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Mario Monti: uomo di GoldmanSachs, del Gruppo Bilderberg e della Trilateral Commission.

di Claudio Moffa - Federico Dal Cortivo - 15/11/2011

Fonte: europeanphoenix

 

D: Prof. Moffa, alla fine Berlusconi ha dovuto gettare la spugna di fronte all’attacco concentrico del potere finanziario anglosassone, della BCE e del FMI: al suo posto arriva Mario Monti, classe 1943, economista e ora anche senatore a vita di fresca nomina, uomo di GoldmanSachs, del Gruppo Bilderberg e della Trilateral Commission. Lei che ne pensa?

R: Penso innanzitutto due cose: la prima riguarda il ruolo dei mass media e dei poteri economici nella caduta del governo Berlusconi. Venerdì ho visto il servizio di Matrix da Piazza Colonna, con gli invitati davanti alla facciata di Palazzo Chigi. Due politici, Napoli del Pdl e una senatrice del PDL pro-montiana, affiancati dai due convinti sostenitori extraistituzionali della transizione: a sinistra la voce dei mass media, con Massimo Franco del Corriere della Sera, a destra Abete, che facendo eco agli attacchi della Marcegaglia e ai ricatti della BCE, insisteva – come del resto il giornalista - sui tempi da rispettare, che bisognava far presto, che alle 8 e 30 di lunedì – prima dell’apertura delle Borse - Monti doveva già essere da Napolitano con la lista dei ministri. Sabato sera invece ho sentito, tra una battuta e l’altra di Fazio e Floris, il discorso del direttore de Ilsole-24ore di Roberto Napoletano, che ha dato senza troppi complimenti la linea al Parlamento tutto, invitando Berlusconi a far sì che il PDL finisca per appoggiare Monti:  toni e contenuti  mi hanno ricordato l’editoriale di Scalfari nel 1992, all’indomani dell’attentato mortale a Falcone. Era anche quello un diktat: parlamentari basta, non sapete far nulla, dovete votare presidente o Spadolini o Scalfaro. E fu Scalfaro. Un minigolpe istituzionale, visto che fino a poco giorni prima era Andreotti il papabile per il Quirinale. Oggi si ripete lo stesso scenario, al posto del terrorismo delle bombe c’è quello delle borse, al posto della forzatura solo mediatica per un presidente “diverso” e “nuovo”, c’è la doppia forzatura – il martellamento mediatico e il pushing extracostituzionale del Presidente della Repubblica – segnale di una progressiva perdita dell’autonomia della Politica rispetto ai poteri forti, finanziari e mediatici in questo scorcio di secolo.

D: Ma anche Napolitano ha l’imprinting dei partiti della prima Repubblica, anzi del più grande e forte partito di massa postbellico. Come si spiega che il Presidente della Repubblica – un ex comunista pentito - abbia assunto il ruolo di quinta colonna degli interessi extranazionali e statunitensi in Italia?

R: E’ vero, e non è un caso che in questi giorni Napolitano è stato ricordato polemicamente da alcuni come l’ex comunista sostenitore della repressione della rivolta ungherese del 1956. Ma credo che il Napolitano di oggi non esprima una vera continuità con il vecchio PCI stalinista e neppure togliattiano, quanto piuttosto con le profonde trasformazioni da esso subite nel corso degli anni Ottanta, parallelamente alla mutazione genetica generale del mondo comunista e socialista in quell’epoca. L’Urss brezneviana che si trasforma grazie a Gorbaciov nella Russia di Eltsin e della sua famiglia finanziaria, l’Internazionale socialista che vede crescere al suo interno la componente filo sionista, la stampa social comunista che priva del sostegno finanziario di Mosca, scompare (Paese sera e l’Ora: al di là di vicende specifiche dei due giornali ) cambia proprietà (l’Unità finisce nelle mani dell’Amro olandese e vede tra i suoi direttori Furio Colombo) e comunque perde terreno a vantaggio della catena debenedettiana di Repubblica e de l’Espresso. Anche all’estero accadono processi simili, con lo sviluppo impetuoso delle grandi reti mediatiche “progressiste” e finanziarie che sul piano internazionale guideranno la campagna antiberlusconiana dagli anni Novanta ad oggi, o con casi minori ma significativi: come Le monde diplomatique che dopo la direzione del “filosovietico” Julien passa nelle mani della solita cooperativa, guidata nello specifico dal solito ex deportato dei lager e comincia a parlare bene del  “diritto di ingerenza umanitario” ben usato nella guerra contro la Jugoslavia. Napolitano è tutto interno a questo processo. Interno a quello più generale che a destra, ad esempio, genererà Fiuggi: il Capo dello Stato è in pratica – lui dirigente minore del PCI rispetto ad altri leaders storici di Botteghe oscure – una creatura di Repubblica di Scalfari, che negli anni Ottanta lo promuove con le sue interviste, come avrebbe fatto con Prodi più tardi. E dunque ecco che, oggi, egli è l’ex comunista non conflittuale con l’onda neotangentopolista che ha costretto Berlusconi a dimettersi, ma pienamente coerente con essa, fino tracimare rispetto alle sue funzioni costituzionali.

D: Qualcuno ha parlato di colpo di stato …

R: Il termine è sbagliato se si pensa ai classici colpi di stato militari. Ma c’è del vero se si considera che ormai quell’epoca è finita e che – come mi è capitato di dire altre volte – oggi i colpi di stato li fanno i magistrati e i mass media, di gran lunga più potenti dei partiti politici postbipolari cosiddetti “leggeri”, che ormai hanno perso le loro caratteristiche militanti di massa. Sorretto dalla catena debenettiana e dal TRG3, Napolitano ha così forzato i tempi della crisi, nominando senatore a vita Monti secondo una tempistica ultronea ovvero inopportuna rispetto alle motivazioni meramente “culturali” espresse dall’art. 59 della Costituzione, e con il fine evidente di candidare l’economista della Goldman Sachs e della BCE alla guida del governo, ancor prima di aver consultato i partiti della maggioranza uscente e dell’opposizione. Del resto anche nell’aggressione della Nato alla Libia Napolitano ha fatto lo stesso: si è inventato una legittimità della guerra che non sta né in cielo né in terra e non si è fermato – trascinando dietro il suo decisionismo il debole Berlusconi, con il sostegno attivo del ministro degli esteri Frattini – fino al linciaggio di Gheddafi. Qui la violazione dell’art. 11 della Costituzione che vieta all’Italia il ricorso alla guerra: nel caso di Monti, la riscrittura dell’art. 1 che sembrerebbe doversi recitare ormai così: “L’Italia è una repubblica presidenziale fondata sui Mercati”. I “mercati”, entità pseudo astratte, in realtà forze non tanto oscure che hanno operato per dare il colpo finale a un governo sotto attacco da anni da parte delle grandi reti mediatiche più meno “progressiste”.   
Progressiste? In realtà c’è un ultimo aspetto da sottolineare in questa crisi: e cioè che, assumendo le categorie classiche anche se ormai vetuste “destra” e “sinistra”, il governo Berlusconi ha avuto contro di sé i classici nemici della destra – vertici della Confindustria compresi – che sono stati spalleggiati invece da una sinistra che non è più tale.

D: Nonostante questo, non solo l’opposizione ma anche la maggioranza di governo si è allineata subito sul nome di Monti, recependo le direttive che provenivano dal “Colle”. Si potrebbe affermare senza tema di smentite, che una classe politica così indegna e sgangherata o non ha capito o finge di non capire chi è Mario Monti, e che questo è l’ultimo capitolo della nostra già minima residua sovranità nazionale. Quale è il suo parere?

R: A meno di sorprese legate alle condizioni poste, o che sarebbero state poste, sia dal PDL e sia dalle opposizioni a Monti, in effetti pare che la convergenza sull’uomo scelto e imposto all’Italia da Napolitano sia diffusa, dopo il “rientro” dello stesso Di Pietro e gli esiti del dibattito interno al PDL. Solo la Lega pare resistere all’onda vincente. Che sia un governo a breve termine e con un programma ristretto, o no, non c’è dubbio comunque che quanto è accaduto esprime tre problemi non da poco per la tenuta della democrazia in Italia e in Europa: primo, si è di fronte all’evidente perdita di autonomia del ceto politico tutto – cioè della “Politica” – rispetto alle pressioni dei mercati finanziari e della BCE; secondo, per questo canale, fatto di leadership deboli o indebolitesi fino alla quasi evanescenza, si assiste a una lesione evidente della nostra sovranità nazionale. Come in Grecia il “Direttorio” di Bruxelles e franco-tedesco ha impedito il libero esercizio del referendum – uno strumento tipico della democrazia moderna, tanto più da applicarsi di fronte alla drammatica crisi vissuta dal popolo greco - così in Italia si cassa autoritariamente (vedi ancora le dichiarazioni di Napolitano) l’opzione elettorale, per paura degli attacchi mediatici e finanziari. Terzo, tutto questo si tradurrà in vessazioni economiche per il popolo, già massacrato da decenni ormai di finanziarie sanguisughe.

D: In effetti, le linee guida che illumineranno Monti e il suo governo sono ben chiare, quelle contenute nella famosa lettera che Berlusconi ha dovuto consegnare alla BCE dove non ha fatto altro che eseguire gli ordini che gli provenivano da Francoforte, Bruxelles e dal FMI. Proprio di recente non a caso Christine Lagard ha elogiato la scelta Monti. La solita ricetta iperliberista lacrime e sangue che un tempo si consegnava ai governi latino-americani e africani: privatizzazioni, licenziamenti facili, blocchi salariali e innalzamento dell’età pensionabile, distruzione sistematica dello Stato sociale. Ma è possibile che non ci siano alternative?

R: Non so se la lettera di Berlusconi alla BCE abbia esaudito veramente le aspettative dei cosiddetti mercati che hanno aggredito il nostro paese. E’ probabile di no, altrimenti non ci sarebbe piovuto in testa Monti. E’ possibile che Berlusconi abbia tentato una sorta di bluff, far finta di accettare il diktat della BCE e cercare di tergiversare e di ridurre al minimo gli effetti della bastonata. Ma che questo sia o no vero – e in che misura lo sia – una cosa è a mio avviso certa: tutto quel che si sta muovendo nella risposta della Politica di sinistra e di destra all’emergenza creata dai Mercati e dalle minacce della BCE non è all’altezza della situazione. Né sul piano politico e dei principi di sovranità, né dal punto si vista economico

D: Altre nazioni hanno dimostrato che si può uscire dalla spirale perversa del sistema usurocratico bancario, l’Argentina ad esempio ha detto no al Fmi e ai suoi ispettori, la sua Banca centrale è dello Stato e la sua crescita è del 8-9% annuo. Crede che l’Italia potrà riconquistare la sua piena indipendenza e sovranità monetaria, inscindibile da quella politica ed economica oppure ci avvieremo a diventare un paese del Terzo Mondo?

R: La sua domanda tocca un punto essenziale utile per capire come bisognerebbe uscire dalla crisi: quello della Banca centrale, questione a sua volta connessa con quella dell’emissione della moneta, e della sovranità monetaria e nazionale. Di fronte a un terremoto quale quello che stiamo vivendo si gira attorno ai nodi centrali senza andare ai punti focali della situazione. Ho organizzato due incontri di esperti a Teramo (a uno è venuto anche Scilipoti) e mi sono fatto l’idea che occorrono delle indicazioni e dei provvedimenti concreti strategici, non congiunturali: il primo è che lo Stato torni a battere moneta, sia per fermare la macchina infernale del debito che si riproduce ogni qualvolta che la BCE – che è un ente privato – emette nuove banconote; sia per favorire in prospettiva un cambio con l’euro più favorevole a noi, non cioè quello stabilito da Prodi dieci anni fa.

Attenzione, non è detto che questo significhi passare attraverso la ri-nazionalizzazione della Banca d’Italia  - che oggi è in mano al 95 per cento di banche private e la cui natura appunto privatistica è sconosciuta alla gran parte dei cittadini, che pensano che sia ancora un istituto veramente statale, quale creato nel 1936, con lungimiranza, dal Fascismo. Un “attacco” del genere potrebbe scatenare reazioni notevoli. Invece, visto che la Banca d’Italia non conta nei fatti molto dal punto di vista dell’emissione monetaria (il suo ruolo è quello di collaborare con la BCE, a cui il Trattato di Maastricht delega la emissione di moneta per tutti i paesi europei)  basterebbe un progetto di legge che affidi di nuovo alla Zecca l’emissione autonoma della moneta, sotto il controllo del Ministero del Tesoro. 

D: E altri provvedimenti possibili?

R: Come è stato detto da tanti,  una seconda misura opportuna è che nella riduzione della spesa pubblica sia inserita la riduzione delle spese militari, ritirandoci ad esempio dall’Afghanistan, visto che peraltro lo stesso Obama lo ha annunciato per gli Stati Uniti. Infine, bisogna quanto meno discutere se e quanto debito occorre pagare. Possono sembrare frasi al vento, ma se si pensa sia al caso concreto dell’Islanda, che ha visto il popolo ribellarsi ai banchieri e rifiutarsi di pagare il debito, sia alle voci levatesi nei decenni trascorsi a favore dell’annullamento del debito estero dei paesi in  via di sviluppo, come Fidel Castro, papa Giovannni Paolo II e il Movimento dei Non allineati, allora le cose cambiano.

E’ vero, il debito pubblico non è la stessa cosa del debito estero, ma alla fin fine le analogie sono molteplici: stessi effetti, piani di ristrutturazione e riduzione della spesa pubblica a danno dello Stato sociale e dei redditi fissi e dei lavoratori; stesso guardiano dei provvedimenti, il FMI; stesso “giro” di creditori, le grandi banche internazionali a cominciare dalla BCE. E stessa umiliante condizione dell’Italia, che viene trattato oggi come un paese povero, mentre resta un paese dotato di una forte economia nonostante gli attacchi strumentali delle agenzie di rating.

D: Ma pensa che concretamente emergano idee di questo tipo dal mondo politico?

R: Non lo so proprio. So solo che si tratta di misure quanto meno degne di essere vagliate: necessarie non solo in se’, ma anche perché – nella prospettiva eventuale delle elezioni - la gente ha bisogno di parole chiare e dotate di capacità mobilitante.  Sono sicurissimo che quale che sia forza politica, ove accettasse di optare per questi obbiettivi  - allo stesso tempo così chiari e così radicali - vincerebbe le elezioni. Ma è difficile essere ottimisti: nel centrosinistra, che continua a pensare maniacalmente solo a distruggere Berlusconi anziché al bene nazionale e popolare, si parte dall’apriori che quel che chiedono a Bruxelles sia indiscutibile; nel centro destra fino ad oggi la campagna di reazione all’assalto mediatico finanziario al governo, sembra muoversi dentro il solito schema delle compatibilità, vedi il sì sia pure condizionato a Monti.

Berlusconi per contrastarlo si è affidato inoltre agli alfieri della guerra contro la Libia di Gheddafi – un evento questo che è interno alla stessa onda che adesso sta assalendo il nostro paese – e a giornalisti e intellettuali che nelle settimane scorse lo hanno invitato a privatizzare, privatizzare, privatizzare, cioè ad applicare la linea Monti-Draghi in prima persona. Invece, occorrerebbe rilanciare il rapporto col Popolo, e il Leader dovrebbe saper parlare al Popolo con un linguaggio chiaro, evitando di dire prima “l’euro è un problema” e poi, dopo qualche ora, “l’euro è la nostra bandiera”. Così facendo si semina confusione, che rischia di essere  pagata al momento del voto, un momento che prima o poi – dopo la fase Monti – deciderà delle sorti del nostro paese.