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L'odissea dei Saharawi Un Paese «sulla carta»

di Daniele Zappalà - 09/10/2005

Fonte: avvenire.it

Sono meno di mezzo milione e da decenni attendono, nei campi profughi, di poter esercitare il diritto all’autodeterminazione, contrastati dal Marocco che ha colonizzato la regione

L'odissea dei Saharawi Un Paese «sulla carta»

Di Daniele Zappalà

Un Paese sulla carta. Questo resta il Sahara occidentale che in molti atlanti politici appare ancora di colore diverso rispetto ai vicini Marocco, Algeria e Mauritania, oltre che con i confini "dentellati", retaggio di vecchie e dolorose spartizioni coloniali. Dalla fine della presenza spagnola, 30 anni fa, è un territorio conteso fra uno Stato, il Marocco, e un popolo del deserto che vive oggi dell'aiuto alimentare internazionale inseguendo un vecchio sogno d'indipendenza: i saharawi. Anch'essi si erano presentati davanti all'ultimo treno della decolonizzazione passato in Africa negli anni Settanta. C'erano giunti con la propria bandiera, il riconoscimento dell'Organizzazione dell'Unione africana e un nome fresco di conio: Repubblica araba saharawi democratica (Rasd). Ma la storia ha poi preso un'altra piega e il contenzioso territoriale fra Marocco e Fronte Polisario - l'organizzazione politico-militare che si batte per l'autodeterminazione dei saharawi - si trascina ancor oggi dopo rivolgimenti alterni. Con il cessate il fuoco del 1991, almeno, si è trasformato da guerra sanguinosa in estenuante rompicapo politico. Tanto ostico che persino un influente stratega come l'ex-segretario di Stato americano James Baker non è riuscito a venirne a capo dopo anni di negoziati con le parti sotto l'egida dell'Onu. L'anno scorso Baker ha rimesso il proprio mandato a Kofi Annan. Negli ultimi mesi, dalla pentola a pressione politico-umanitaria sono giunti nuovi segnali inquietanti. «Non vogliamo ritrovarci di nuovo nella spirale della violenza», ha dichiarato qualche settimana fa il rappresentante in Algeria del Polisario, Mohammed Yeslem Bissat. Parole che fanno tremare quanti ripensano al conflitto armato durato dal 1976 al 1991. El Ayun, la capitale virtuale del Sahara occidentale, di fatto da anni sotto amministrazione marocchina, è già stata a maggio teatro di disordini e nuove retate di polizia ordinate da Rabat. Il pericoloso stallo continua, benché tutte le parti sembr ino esauste. È stanca l'Onu, che ha dispiegato nel territorio una missione con staff civile e caschi blu costata già 600 milioni di dollari, nella speranza finora vana di organizzare un referendum di autodeterminazione dei saharawi. Annan si sente tradito dalle parti e il rubinetto degli aiuti umanitari potrebbe chiudersi. È stanca pure Rabat, additata a livello internazionale per la sua "politica del fatto compiuto" attraverso gli storici travasi di coloni nel Sahara occidentale: le "marce verdi" vissute come momento epico da generazioni di apologeti del "grande Marocco". Sembra stanco poi l'intero Maghreb, la cui annunciata integrazione politico-economica slitta a causa della crisi che vede l'Algeria nel ruolo di storico, interessato, protettore del Polisario. Quest'ultimo, con mediazione americana, ha liberato nei giorni scorsi 404 prigionieri marocchini, ma il «gesto di buona volontà» non pare aver addolcito più di tanto il Marocco. Risultato: nuove scintille diplomatiche fra Rabat e Algeri, con il corollario di vari scioperi della fame annunciati dai saharawi in mezzo all'imbarazzo dei "pacieri" internazionali, Ue compresa. A Rabat, di fatto, molti considerano la rivendicazione saharawi come una "guerra per procura" fomentata storicamente dall'Algeria per il dominio geopolitico nel Maghreb (un punto di vista legato anche all'allineamento filosovietico di Algeri negli anni della Guerra fredda). Ma stanchi, anzi logori, paiono soprattutto i saharawi, perché la banchina su cui attendono da 30 anni il treno dell'indipendenza è la più inospitale che ci sia. Sognano porti sull'Atlantico, alla foce del mitico Río de Oro, ma intanto vivono spesso in miserabili campi profughi perlopiù aldilà della frontiera con l'Algeria. È soprattutto qui, nelle tendopoli di Tindouf e dintorni, che ribollono i sentimenti di un popolo che si sente rinnegato. Sfidando le escursioni termiche inumane del deserto - con picchi che vanno dai 60 gradi fino a temperature notturne sotto lo zero -, i saharawi hanno organizzato una specie di Stato in esilio di oltre 150mila anime (non esistono censimenti ed è oggetto di controversia a chi riconoscere la futura cittadinanza: si parla comunque di non oltre mezzo milione di persone). Le tendopoli portano il nome delle città del Sahara occidentale e la scolarizzazione dei bambini resta alta grazie al sostegno internazionale. Se il Marocco non rinuncia al mito delle "marce verdi", anche i saharawi tramandano un'epopea eroica. Il contenzioso, così, si è infossato negli abissi delle coscienze. Anche se fra le poste in gioco, più prosaicamente, vi sono pure i ricchissimi giacimenti di fosfati del Sahara occidentale. L'Onu ha riconosciuto più volte il diritto saharawi di scegliere il proprio destino. Nel "piano Baker", i possibili sbocchi del referendum (previsto dopo una fase di transizione) sono tre: indipendenza della Rasd, autonomia all'interno del Marocco, piena integrazione nel Regno marocchino. I saharawi accettano la soluzione, mentre Rabat la giudica ormai "obsoleta" avanzando argomenti legati alla controversa composizione del corpo elettorale. I Paesi africani restano divisi, anche se i saharawi godono nel continente di sostegni che contano. «Rappresenta un motivo di grande vergogna e rammarico per tutti noi che la questione dell'autodeterminazione per il popolo del Sahara occidentale resti irrisolta», ha annunciato un anno fa il presidente sudafricano Thabo Mbeki inaugurando il Parlamento panafricano. Fra gli invitati c'era anche un rappresentante della Rasd, riconosciuta dal Sudafrica. L'Africa che aspira a un posto al sole in Consiglio di sicurezza dell'Onu, in effetti, sogna già una "nuova era". Ma per raggiungerla occorrerà prima rimuovere gli Stati africani di carta. Assieme ai Paesi solo sulla carta.