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La ricerca del grande assente

di Giovanni M. Tateo - 09/01/2012

Fonte: centrostudiparadesha.wordpress

 

 

L’enorme problema dell’assenza della figura del Maestro nella cultura e nella società contemporanee esige necessariamente un tentativo almeno teorico di soluzione, o quantomeno richiama un’eco consonante con la sensibilità che avverte drammaticamente questo immenso vuoto. Se per Maestro si intende un uomo saggio e sapiente circa i grandi misteri metafisici dell’esistenza, capace nel contempo di trasmetterne le verità a chi ne è all’altezza, è evidente che non si tratta affatto di un insegnante o docente nel senso ordinario e borghese, ma di un essere che appartiene ad una dimensione del tutto superiore; tuttavia, come vedremo, solo in apparenza il tema qui trattato potrà sembrare una questione per addetti ai lavori o di interesse esclusivo dei seri cultori della filosofia o dell’esoterismo ortodosso. Anche se inizialmente sarà perlopiù pensando proprio a loro che scriveremo, è indubbio che la questione riguardi qualunque uomo non soffochi dentro se stesso la parte migliore e più nobile della propria anima, ma resti comunque vigile e desideroso di risposte valide alle grandi domande di sempre. Sarà dunque a questo tipo di uomo, che magari è ancora smarrito ed incerto persino riguardo alle letture da dover fare per poter perlomeno iniziare un serio percorso intellettuale nella direzione anzidetta, che, ad un certo punto, intenderemo rivolgerci. Il punto fondamentale, infatti, è che il Maestro è l’unica possibile via di accesso al mondo della Tradizione, sia per chi voglia viverla a livello misterico od esoterico – giacché, in questo caso, egli è necessariamente colui che conferisce l’iniziazione -, e sia per chi intende limitarsi, cosa nient’affatto da poco, a conoscerne la cultura, l’insegnamento senza tempo. Riferendoci all’esoterismo tradizionale – ortodosso, quindi – vero e proprio, la questione più spinosa è fondamentalmente quella della possibilità effettiva di entrare in contatto con dei centri iniziatici regolari, ossia con le comunità iniziatiche, fedeli allo spirito autentico della Tradizione misterica, in grado di conferire nel contempo l’insegnamento corretto delle verità misteriche ed una reale iniziazione ai Misteri. Passeremo brevemente in rassegna, quindi, le principali risposte che i grandi maestri occidentali della Tradizione ci hanno fornito nel secolo XX.

A suo tempo, Guénon sosteneva che in Occidente non vi fosse praticamente più alcun centro iniziatico regolare e che quindi per gli occidentali, Europei in particolare, l’unico modo per poter accedere ad un autentico sentiero di realizzazione metafisica fosse quello di rivolgersi all’esoterismo islamico, ossia al Sufismo nelle sue varie diramazioni o vie (Turuq). Diversamente, si sarebbe trattato di cercare la stessa possibilità in estremo Oriente – con notevoli difficoltà, se si fosse pensato al Taoismo, e con, forse, maggiori speranze nel caso del Buddhismo o dell’Induismo esoterici.

Una menzione tanto speciale quanto preziosa merita ora l’Ordine di Elia, che, non essendo una confraternita iniziatica propriamente detta, è infatti la comunità spirituale alla quale appartengono tutti coloro i quali, non avendo appunto potuto beneficiare di un’iniziazione regolarmente trasmessa, per una loro particolarissima vocazione, ed in seguito a circostanze davvero eccezionali, hanno invece ottenuto la benedizione, la protezione e la guida misterica del profeta Elia. Si noti, in proposito, che, secondo alcune sacre tradizioni, Elia dovrà in effetti ritornare ad assolvere alla propria funzione profetica – evidentemente nel senso superiore di guida spirituale – proprio poco prima che l’Anticristo faccia la sua definitiva comparsa nei tempi ultimi.

Un altro caso eccezionale, che però non possiamo esimerci dall’indicare, è quello di tutti coloro i quali ottengono la guida spirituale dei santi, di quei trapassati che hanno ottenuto l’Illuminazione, degli angeli – o degli dèi, in un contesto “politeista” – o persino di Dio stesso.

Un’altra menzione particolare merita la posizione, alla quale personalmente assentiamo, di Frithjof Schuon in merito all’annosa questione dell’esoterismo cristiano: egli sostiene che, in pratica, la sacra tradizione cristiana non necessita affatto di una via misterica specificamente costituita, in quanto Cristo ha fin dall’inizio provveduto a fornire tutti gli strumenti, dottrinali e rituali, necessari ad una effettiva realizzazione spirituale.

A nostro modesto avviso, Guénon poteva aver avuto effettivamente ragione nel sostenere che l’esoterismo cristiano fosse scomparso in occidente, a seguito della caduta dell’Ordine dei Cavalieri del Tempio, solo limitatamente alla specifica via dell’ascesi guerriera, che essi infatti praticavano. Restava infatti al Cristianesimo un’altra fondamentale via di realizzazione spirituale e metafisica, quella praticata in primis dagli ordini monastici contemplativi; un «sentiero di vetta», che aveva in Meister Eckhart la sua centrale figura rappresentativa, e le cui possibilità si sono provvidenzialmente conservate intatte, valide e percorribili fino ai nostri giorni.

In generale, riteniamo che, sulla scorta anche dello stesso Guénon, qualsiasi tradizione sacra si consideri, la via del puro perfezionamento religioso – non esoterico, dunque -, se seguita in maniera ottimale, è ben capace di garantire conquiste spirituali notevoli e talvolta addirittura inimmaginabili. E ciò soprattutto se essa viene integrata adeguatamente dallo studio ortodosso delle dottrine sapienziali tradizionali.

Rispetto a quella di Guénon, la posizione di Julius Evola era invece più complessa – e probabilmente, da un certo punto di vista, più interessante -, ma al tempo stesso più vicina alle condizioni ed alle circostanze, anche strettamente pratiche, connesse al tentativo di soluzione del problema. Evola, inMaschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, pur condividendo totalmente, in linea di principio, la posizione di Guénon, riteneva che fosse estremamente arduo, se non addirittura velleitario, tentare concretamente di accedere alle possibilità iniziatiche da lui indicate; sia per ragioni di tipo antropologico, e sia per tutta una serie di impedimenti o difficoltà di ordine concreto, implicati dal doversi inserire in nazioni e culture assai distanti da quelle d’origine. In estrema sintesi, in considerazione del fatto che, nella presente Età Oscura, sia già assai notevole l’esistenza stessa di uomini autenticamente protesi verso il Trascendente – soprattutto quando lo si intenda in un senso più metafisico che religioso -, Evola sostiene che, anche in mancanza di un’iniziazione regolare, l’essenziale sia possedere o conservare un orientamento inflessibile verso il Divino, e che pertanto il lavoro spirituale su se stessi, in termini di fedeltà ai connessi Principii di ordine superiore, e di crescita e maturazione interiore rispetto all’orizzonte metafisico di fondo, sia senza dubbio l’impegno vero e fondamentale. Del resto, è ben noto che Cavalcare la tigre viene scritto proprio in quest’ottica, ed è rivolto precisamente a coloro i quali sono costretti a vivere in una società antitradizionale, e a dover fare forzatamente a meno di un ricollegamento diretto con i centri iniziatici regolari. È ben evidente, quindi, che il nucleo di questo percorso debba essere la costituzione di una salda forma mentis di tipo tradizionale, impegno questo che è essenzialmente, o principalmente, di tipo intellettuale; per cui, trovandosi appunto in assenza di veri Maestri in carne ed ossa, chi intenda effettuare tale scelta dovrà necessariamente affidarsi alle opere dei Maestri del passato, attingendo quindi alla cultura tradizionale per via indiretta, inevitabilmente per via scritta invece che orale.

Pur, ovviamente, ritenendo che la cosa più corretta e migliore, per chi ne sia effettivamente degno, sia il conferimento effettivo di un’iniziazione regolare, non possiamo che concordare in pieno con Evola. Per appartenere al mondo della sapienza tradizionale la teoria è assolutamente indispensabile; la sua conoscenza, comprensione ed assimilazione effettive distinguono realmente chi appartiene alla Tradizione da chi invece le è sostanzialmente estraneo, o addirittura nemico. D’altronde, già secondo l’insegnamento di Pitagora e Platone, la conoscenza teorica, ossia la vera filosofia, è autentica purificazione interiore ed elevazione della mente. Non può essere che questa la base fondamentale su cui costruire qualunque ulteriore sviluppo della propria consapevolezza. Questo sentiero filosofico è già di per se stesso un compito assai arduo da svolgere, giacché richiede, oltre alle qualificazioni necessarie, una concentrazione costante, una coerenza ed una continuità incessanti, una volontà salda ed immutabile, capace di mantenersi sulla direttrice originaria e di puntare sempre e comunque sulla meta finale prefissata, anche se si pensasse di poterla raggiungere, com’è del tutto probabile, solo molto oltre l’attuale esistenza terrena.

Il vero filosofo è anche il vero uomo della Tradizione: egli desidera la verità più di ogni altra cosa, e ricerca assiduamente la chiarezza della mente, la limpidezza dei pensieri, una consapevolezza cristallina dell’ordine universale e del modo in cui gli individui, lui compreso, si integrano naturalmente all’interno di esso; la piena coscienza metafisica di se stesso. Egli, dunque, ad ogni occasione, indaga la logica profonda dell’esistenza, cerca di conoscerne le leggi eterne, di risolverne gli enigmi, di svelarne i misteri; purifica la propria mente da ogni idea erronea, da ogni concetto illusorio od opinione deviante. Egli dovrà liberarsi da qualunque individualismo, soggettivismo e particolarismo, dovendo invece sforzarsi di porsi sempre in maniera del tutto impersonale di fronte alla validità assoluta dell’insegnamento tradizionale, dovrà sempre cercare di pensare in maniera universale. Come un dio, non come un uomo mortale. Nello stesso tempo, sottopone se stesso ad un continuo esame di coscienza, non solo e non tanto in senso morale, ma rispetto alle proprie reali intenzioni, alle proprie profonde motivazioni, ai propri veri desideri ed obbiettivi; verifica la loro effettiva conformità con la meta finale prefissata; giudica la qualità della propria prospettiva e prassi esistenziale rispetto alle scelte fatte. Ad ogni istante della sua esistenza, infatti, dovrà esercitare il più acuto discernimento sulle proprie decisioni ed esperienze di vita, valutando obbiettivamente quali favoriscano il positivo avanzamento sul proprio sentiero, e quali invece lo ostacolino.

In tutto questo risiede la sua autenticità, la sua reale sincerità nel percorrere il sentiero liberamente scelto, che è la virtù assolutamente centrale ed essenziale, senza la quale tutto, malgrado il sapere eventualmente accumulato, non avrebbe alcun valore, alcuna reale sostanza. Il peggior nemico che egli possa mai avere è l’illusione, l’autoinganno circa la propria identità ed il proprio destino di uomo della Tradizione, di vero filosofo. E chissà che, procedendo in questo modo, dopo aver attraversato i deserti di questo mondo immerso nelle tenebre, un giorno egli non possa realmente incontrare il proprio Maestro, o conseguire autonomamente l’Illuminazione?

 

Giovanni M. Tateo