatore tedesco presso le NU ha detto: “Non voglio che vi sia alcun dubbio: la sicurezza di Israele è interesse nazionale per la Germania. Non vi sarà pace senza sicurezza in Israele. Colloqui di pace tra israeliani e palestinesi sono possibili. E’ possibile la prospettiva di due nazioni che vivano fianco a fianco in pace. Ma ci possiamo arrivare solo attraverso i negoziati”. Sembrano le parole dell’ambasciatore americano…

Nella serata dello scorso giovedì anche Gran Bretagna e Francia, due dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, hanno fatto sapere che si asterranno. I diplomatici francesi, che pure hanno votato a favore dell’ammissione della Palestina all’UNESCO e che comunque stanno lavorando con i palestinesi a una “fase due” del progetto (il passaggio all’Assemblea Generale), hanno dichiarato di essere di fatto costretti a questa mossa dalla promessa americana di esercitare il veto in caso di votazione.

Questa la dichiarazione di Romain Nadal, portavoce del Ministro degli Esteri francese: “E’ indiscutibile la legittimità del desiderio dei palestinesi di avere uno stato. Ma la richiesta palestinese non ha nessuna speranza di arrivare ad alcunché al Consiglio di Sicurezza, soprattutto per l’opposizione ufficiale americana”. Tale giustificazione dimostra che sostegno della causa palestinese da parte dei francesi è tiepido e che non potrà mai spingersi fino ad un “confronto finale” con gli Stati Uniti al Consiglio di Sicurezza.

Più contorto il ragionamento politico dei britannici: il Ministro degli esteri britannico William Hague, nel suo discorso al Parlamento di ieri ha dichiarato: “Non voteremo contro la richiesta palestinese perché riconosciamo i progressi fatti dalla leadership palestinese per ottenere l’idoneità ai requisiti richiesti. D’altra parte, non possiamo votare a favore, dal momento che il nostro obiettivo principale resta quello di ritornare ai negoziati condotti dal Quartetto e di fare in modo che essi abbiano successo. […] Anche se i criteri sono soddisfatti lo Stato palestinese non sarebbe in grado di funzionare come un vero stato.”

Dunque la partita sarebbe chiusa prima ancora di iniziare? Non sembra proprio, visto che il Ministro degli Esteri Palestinese, Riad Malki, nel riconoscere il fallimento della prima iniziativa si dimostra pugnace e per niente rassegnato: “Sapevamo che andare al Consiglio di Sicurezza non sarebbe stato un picnic”, ha dichiarato ad Associated Press. “Ma la cosa più importante è chi vincerà il round finale. Ci saranno altri match e noi non disperiamo”. E infatti, i diplomatici palestinesi stanno scaldando i motori per una seconda iniziativa, la votazione davanti all’Assemblea Generale per ottenere una promozione dello status da “osservatore permanente” ad “osservatore permanente non membro”.

La Palestina, infatti, è attualmente uno "non-state observer", che è cosa diversa dagli Stati "non-membri" dell'ONU e dispone di un ufficio permanente nel Palazzo di Vetro, come la Santa Sede. La mossa tattica è dunque questa: "accontentarsi" di una Risoluzione che gli garantisca il pieno riconoscimento di "osservatori" nella Assemblea. In quel contesto non è previsto il veto e l’ANP ha praticamente una vittoria in mano, considerando che sono ben 120 i paesi che hanno riconosciuto la Palestina in base ad accordi bilaterali.

Cambierebbe dunque lo status da "missione di osservatore permanente" a "Stato osservatore permanente non membro". Israele é furibonda con Sarkozy e si capisce. Se la mediazione francese andasse in porto, per i palestinesi significherebbe passare da “entità” a “Stato non membro”; in questo modo farebbero un passo avanti verso la nascita del loro Stato aggirando il veto americano, e potrebbero - appunto in questa veste - chiedere alla Corte Penale Internazionale di aprire inchieste formali sui crimini di guerra israeliani, in passato sempre negate. Un primo colpo di piccone per abbattere il muro.