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Strategia di un golpe

di Fabio Falchi - 14/11/2011


Strategia di un golpe

Parecchi mesi fa avevamo scritto che «nel “Circo Occidentale” c’è [...] posto per tutti e quindi si può immaginare che uscito di scena il “Nanopagliaccio”, che tanto fa ridere gli gnomi della “City”, dovrà esibirsi il popolo italiano. E dovrà pure pagare il biglietto. Vae victis dicevano i Romani, ma gli italiani pare che si siano dimenticati anche di questo». Non avevamo previsto i dettagli, ma la “tendenza fondamentale”, insieme agli “amici” del blog “Confitti e Strategie”, l’avevamo prevista. Perciò non ci soprende il golpe finanziario. E che si tratti di golpe è innegabile, indipendentemente da quel che sostengono i gazzettieri al soldo del Cavaliere, dacché non si è sconfitto quest’ultimo con idee e programmi, ma grazie ad una “modifica” della Costituzione, imposta “dall’alto” e in base a cui la Repubbllica italiana non è più fondata sul lavoro, ma sui “mercati”. E tutto, o quasi, è avvenuto alla luce del sole. Nessun “complotto”, nessuna riunione notturna nei sotterranei della Bce o della Casa Bianca. I “mercati” infatti seguono “logiche di potere”, che solo mediante un nuovo paradigma geopolitico pare possibile rilevare e comprendere. Sebbene non sia affatto casuale che, come si legge in un articolo di “MF”, sia stata la Goldman Sachs ad innescare l’ondata di vendite di Btp, quel che veramente conta è il tipo di relazione che articola il sistema finanziario (e il capitalismo è in primo luogo una relazione – non una “cosa” – che non si vede né si tocca, ma che iè indubbio che sia “reale”). Relazione strategica, che discrimina tra quel che è possibile fare e quel che non è possibile fare, e che si può mettere in discussione solo se si è grado di agire con coerenza strategica e capacità di comando, controllo e comunicazione.

Coerenza e capacità di cui il Cavaliere ed i suoi ministri hanno provato di essere del tutto privi. Al punto di non capire non solo che l’aggressione alla Libia segnava una svolta nei rapporti di forza in Occidente, ma che il governo del Cavaliere non si sarebbe potuto “salvare”, tradendo la Giamahiria. E adesso, “caduto” il Caimano, gli italiani devono accettare, volenti o nolenti, una dittatura commissaria, il cui compito principale è assicurare che l’Italia obbedisca ai “mercati” e si dimentichi la Russia e il Mediterraneo, dacché giri di valzer non possono essere più tollerati e nessuno è indispensabile. Del resto, si è solo all’inizio di una fase storica che probabilmente riserverà non poche sorprese. La Libia lascia il posto alla Siria ed all’Iran, e la Russia è ancora un nemico temibile (forse perfino più della Cina, almeno nel breve periodo) per l’oligarchia atlantista, potendosi “saldare” ad un’Europa che cercasse di liberarsi dei “vincoli occidentali”, per guadagnare “nuovi spazi”non con le armi, ma con la politica, la diplomazia, i commerci e gli scambi culturali e scientifici. Perciò, se è la Germania che fa la differenza in Europa (una Germania il cui nanismo politico e la cui miopia strategica sembrano “portare acqua al mulino” dell’atlantismo e possono essere letali per i Paesi dell’Europa meridionale), divisa quest’ultima in due diverse categorie, i maggiordomi (ché tali sono) e i camerieri, vi è sempre la possibilità per i “mercati” di lanciare altri attacchi e di provocare altri “terremoti”, casomai fosse necessario, ché “questa Europa”, priva del “pugno corazzato” del politico, non è assolutamente in grado di fare quella riforma del sistema finanziario, senza la quale ben difficilmente si potrà evitare il ripetersi di altri “terremoti”. In ogni caso, tutti i discorsi sul default, il debito, la crescita etc. sono chiacchiere, anche se “sofisticate”, se non si prende in esame che, caduta l’Urss, è cominciato un altro conflitto mondiale (che non si può escludere che diventi una vera e propria guerra) e che, per non perderlo, è necessario avere il controllo politico e militare dell”Europa. Un obiettivo non impossibile, anche perché la vecchia, ma non antiquata, strategia del divide et impera, paga sempre e paga bene.

 

In quest’ottica, il capitale finanziario pare svolgere due diversi ruoli anche se complementari. Da un lato, diffonde il “verbo” liberista, “irreggimenta” i sistemi politici e trasforma i cittadini in una massa di “dipendenti” (siano creditori o debitori) di un apparato autoreferenziale, che funziona secondo regole immanenti, di modo che nessun movimento sociale o politico costituisca una minaccia seria per il sistema. Dall’altro, è esso stesso uno “strumento” mediante il quale si possono rafforzare o conquistare “posizioni dominanti” nello scacchiere internazionale. Una concezione economicistica ha pertanto il grave difetto di ignorare quest’ultimo aspetto, che è quello “decisivo” anche per contrastare l’azione dell’atlantismo sul piano sociale. In sostanza, finché si bada solo alla questione della “speculazione” (che naturalmente esiste) e della mancanza di fiducia dei “mercati” nei confronti di un determinato Paese, senza chiedersi quali siano le ragioni geopolitiche che “orientano i mercati”, si inverte il rapporto tra il fine – vale a dire il dominio/controllo della “massa eurasiatica”, secondo un progetto di egemonia mondiale in chiave antirussa e anticinese; che implica certamente pure un ampliamento, potenzialmente illimitato, della sfera d’azione del “mercato” in ogni ambito sociale, culturale e perfino “antropologico”, tramite tecniche di manipolazione vieppiù “invasive”) ed i mezzi (armi, media, denaro etc.). Di fatto, il funzionamento dei ” mercati” dipende da centri di potere (lobby sioniste incluse) in relazione/competizione tra di loro, ma secondo un “ordine politico”, imperniato sulla prevalenza strategica dell’unica superpotenza rimasta (i cui interessi non coincidono certo con quelli del popolo americano) ed i suoi maggiori e più fidati alleati (Israele e Gran Bretagna), nonostante le “tensioni” e le differenze tra i membri stessi del gruppo dominante. Sicché, pare logico che anche la lotta politica e sociale nei diversi Paesi europei possa essere del tutto subordinata (ed è questo il caso dell’Italia) ad “imperativi di sistema”, allorquando si devono ridefinire gli equilibri tra “alleati” in vista di una “sfida globale” , che nei prossimi anni non potrà che essere ancora più impegnativa e complessa.

Si può allora affermare che il nostro Paese paga il fatto di non essere stato capace di “governare” il cambiamento sociale né di “implementare” un piano strategico di sviluppo (non solo economico) che tenesse conto, avendo di mira l’interesse nazionale, dei mutamenti che stanno ridisegnando la mappa geopolitica mondiale. Una debolezza sfruttata assai bene dai nostri “alleati”, sia pure con il concorso di diverse quinte colonne, che dovranno essere ben ricompensate. Ma ovviamente con i soldi e i sacrifici della maggior parte degli italiani. Termina così un “ciclo”, che si è iniziato con la famosa riunione a bordo del panfilo Britannia (e dovrebbe essere chiaro che non è l’evento in sé che rileva, ma piuttosto il suo significato politico), tanto che, in questi ultimi due decenni, berlusconismo e antiberlusconismo nient’altro sono stati che la classica foglia di fico che ha impedito ai più di vedere che cosa realmente bolliva in pentola. Una volta commissariato il Paese, la resistenza che si può opporre ai “mercati” è minima. Inutile illudersi: il polo strategico del Paese rischia di essere “(s)venduto” e la macelleria sociale è “dietro l’angolo”. Inoltre, “stando così le cose”, la protesta o addirittura le rivolte, se ci saranno, probabilmente non serviranno a nulla; anzi potrebbero giustificare ulteriori giri di vite. L’Italia, accecata da un antiberlusconismo demenziale e al tempo stesso resa incapace di intendere e di volere dopo vent’anni di berlusconismo, è finita in un vicolo cieco, senza nemmeno cosiderare che, se in America Latina sono i militari che fanno i golpe, in Europa li fanno meglio i tecnocrati. Anche se gli uni e gli altri tutelano gli interessi di un sistema di potere le cui regole, di necesssità, sono l’effetto dei rapporti di forza tra i diversi “attori geopolitici” e delle loro scelte strategiche. Di conseguenza, la lezione da trarne dovrebbe essere non che gli Stati nazionali non contino più nulla (altrimenti non ci sarebbe bisogno di fare i golpe), bensì che un Paese europeo non può che essere sovrano nei “limiti” di un “grande spazio” continentale (e mediterraneo), al fine di poter contrastare efficamente il mondialismo dell’oligarchia atlantista. L’Italia paga anche quindi il fallimento geopolitico dell’Europa, di quel Vecchio Continente che, riflettendo sulle condizioni del nostro Paese, forse sarebbe opportuno che si rammentasse di una famosa frase di Orazio: «De te fabula narratur».