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Temperamento e qualità del pappagallino ondulato ci dicono molte cose sulla ricchezza degli animali

di Francesco Lamendola - 03/01/2012

 

Il Pappagallino ondulato, il più piccolo di tutti gli psittacidi, è originario del continente australiano, ma ormai è largamente diffuso nelle case di tutto il mondo per la bellezza della sua livrea, per la socievolezza del carattere, per la prontezza dell’apprendimento, anche se il suo cicaleccio è modesto e non può certo rivaleggiare con il canto melodioso del canarino.

È più noto con il nome di Cocorita (il nome scientifico è «Melopsittacus undulatus»); venne introdotto per la prima volta in Europa nel 1840 dal naturalista John Gould in soli quattro esemplari, per poi divenire una delle specie domestiche più diffuse nel Vecchio continente.

Lungo non più di 18 centimetri dalla testa alla coda, presenta sul capo delle caratteristiche strisce ondulate, dalle quali è derivato il suo nome.  Il suo colore naturale è il verde (verde chiaro, verde scure e verde oliva), con delle striature nere sulla schiena; ma ne sono state ottenute varietà di parecchi colori: azzurro cielo, blu cobalto, malva, viola, grigio cannella, giallo, lutino (una specie di giallo ocra), oppure con le ali merlettate. Quattro macchie a forma di goccia di color blu-violetto sono presenti sulla gola di tutte le varietà.

Nel suo ambiente originario, il Pappagallino ondulato è distribuito in maniera molto irregolare, sia nello spazio che nel tempo: da una stagione all’altra, infatti, può scomparire e riapparire in maniera pressoché imprevedibile. In generale, risulta più raro nelle zone costiere e più frequente nelle regioni interne, salvo, naturalmente, nelle zone desertiche vere e proprie (a dune sabbiose). Le sue migrazioni, dal Sud al Nord dell’Australia e viceversa, sono determinate dall’alternarsi della stagione piovosa e di quella secca; si sposta in stormi assai numerosi, «a schiera larga e piena», come direbbe il padre Dante.

La loro riproduzione, ovviamente, è legata alle circostanze ambientali, specialmente climatiche: nelle annate più secche i loro nidi quasi scompaiono alla vista; mentre nelle annate piovose, quando la vegetazione cresce più abbondante e vigorosa, non c’è quasi albero cavo o tronco di eucalipto che non abbiano il loro bravo nido di Cocorite.

Sono uccelli socievoli, i quali, in caso di forza maggiore, si adattano facilmente a nidificare in promiscuità, non solo nello stesso albero, ma anche nello stesso anfratto o nella stessa cavità; le femmine depongono in genere da quattro a sei uova, che covano da sole, senza l’aiuto del maschio, che, però, rimane in vigile custodia; dopo un mese dalla nascita, i piccoli escono dal nido e sono già in grado di affrontare da soli l’avventura del volo.

Il pappagallino ondulato è stato scoperto dagli Europei fin dal 1789, e descritto per la prima volta cinque anni dopo. Il suo nome latino gli è stato attribuito dai naturalisti Nodder e Shaw, che ne fornirono una nuova e più esaustiva descrizione.

Lo Zoo di Londra ospitò questa specie di psittacidi nel 1862 e, da quel momento, la sua diffusione in tutta Europa è stata quasi irresistibile, seconda soltanto a quella del canario dal bel canto; un solo allevamento francese, presso Tolosa, nel 1890 contava qualcosa come 20.000 esemplari, saliti a circa 100.000 alla vigilia della prima guerra mondiale. Dall’Europa, poi, il commercio e la diffusione di questi piccoli parrocchetti si sono estesi progressivamente al resto del mondo, specialmente nell’America del Nord e in Giappone.

Ma perché questi uccelli hanno conosciuto una diffusione così straordinaria, pur non potendo esercitare l’affascinante attrattiva delle qualità canore? Ciò si deve essenzialmente al loro temperamento e alla loro notevolissima capacità di apprendere.

Scrive in proposito Vittorio Menassé, nella sua monografia «Il Pappagallino ondulato» (Edizioni Encia, Udine, 1974, pp.  15-20), alla quale siamo debitori di parte delle notizie sopra riportate:

 

«Fra tutti gli uccelli, i più dotati nelle facoltà intellettive sono gli Psittacidi,. Di questa famiglia fa parte il pappagallino ondulato, i cui si riscontrano appieno le virtù dei pappagalli di maggior taglia.

Il pappagallino ondulato è dotato di una piccola ma spiccata personalità, ben superiore a quella degli altri uccellini da gabbia, ed anche la sua intelligenza e le capacità d’apprendimento sono notevoli. A ciò si aggiunga il temperamento giocherellone e socievole ed una notevole curiosità che lo spinge, se lasciato libero in una stanza, a ficcanasare per ogni dove vincendo la naturale diffidenza e timidezza.

Quanto alla capacità d’apprendimento di piccoli esercizi, non v’è uccello che possa stargli alla pari. Potrei a questo proposito tirare avanti per molte pagine elencando gli esercizi in cui ho visto esibirsi tanti pappagallini addomesticati  da semplici amatori. Partendo dal principio che il più comprende il meno mi limiterò a riferirvi quelli più difficili, eseguiti da una piccola troupe” di questi uccellini di questi uccellini perfettamente addestrati da una signora che si esibiva con successo in un grande circo (almeno per gli spettatori delle prime file; quelli  delle ultime non credo che potessero scorgere molto).

Un pappagallino era specializzato nella corsa ad ostacoli; un altro camminava in equilibrio su un filo.  Due uccellini manovravano un minuscolo cocchio: il primo sedeva a cassetta mentre all’altro toccava  il più oneroso compito di trainare la carrozza e lo faceva con divertente vigoria infilando da solo il collo in apposito giogo circolare. Altri si esibivano con palese entusiasmo su un’altalena.  Una pappagallina rivestita di civettuola gonnella spingeva col beccuccio una lillipuziana carrozzella da bambini.  Ma l’esercizio più notevole era quello di un Ondulato che inforcando unì’apposita biciclettina pedalava da perfetto funambolo  lungo un filo senza che le ali contribuissero per nulla alla conservazione dell’equilibrio. Credo proprio che quest’esercizio sia il massimo che si possa ottenere da un uccellino ed accessibile soltanto all’Ondulato.

Ricapitolando, quindi, il Pappagallino d’Australia è intelligente più degli altri  uccellini da gabbia. È vivace, socievole, giocherellone, possiede indole tranquilla  e grandi capacità d’apprendimento, ed è inoltre prolifico, parco nei bisogni,  assai pulito. Si tratta d’un parlatore potenziale che presenta una svariatissima gamma di smaglianti colori. Sorge quindi spontanea la domanda del perché  in Italia esso non si sia affermato come in tanti altri paesi.  Per rispondere bisogna esaminare i difetti dell’uccellino e d il temperamento ed i gusti dell’allevatore medio italiano.

Per prima cosa il pappagallino non canta; il suo cicaleccio , non spiacevole ma neppure melodioso, a cui si alterna  un gracidio poco musicale, può riuscire molto fastidioso  quando i soggetti sono numerosi. In Italia generalmente  chi compra un uccellino la fa per sentirne il canto ed è così spiegata  la larga preferenza accordata al canarino. È necessario poi aggiungere che tutte le doti di intelligenza, capacità apprenditiva, socievolezza, il pappagallino le dimostra solo se domestico, quando cioè non ha paura dell’uomo. Generalmente, invece, i soggetti posti in commercio on lo sono per nulla non lo sono per nulla e al solo avvicinarsi dell’allevatore  manifestano la loro paura sbatacchiando er la gabbia come forsennati,  cosa davvero indisponente. Ed anche quando si sono abituati alla presenza dell’uomo, basterà la semplice introduzione della mano nella gabbia per risvegliare i frenetici timori con somma irritazione del proprietario della gabbia. La verità è che  pochi uomini hanno la capacità e la pazienza necessarie per rendere domestico un animale selvatico e di tale condizione  si avvantaggia il canarino, meno intelligente ed anche meno addomesticabile dell’Ondulato, in senso lato, ma che alla presenza umana , sia pure al di là delle sbarre protettrici, si adatta più facilmente.

Potremmo dire che doti del pappagallino sono un tesoro nascosto, il cui ritrovamento esige una ricerca e qualche paziente fatica.  Se aggiungiamo a ciò la constatazione irrefutabile che nel nostro Paese gli uccelli vengono apprezzati soprattutto per la melodiosità del canto, ecco spiegate le ragioni della scarsa diffusione dell’Ondulato in Italia a differenza di quanto avviene presso altri popoli, che a una più sentita passione zoofila accompagnano doti di pazienza e di metodicità che mal si confanno all’esuberante estroso temperamento latino.»

 

Ora, dell’addestramento degli animali nei circhi si può dire quel che si vuole, e, ancor più, dell’abitudine degli ammaestratori di vestire gli animali stessi con minuscoli abiti di foggia umana, rendendoli simili a degli involontari pagliacci: su ciò torneremo altra volta, in una apposita sede; tuttavia resta il fatto incontestabile che si deve sovente proprio al personale dei circhi se animali come il pappagallino ondulato sono stati osservati, studiati, sottoposti a processi di apprendimento e, infine, ammaestrati in maniera tale, da poterne dedurre tutto il potenziale cognitivo, che, altrimenti, sarebbe rimasto incompreso e inutilizzato, rivelandoci così la straordinaria intelligenza (esiste forse un’altra parola?) di queste belle e minuscole creature alate.

Così pure, si potrà facilmente obiettare, alle osservazioni dell’Autore sopra riportate, che non è possibile valutare l’intelligenza e, in generale, le qualità di una specie animale, considerandole quasi esclusivamente dal punto di vista dell’uomo, e più precisamente dell’allevatore; il quale, per quanto amante degli animali, cerca comunque un vantaggio personale, fosse pure solo in termini estetici o di gratificazione affettiva.

Però, anche in questo caso, cerchiamo di essere giusti: non è forse vero che proprio l’allevatore che cerca di sfruttare al massimo certe qualità dell’animale, non sotto il profilo meramente economico (come l’allevatore di bovini che vuole ottenere la massima quantità di latte dalle sue mucche), ma rispettandone l’indole fondamentale, svolge un’opera non indegna né inutile, ma, anzi, proprio per l’empatia che lo anima nei confronti dell’animale, è spesso capace di scoprire e valorizzare certe caratteristiche più di quanto non saprebbe fare un serioso scienziato e sicuramente non meno di un etologo, abituato a lavorare a contatto immediato e quotidiano con i “suoi” animali, vedendo in essi dei soggetti e non dei semplici oggetti destinati ad arricchire la sua conoscenza teorica?

Inoltre, bisogna riconoscere che è solo mediante la passione, la tenacia, la pazienza degli allevatori di uccelli domestici - degli allevatori individuali, che praticano la loro arte per mero diletto e non per fini di lucro - che si può stabilire un legame profondo tra uomo e animale, nel quale il secondo possa esplicitare tutto il suo potenziale latente in fatto di capacità di apprendimento e il primo, a sua volta, imparare a rapportarsi con l’altro nella maniera più idonea, sviluppando così una interazione che permette ad entrambi i soggetti di uscire dal proprio mondo e venirsi incontro con spirito aperto e con autentica curiosità.

Certo, sarebbe preferibile che le osservazioni sul temperamento e sull’intelligenza degli uccelli potessero avvenire sempre in condizioni di libertà per questi ultimi, come nel caso delle specie selvatiche, le quali, mediante anelli di riconoscimento, possono essere studiate e seguite da un capo all’altro del globo, nel corso delle loro periodiche migrazioni. Tuttavia gli uccelli domestici si sono disabituati alla vita in libertà e, lasciati a se stessi fuori dalla gabbia o dalla voliera, avrebbero ben poche probabilità di sopravvivere, avendo disimparato quasi tutto ciò che è loro necessario per cavarsela senza la presenza dell’uomo.

Non bisogna giudicare le cose per come dovrebbero essere, ma per come esse realmente sono, nelle circostanze date: un animale domestico è un animale domestico, e gettarlo allo sbaraglio in nome di un principio astratto sarebbe un crimine, così come lo è abbandonare un cane da pastore lungo il bordo di una autostrada.

Teoricamente, sarebbe stato meglio che il commercio degli animali domestici non incominciasse neppure, almeno dal punto di vista dell’animale; ma, dal momento che l’uomo ha avuto bisogno di addomesticare un certo numero di specie, la cattività dell’animale è certo meno dura quando questo dipende da un padrone affettuoso, interessato al suo benessere e, certo, anche ad alcune sue doti, non però in un’ottica grettamente utilitaristica.

Insomma, se proprio non si può fare a meno di manipolare le altre specie viventi, è mille volte meglio che ciò avvenga in un contesto a misura di animale, anziché in un contesto di genere puramente produttivistico. Quali tesori di abilità, socievolezza, intelligenza può rivelare un uccellino, se allevato dalla persona giusta…