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Egitto: la rivoluzione incompiuta

di Dagoberto Bellucci - 22/11/2011

Fonte: dagobertobellucci


 

 

 

Senza alcuna sorpresa è tornata ad esplodere la protesta di piazza al Cairo e nelle altre principali città dell’Egitto.

 

Nessuna sorpresa perché quella egiziana è stata fin dallo scorso febbraio una rivoluzione incompiuta all’interno della quale sono andati sovrapponendosi diversi attori che hanno di fatto cercato di spengere la miccia e la carica sovversiva del movimento rivoluzionario e popolare egiziano.

 

Gli Stati Uniti, che inizialmente cercarono di salvare il salvabile del marcio regime dell’ex presidente Mubarak salvo poi improvvisamente – e per cavalcare la tigre del malcontento e di una protesta generale incontenibile – scaricarlo (…classica politica dell’ “USA e getta” piuttosto nota a chiunque segua le vicissitudini di molti dei diversi satrapi sostenuti dalle amministrazioni a stelle e strisce in giro per il pianeta…Marcos, Noriega, Saddam Hussein, Slobodan Milosevic per fare alcuni nomi fra i tanti che hanno più o meno “giocato” con l’aquila americana rendendosi utili e funzionali alle strategie dell’imperialismo statunitense salvo poi venir risucchiati nei meandri dei “gironi infernali” destinati a tutti coloro che osano alzare la voce contro la supremazia planetaria dell’“impero”…); sono stati tra i primi ad essere intervenuti per rassicurare le proprie posizioni di potere sostenendo una fase di “transizione” verso la democrazia che, bontà loro, doveva rappresentare un soporifero viatico per mantenere al potere la casta dei militari vero e proprio baluardo del potere nel paese dei faraoni.

 

La casta dei militari è anche quella che ha cercato, in questi ultimi mesi, di scaricare la carica esplosiva e la tensione ideale del movimento rivoluzionario venutosi a costituire all’inizio dell’anno (il Movimento del 25 Gennaio) e uscito vincente dal braccio di ferro con il passato regime caduto in disgrazia l’11 febbraio con le dimissioni ed infine l’arresto ed il processo per corruzione e abuso di potere – oltre ad una serie di svariati crimini commessi dai suoi servizi di intelligence e dalla polizia – del deposto Hosni Mubarak.

 

A pochi giorni dal voto che avrebbe dovuto garantire gli interessi della casta militare e quelli del suo tutore statunitense la Piazza Tahrir– diventata simbolo di tutte le rivolte che hanno contrassegnato questa “primavera araba” – è tornata a manifestare chiedendo trasparenza, onestà e a furor di popolo le dimissioni del governo transitorio e la fine della pressione militare sulla vita socio-politica del paese.

 

Il principale gruppo d’opposizione, i Fratelli Musulmani, pur invitando alla calma hanno invitato i cittadini a sostenere la rivolta e, questa volta a quanto è dato di capire, si dovrebbe andare fino in fondo anche perché la repressione che hanno suscitato le nuove manifestazioni popolari non lascia scampo al fronte rivoluzionario egiziano: o si va fino in fondo defenestrando i vertici militari che sono al servizio dell’imperialismo e del sionismo oppure qualunque forma di protesta risulterà vana nel più popolato paese arabo un tempo capofila del panarabismo rivoluzionario e principale leader del fronte anti-americano e anti-israeliano nel Vicino Oriente.

 

I nuovi scontri di piazza hanno, a tutt’oggi, fatto contare una quarantina di vittime e oltre 700 feriti.

 

Un bilancio destinato ad aumentare anche perché ogni notte, da sabato scorso e fino al voto, sarà battaglia intorno alla piazza della Rivoluzione del Cairo e in numerosi altri centri del paese dove si registrano scontri e feriti.

 

Il Segretario Generale della Lega Araba, Nabil el Arabi, ha lanciato nelle ultime ore un appello alla calma risultato inutile e tardivo.  Secondo el Arabi è necessario il ritorno ad un tavolo negoziale di tutte le parti – partiti e movimenti della società civile – per il rilancio del processo politico.

 

Processo politico in realtà congelato nel nulla in questi ultimi nove mesi in attesa delle elezioni previste tra una settimana (28 novembre).

 

Tutti i principali partiti politici hanno condannato le violenze rimarcando soprattutto l’odiosa repressione delle forze di sicurezza e della polizia intervenute massicciamente per sedare qualsiasi forma di protesta e, di fatto, alimentando con la loro brutalità la tensione.

 

A livello politico la richiesta della piazza è semplice: immediato passaggio del potere dalla Giunta Militare alle autorità civili e apertura di una commissione d’inchiesta sui crimini commessi dai militari e dalle forze di sicurezza ovvero i due principali baluardi del vecchio regime.

 

I manifestanti richiedono in particolare le dimissioni del premier, del Ministro degli Interni e del capo del Consiglio Supremo delle Forze Armate il maresciallo Mohamed Hussein Tantawi considerato elemento di congiunzione con il passato regime.

 

Caduto Mubarak infatti non sono caduti i generali che con il vecchio “rais” avevano condiviso il potere. Gli stessi che avevano accettato supini e vili nel 1977 i vergognosi accordi di pace con “Israele” firmati da Anwar Sadat a Camp David e che costarono la vita al predecessore di Mubarak.

 

L’aspirante presidente e premio Nobel per la Pace, dr. Mohamed el Baradei – ex responsabile dell’AIEA –  ha dichiarato l’urgenza di costituire un governo civile.

 

Un governo di salvezza nazionale è quanto richiesto anche dalla Federazione Giovanile della comunità cristiano-copta.

 

In serata intanto è arrivata la notizia delle dimissioni del governo presieduto dal dr. Sharaf. Saranno sempre gli onnipresenti e onnipotenti militari a dover ratificare o meno quella che si profila come una autentica disfatta del sistema di potere egiziano.

 

Preoccupati ovviamente gli Stati Uniti che seguono con inquietudine questi ultimi avvenimenti.

 

Se cade l’Egitto la “primavera” della nazione araba potrebbe forse virare di 360 gradi: da rivoluzione “colorata” eterodiretta dagli alchimisti del Nuovo Ordine Mondiale a movimento insurrezionale autenticamente anti-imperialista e anti-sionista…un rischio enorme per Washington e per tutte quelle nazioni ed organizzazioni (Unione Europea, paesi arabi “moderati” filo-occidentali, Nazioni Unite) – e per l’intero universo dei mass media (autentica punta di lancia di queste insurrezioni ‘popolari’ che hanno visto in particolar modo le due tv arabe di al Jazeera e al Arabiyah sostenere unilateralmente tutte le rivolte soffiando sul fuoco del malcontento popolare dalla Tunisia alla Libia, dall’Egitto alla Siria) – che pensavano di aver imbrigliato e soprattutto imbrogliato i manifestanti di Piazza Tahrir.

 

La partita egiziana deve essere ancora giocata: siamo all’inizio del secondo tempo e non è detto chi, alla fine, uscirà vincente.

 

L’America dovrà presto trovare referenti per garantire il suo alleato israeliano.

 

Il fuoco che sta incendiando le notti attorno a Piazza Tahrir divampa e brucia i vecchi arnesi di un sistema di potere feudale, dittatoriale e autoritario compromesso con le logiche di sfruttamento imperialistiche e con gli interessi strategici americani.

 

Se gli egiziani riusciranno a completare la loro rivoluzione il volto del futuro Vicino Oriente potrebbe non essere quello desiderato dagli apprendisti stregoni della finanza mondialista.

 

Una partita fondamentale…e siamo soltanto all’inizio.