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Palloni al posto di pallottole

di Uri Avnery - 29/06/2006

 
 
   

Se il presidente Bush voleva occuparsi dell’Iran “bombardandolo fino a farlo tornare all’età della pietra”, (come ha asserito un generale statunitense durante la guerra in Vietnam), questo sarebbe il momento giusto. Chi se ne accorgerebbe, mentre l’attenzione di tutti è rivolta ai mondiali di calcio?

Lo sa bene il governo israeliano. Nella loro lotta contro i missili Qassam che sono stati lanciati contro la città di Sderot, l’aviazione ormai ha ricevuto carta bianca. Dall’inizio dei mondiali di calcio del 2006, sono stati uccisi più di 20 palestinesi, compresi bambini e bambine, una donna incinta, un dottore e personale paramedico. Sembra che nel mondo nessuno ci faccia caso. Perché dovrebbero? Dopotutto la Coppa del Mondo è più importante.

Quando torno a Tel Aviv da Gerusalemme, di solito faccio una piccola deviazione passando da Abu Gush, un villaggio arabo con un’oasi unica: un caffè dove sulle poltrone e i divanetti siedono insieme gruppi misti di ragazzi ebrei e arabi (solo uomini), e a volte gruppi di soldati ebrei e drusi che controllano le frontiere, siedono insieme, rilassati, fumando narghilé (pipe d’acqua). Divorano Baklava dolce, parlano, ridono e ascoltano il cantante libanese Fairuz e il cantante israeliano orientale Zahava Ben. Un fenomeno insolito in Israele.

Quando ci sono passato questa settimana, erano seduti tutti eccitati di fronte ad un grande schermo, fissando la partita tra Argentina e Olanda. Si emozionavano insieme, saltavano in piedi insieme, gridavano insieme.

Pochi giorni prima avevo visto la stessa scena a Sarajevo. Nei bar del centro della città c’erano una marea di giovani del luogo, musulmani, croati e serbi stavano seduti insieme, gli occhi incollati allo schermo insieme, eccitandosi insieme, saltando in piedi insieme, gridando insieme.

In questo momento sta succedendo lo stesso in tutto il mondo, dal Canada alla Cambogia, dal Sud Africa alla Corea del Nord.

È bene? È male?

Non sono un tifoso. Come molte persone al mondo che pensano di essere degli intellettuali (qualsiasi cosa significhi), di solito liquido questo fenomeno con un sorriso accondiscendente, leggermente ironico, anche se ultimamente mi ritrovo a guardare una partita per lunghi minuti. Da bambino mio padre mi diceva che lo sport era Goyim Naches (yiddish dall’ebraico, “piacere dei gentili”), e l’unico sport ebraico era riflettere sulla filosofia di Spinoza e Schopenhauer, o, in alternativa, sul Talmud. Yeshayahu Leibovitch, un ebreo ortodosso osservante, ha descritto le squadre di calcio come “undici teppisti che corrono dietro ad una palla”. (Un altro ebreo per amor di pace ha suggerito: “Perché litigare? Diamo ad ogni squadra la sua palla”).

(Anche) sotto questo punto di vista Israele ha smesso da tempo di essere uno stato ebraico in senso spirituale. Il Goy israeliano è come un qualsiasi altro Goy del mondo. I mondiali ne sono la prova.

Un fenomeno che provoca emozioni tanto forti in miliardi di esseri umani non può essere liquidato con un’alzata di spalle. Ci troviamo di fronte ad una profonda caratteristica umana. Cosa significa? Che origine ha?

Konrad Lorenz, uno dei fondatori della scienza dell’etologia, che si occupa del comportamento degli animali (compreso l’animale uomo), sosteneva che l’aggressività umana è una caratteristica innata, un prodotto di milioni di anni di evoluzione. Gli uomini delle caverne vivevano in tribù, ciascuna delle quali dipendeva da un territorio specifico per la sopravvivenza. L’aggressività serviva per difendere questo territorio e scacciare gli altri.

In natura i predatori che hanno armi naturali – come i denti, le unghie o il veleno – in genere sono dotati di un meccanismo inibitore che impedisce loro di attaccare la propria specie. Altrimenti non sarebbero sopravvissuti fino ad oggi. Ma gli esseri umani non hanno nessuna arma naturale efficace, per questo la natura non li ha dotati di questo meccanismo. È stato un terribile errore. È vero, gli esseri umani non hanno denti o unghie pericolosi, ma hanno qualcosa di più efficace di qualsiasi arma naturale: il cervello umano, che inventa mazze, picconi, cannoni e bombe nucleari. In questo modo gli esseri umani hanno una combinazione letale di tre attributi: aggressività innata, armi assassine e la mancanza di inibizione per quanto riguarda l’uccisione della propria specie. Il risultato: l’inclinazione umana per la guerra.

Come superarla? Lorenz ha indicato un rimedio: lo sport, e soprattutto il calcio. Il calcio è il surrogato della guerra. Sposta l’aggressività umana verso canali inoffensivi. Per questo è così importante – e così positivo.

L’aggressività e il nazionalismo vanno di pari passo. Anche in questo frangente il calcio permette uno sguardo nei recessi dell’animo umano.

L’animale uomo ha un profondo bisogno di identificarsi in una collettività. Vive in gruppo. Nell’antichità l’uomo viveva in tribù. Da allora i modelli sociali sono cambiati molte volte. Il “noi” è cambiato man mano che cambiavano le strutture sociali. Le persone hanno vissuto in contesti religiosi ed etnici, nella società feudale, in monarchie, etc. Nel mondo moderno vivono in nazioni.

L’autoidentificazione in una nazione è una necessità assoluta per l’uomo moderno (con pochissime eccezioni). Il calcio esprime questa identificazione in una forma che dall’esterno può sembrare guerra. Questo è il motivo per cui nel calcio la bandiera nazionale e l’inno nazionale svolgono un ruolo cruciale. Le masse sventolano bandiere, si colorano la faccia con i colori nazionali, urlano slogan nazionalisti, danno un’espressione emotiva a questo fenomeno.

A volte sfocia proprio nel ridicolo, come ci è capitato la settimana scorsa. Israele non ha preso parte alla Coppa del Mondo, essendo stato battuto prima che cominciasse davvero. Ma un membro della squadra del Ghana, che gioca per l’Hapoel Tel-Aviv, per una qualche ragione ha sventolato la bandiera israeliana sul campo – e tutto lo stato d’Israele è scoppiato in un’esplosione di gioia: Siamo lì! Siamo ai mondiali!

Un’apparizione meno ridicola: per la prima volta dalla distruzione del Terzo Reich, masse di tedeschi hanno sventolato la loro bandiera nazionale con un entusiasmo che sfocia nell’estasi. Alcuni osservatori parlano di rinascita del nazionalismo tedesco e cose simili. Però io penso che sia una cosa positiva. Una nazione non può vivere una vita normale quando i suoi cittadini se ne vergognano. Può causare un disturbo mentale collettivo e dare origine a tendenze pericolose. Ora, grazie al calcio, i Tedeschi possono sventolare la loro bandiera.

Il nazionalismo del calcio è più forte di tutti gli altri sentimenti. Un esempio classico: alla fine del 19esimo secolo, a Vienna c’era un sindaco, Karl Lueger, che era un fanatico e dichiarato antisemita. Ma quando la “Hakoah Vienna” ebraica ha giocato contro una squadra ungherese, il sindaco è stato visto mentre acclamava i ragazzi del posto. Quando gli è stato fatto presente che erano ebrei, ha risposto con la famosa frase: “Sono io che decido chi è ebreo e chi no”.

Quando la stella della squadra francese era un franco-algerino, i razzisti francesi lo acclamavano fino a diventare rauchi. È successo lo stesso in Israele, quando un arabo giocava nella nostra squadra nazionale.

Un intellettuale europeo recentemente mi ha detto: Ci sono barzellette su Polacchi, Tedeschi, Francesi e su qualsiasi altra nazione europea. Ma non ci sono ancora barzellette sugli Europei, il che significa che l’Europeo ancora non esiste.

Vorrei applicare un criterio simile al calcio. Ogni nazione in Europa ha una squadra nazionale, ma non esiste una squadra europea. Finché la squadra europea, sotto bandiera europea, non giocherà contro la squadra dell’Asia o dell’Africa, non ci sarà una consapevolezza popolare europea. (Un utopista può ben sognare di una partita tra la squadra della Terra e la squadra di Marte o del Pianeta X).

Il mio amico palestinese, Issam Sartawi, che è stato ucciso 23 anni fa a causa dei suoi contatti con noi, una volta ha detto: “Non ci sarà pace finché la squadra di Israele non giocherà contro la squadra della Palestina – e noi vinceremo”.

Certamente è anche una questione di sessi.

Un geniale pubblicitario ha tappezzato Tel-Aviv con dei cartelloni che ritraggono una donna mentre dice al marito: “Itzig, fatti preparare il caffè dal portiere del Brasile. Io esco con le ragazze della farmacia. Gali”. In un fumetto una donna chiede a suo marito che sta inchiodato alla tv a guardare i mondiali: “Sei sicuro che non ti va di venire con me alla fiera del libro?”

Il calcio è una cosa rozza da uomini, nonostante esistano tifose donne. Anche in questo senso è un sostituto della guerra, e forse pure per l’antica voglia dell’uomo di cacciare. (Negli Stati Uniti, le donne preferiscono il calcio europeo - chiamato soccer – perché il football americano è molto più violento).

Nel calcio, gli uomini osano fare cose che in altre circostanze sarebbero tabù: si abbracciano, si baciano, si ammucchiano uno sull’altro. Senza dubbio questo esprime delle necessità profonde, e non fa male a nessuno.

Sotto tutti questi punti di vista il calcio è una cosa positiva che ne sostituisce molte cattive. Purché, chiaramente, il presidente Bush non sfrutti l’occasione per attaccare l’Iran, e noi non la usiamo per bombardare i bambini di Gaza.

Ex membro dell’Irgun e di un commando dell’esercito israeliano, scrittore e giornalista Uri Avnery è oggi un impegnato attivista per la pace.

Uri Avnery
Fonte: http://www.redress.btinternet.co.uk/
Link: http://www.redress.btinternet.co.uk/uavnery161.htm
25.06.2006

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di OLIMPIA BERTOLDINI