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L’Italia dei “tecnici” va in guerra

di Gennaro Migliore - 03/02/2012

Fonte: Gli Altri


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Se ai tecnici non piace essere disturbati mentre fanno “il bene del paese”, figuratevi quanto sia infastidito un militare, per di più ancora in piena attività! Allora non stupiamoci delle sbrigative consegne che l’ammiraglio Di Paola, che era fino a poche settimane fa presidente del Comitato militare della Nato e nel frattempo è diventato ministro della Difesa, ha trasmesso ai “civili” seduti in Parlamento e, di conseguenza, a tutti noi.

Si è trattato di un vero e proprio fuoco di fila e lo scenario non poteva essere più marziale di quello di Naquora, sede del quartier generale dell’Onu nel sud del Libano, proprio mentre il comando della missione Unifil passava di nuovo in mani italiane, quelle del generale Paolo Serra. Lì, invece di trovare il tempo di esaminare le diverse attività delle truppe italiane all’estero, magari evidenziando come la missione Unifil avesse consentito di preservare il cessate il fuoco per oltre cinque anni, a differenza di altre che sono state solo una avventura militare senza uscita (non a caso il governo Berlusconi ne voleva venir fuori, proprio mentre era impegnato nei bombardamenti contro i libici), ecco che l’ammiraglio parla di cambi nella gestione operativa del supporto aereo in Afghanistan, ribadendo quanto già aveva avuto modo di riferire alle commissioni parlamentari di Camera e Senato congiunte. Bombe sugli Amx per «usare ogni possibilità degli assetti presenti in teatro, senza limitazione», compresi i bombardamenti, naturalmente. Si tratta di un’affermazione grave, che tradisce l’intenzione di modificare definitivamente il ruolo della politica interna in tutta la proiezione internazionale del nostro paese: sul piano economico lasciando a Monti le mani libere per trattare con i potenti da pari a pari, su quello militare per non farsi condizionare da fastidiosi caveat che hanno per lungo tempo caratterizzato la discussione sui decreti di rifinanziamento delle missioni militari. Eppure, quei caveat sono stati il modo attraverso il quale si è dato conto della adesione, almeno alla lettera se non alla sostanza, al dettato costituzionale. Si potrebbe obiettare che il vero problema sia andarsene da quel teatro di guerra, cosa che dovremmo fare al più presto, ma l’esperienza ci dice che nulla di ciò che costituisce uno strappo rispetto alla gestione della presenza militare possa essere sottovalutato senza che vi siano conseguenze ancora peggiori.

Leggiamo tutti che nel 2014 Obama intenda ritirarsi da una guerra che non si può né si deve vincere, da un paese in cui ci sono meno alquaedisti di qualsiasi grande metropoli occidentale. E l’ammiraglio che fa? Rilancia e promette bombardamenti. Del resto, deve piacere molto la guerra tecnologica a Di Paola, visto che, in tempi di risparmi, ha chiarito che il programma di acquisto e parziale costruzione dei 135 F35 non si taglia mentre i risparmi potranno realizzarsi sul versante della riduzione dei soldati: dagli attuali 180 mila ad un futuro di 130 mila o meno. Non conta nulla, per lo zelante militare, neppure l’evidenza che quei mostri distruttori siano pieni di difetti, che altri paesi abbiano abbandonato il programma e che per ogni F35 ci toccherà chiudere un ospedale o tagliare ancora le pensioni (basti sapere che con soli due aerei si poteva risparmiare quanto è stato tagliato alle pensioni dei lavoratori precoci nati nel ’52/’53). Insomma, un nuovo modello di difesa che si basa tutto sulla capacità di “offesa”, i tagli alla truppa senza toccare i privilegi della casta dei generali e degli ammiragli (in Italia ce n’è uno ogni trecento militari contro uno ogni duemila negli Stati Uniti), la difesa sempre più legata a macro budget industriali per inseguire chimere tecnologiche che costano uno sproposito ai cittadini, invece di iniziare un serio percorso di riconversione delle avanzatissime tecnologie militari.

Nulla da dire, invece, per indicare un modello di difesa pienamente europeo ed integrato, dove basterebbe un esercito molto ridotto, con una conseguente ridiscussione del ruolo e della funzione della Nato. Ma, ritornando “a bomba” sul ruolo dei tecnici e del Parlamento, cosa ne dicono di queste esternazioni Monti e i partiti che dovranno esaminare il decreto di rifinanziamento delle missioni che in questi giorni è in votazione? Non sarebbe il caso di correggere, smentire, riportare la discussione nella disponibilità dei cittadini e non solo nel campo dell’arbitrio dei militari?