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Politico il Governo Monti? Molto peggio, Monti guida un governo antropologico

di Marzio Siracusa - 13/02/2012

Fonte: pensalibero


Il lapsus sulla monotonia del posto fisso rivela tutta l’abissale ignoranza del nostro amabile presidente del consiglio, talmente asservito alla concezione produttivistica a salto di rana secondo le strizzate d’occhio del mercato condizionato dal capitalismo finanziario, da ritenere ininfluente la frattura tra persona e lavoro. 

Mario Monti estende le sue dichiarazioni a lapsus calcolati su cui Giorgio Napolitano e gli eletti al Parlamento imbrancati nei partiti chiudono un occhio fidando nel governo dai tempi brevi. Si ricorderà il lapsus visivo organizzato in cui il nostro cattocalvinista si fece riprendere uscendo da Messa con la consorte il giorno stesso del conferimento dell’incarico. Un segnale calcolato per una popolazione in età media superiore ai cinquanta anni e con forti nostalgie per le ammucchiate democristiane al centro. Pochi giorni dopo un altro lapsus, questa volta verbale da cattofinanziere. Con l’amabilità che gli è compagna di vita, il nostro ricordò ai ricchi d’essere fieri del proprio status e quindi di dichiararlo, perché se i ricchi sono tali in quanto premiati da Dio, non di meno anche Dio vuole per voce di Bagnasco che le divine benevolenze passino attraverso la denuncia dei redditi. Ma il più plateale lapsus calcolato Mario Monti lo ha avuto durante la visita ad Obama, quando ha assicurato il presidente abbronzato che tenterà (sic!) di “far cambiare le abitudini degli italiani”, subito precisando di riferirsi alla lotta contro l’evasione fiscale, alla promozione del merito e alla corretta concorrenza. Tutti obiettivi encomiabili, ma che nascondono ben altre aspirazioni, dove la banale scoperta che un governo tecnico resta comunque politico va a farsi benedire, perché il governo Monti non è né tecnico né politico, il governo Monti è governo mosso dal dettato di una mutazione antropologica da imporre al paese dietro la facciata dei giusti correttivi alle sue disfunzioni.

Si entra allora nel merito di cosa stia davvero avvenendo e del perché l’amministrazione Obama riponga tanta speranza più che fiducia in Monti. La crisi economica, affatto superata, è di tale portata da rischiare per la prima volta dal 1945 una rottura non conflittuale ma di strategia storica e culturale tra le due sponde dell’Atlantico. La Casa Bianca è terrorizzata dall’idea che una crisi economica europea spinga il vecchio continente a ripercorrere conflitti sociali che pur incapaci di causare le spaccature delle democrazie come negli anni venti e trenta, potrebbero inseminare un progetto geopolitico nuovo per il vecchio continente. In poche parole la Casa Bianca ha il terrore di vedersi isolata, e piace dirlo, finalmente isolata nel proprio emisfero, dove la dottrina Monroe dell’”America agli americani” si rivelerebbe una mesta trappola terminale. Un ribaltamento geopolitico dell’Europa a lungo termine segnerebbe il fallimento conclusivo del processo politico e culturale di supremazia avviato nel 1898 con la guerra alla Spagna, nel 1918 col soccorso all’Intesa per affossare la ex Triplice e infine con l’apoteosi del 1945 prima, vedi distruzione dell’Europa continentale e del Giappone, e poi del 1989 con la caduta del muro di Berlino. Affermare che sotto la “american way of life”, puntellata dalle ferree leggi dell’economia speculativa, si dispieghi una strategia culturale prima ancora che politica, non è certo una novità, ma mai come in questa fase si era manifestato l’imperativo antropologico di dover difendere l’”american way” costi quel che costi, e il ricatto ai paesi europei con i conti meno in regola sta a dimostrarlo. L’apoteosi di Monti fatta dai media americani non nasce dall’elogio del professore che ben governa, l’apoteosi di Monti deriva dalla speranza nella sua capacità di addormentare e quindi annullare i primi sintomi di rigetto della cultura atlantica che sotto varie forme disciplinari, storiografiche soprattutto e in virtù d’un primato culturale che nemmeno l’affabulazione hollywoodiana è riuscita a distruggere, vedono l’Italia all’avanguardia rispetto a un coacervo di nazioni europee prime della classe ma allineate, nazioni che le attardate élites italiche ci indicano ancora a modello perché le giudicano funzionanti e molto “svizzere” o “svedesi”. Sembra sfuggire che l’attuale posta in gioco valica di anni luce il problema del “welfare” e della buona amministrazione, e ciò perché partiti e sindacati asserragliati nella difesa dell’orticello, sono da decenni privi di un benché minimo progetto politico per l’Italia, progetto addirittura paventato scioccamente come rigurgito nazionalista. L’Italia invece, e gli States mostrano di esserne consapevoli, possiede e cova un potenziale pensiero critico pericoloso per la cultura atlantica, pensiero già in modo scomposto affiorato in singole voci del neomarxismo più intelligente, ma ancora non incanalate in una matrice comune che ne faccia istanza culturale politica e quindi progetto contro l’anonimato dell’ammucchiata europeista. L’Italia di Berlusconi, pur scoperto a brache in mano e suo malgrado, stava imboccando una deriva pericolosa per il cosiddetto Occidente, deriva a cui occorreva porre rimedio. Monti e i suoi lapsus calcolati a bocca pia di seminarista, obbediscono alla bisogna del ritorno all’ordine voluto da Washington. Il cavaliere invece, flirtando accordi tra Putin e Gheddafi, rischiava di mettere in crisi la “pax” americana, e ciò gli ha meritato l’inclusione nella primavera araba, fino a diventare il quarto leader defenestrato, dopo Tunisia, Egitto e Libia infatti è toccato all’Italia, e poi toccherà alla Siria e infine, sogno dei sogni atlantici, forse all’Iran. E quale pietoso e tardivo pannicello sintomo d’una sinistra fuori orario si rivela la visita di Bersani a Tunisi, veramente qualcosa di così patetico da suscitare quasi simpatia e elemosina, anche se alla fine perfino a sinistra si comincia a sospettare che il grimaldello d’una nuova politica interna non stia nei giochetti tra partiti ma in una nuova politica estera, ossia ben altro dell’andare a scodinzolare a Bruxelles. Tutta la pagliacciata orchestrata intorno allo spread, che cominciò a salire rispetto ai titoli tedeschi con la vittoria di Berlusconi nel 2008 fino al culmine parossistico del novembre 2011, sfociato poi nell’attuale sgonfiamento a precipizio, è stata la maschera economica e terroristica per coprire un discorso strategico di ben più ampio respiro. A meno che non si sia tanto ingenui da credere che la speculazione internazionale si sia ritirata grazie alle manovre del governo Monti sulle pensioni, sull’Iva, sull’Imu, sulle regole di transazione col contante e sulla disciplina lavoristica, o su altri piccoli lapsus calcolati in Consiglio dei Ministri, come quello sugli studenti sfigati, la monotonia del posso fisso e via ciarlando.

Ma proprio il lapsus, fatto passare per estemporaneo, sulla monotonia del posto fisso a differenza dei giulivi lavoratori itineranti degli States, conferma gli obiettivi antropologici del governo Monti. Per il quale la monotonia del posto fisso sarebbe combattuta da un excursus lavorativo che magari prevede da giovani pagarsi gli studi facendo il becchino nel Tennessee e poi il carpentiere in Carolina, e quindi, ottenuto finalmente il “d.ph.” negli eccelsi campus yankee, diventare professore di lettere in Dakota, per poi, con altro d.ph., concludere la carriera lavorativa come attorney at law in Minnesota. Il lapsus sulla monotonia del posto fisso rivela tutta l’abissale ignoranza del nostro amabile presidente del consiglio, talmente asservito alla concezione produttivistica a salto di rana secondo le strizzate d’occhio del mercato condizionato dal capitalismo finanziario, da ritenere ininfluente la frattura tra persona e lavoro, frattura tanto più rimarchevole quanto più è condizionata dal susseguirsi di molteplici e disarmonici impieghi lavorativi usa e getta. E al riguardo non si dimentichi la ciliegina, Mario Monti vorrebbe proporsi come cattolico difensore della persona e da tale si è presentato allo stralunato Ratzinger.

L’ultimo lapsus calcolato di Monti per tranquillizzare Obama: “Cambierò le abitudini degli italiani”, va ben oltre i problemi della promozione del merito e della lotta all’evasione, e suona piuttosto simile alle ridicole velleità di Mussolini che voleva piantare più abeti in Italia per rinvigorire in senso nordico lo spirito a suo dire rammollito del popolo. Siamo sulla stessa lunghezza d’onda, il governo Monti nutre velleitarie pretese antropologiche, e quando si parla di prove reali e non immaginifiche di regime, si deve ricordare che un governo che vuole incidere nel bene e nel male sulle abitudini dei governati, è sempre un regime antropologico. Al di là della dichiarata, quanto dubbia affermazione che le categorie destra e sinistra non hanno più senso, non si presta sufficiente attenzione a come pigiando con la scusa del governo tecnico il pedale antropologico rispetto a quello politico anche la democrazia più garantista e libertaria possa diventare regime. Bombardati da immagini e interpretazioni obsolete dei vecchi assolutismi, ad esempio nell’ossessiva riproposta mediatica dei misfatti del nazifascismo e dello stalinismo col pretesto di non dimenticare, le nostre coscienze sono ingrassate in problematiche morte ma fatte credere pericolose e dietro l’angolo, mescendo a getto continuo come antidoto libertà vuote per carcerare l’individuo nei propri deliri e farne il fantoccio del mercato. Il quale deve crescere “ad infinitum” fidando che l’orbe terraqueo sia malato di ipertiroidismo. Per sottrarsi a questo inferno insensato occorre prima di tutto saper avvertire l’analgesico appiccicato al passaggio dall’oppressione politica all’oppressione antropologica, per cui nuove modalità di regime ci soffocano con vincoli suadenti e gratificanti. In tale contesto il piano politico di uno stato scivola nel piano antropologico e diventa in silenzio incontestabile e senza opposizione, il tutto perché la cultura atlantica permetta agli States di continuare a credere di essere ciò che non sono né mai saranno, il modello conclusivo dell’umanità. L’Italia dovrebbe rendersi conto, e l’Europa se ci riesce, di vivere la condizione del coniuge molestato dall’altro coniuge, gli States, angosciato dall’idea che la convivenza con false pari opportunità finisca sancendo la sconfitta storica della propria ragione d’essere. A questo attacco senza precedenti in tempi di pace recitata, visto che Roma non poteva essere bombardata come lo furono Tripoli e Baghdad e come lo sarà Damasco, dopo quasi un secolo di sudditanza scivolosa l’Italia dovrebbe reagire rigettando con fermezza il vizio mentale suicida dei nostri ottocenteschi maestrini istituzionali propensi a illustrare che la ex fratellanza universale sia interpretata dal globalismo saccente ma tracotante a imporre la caricatura tecnologica dell’umanità americanizzata come destino irreversibile. La storia d’Europa non muore se muore quella andata in scena nel 1957 dietro regia americana. Perché allora non cominciamo a vivere come individui e collettività un dopo che sia il dopo gli States? Perché non indossiamo almeno da vecchi un vestitino nuovo dell’immaginazione, nel sentire e nel pensare, per liberarci gli occhi colonizzati in ogni atomo visivo e sapere prima di morire cosa d’alternativo c’era al mondo?