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Il ladrocinio del finanziamento pubblico dei partiti

di Francesco Mario Agnoli - 16/04/2012

Ancora una volta le reazioni dei partiti e  dei politici  dimostrano  quanto  grande sia l'abisso di incomprensione che li separa dalla società civile, dai  cittadini, che pure pretendono di rappresentare. Chi scrive non è certo fra gli ammiratori del governo tecnico e tuttavia tanta incomprensione  e tanta insensibilità nei confronti  delle richieste che salgono dal  paese finiscono col giustificare la scelta tecnocratica compiuta tre mesi fa dal presidente della Repubblica e comunque danno ragione della benevola accoglienza  riservata  dagli italiani a Mario Monti e al suo governo di banchieri e professori.

    Le  recentissime vicende della Margherita e della Lega e dei rispettivi  tesorieri, l'utilizzo dei fondi provenienti dal finanziamento pubblico dei partiti (cosiddetto “rimborso delle spese elettorali”) per scopi  personali hanno indubbiamente diffuso nell'opinione pubblica un notevole sconcerto e vere e proprie fiammate di sdegno che, sulle prime,  i partiti sembravano avere colto.  Difatti i vari leader politici hanno fatto a gara ad escludere la necessità di un intervento diretto del governo (magari con decreto-legge) volendo  assumersi le proprie responsabilità e farsi carico in prima persona di  interventi da varare a tamburo battente, perché Roma brucia. Una solerzia da meritargli  le lodi di tutti  i cittadini, in prima fila quelli  che nel  1993 avevano decretato il trionfo della proposta referendaria per l' abolizione del finanziamento pubblico (90,3% di voti a favore) e degli altri che  lo avrebbero ugualmente approvato se avessero avuto l'età per il diritto di voto.

   In realtà i più prudenti avevano subodorato  fin dal principio che  non tutto luccicasse  in tanta fretta e  avevano sospeso l'applauso. Prudenza più che giustificata dal momento che  il provvedimento  predisposto dalla maggioranza dell'ABC (Alfano, Bersani, Casini) riguarda esclusivamente  il controllo (affidato all'ennesima authority) sulle modalità di spesa  e sulla  destinazione dei fondi del finanziamento pubblico, che, non solo non viene soppresso (nonostante il referendum del '93 era davvero difficile contarci), ma nemmeno ridotto.  Eppure anche i più moderati, i più propensi a prendere sul serio Bersani, che dice di volere  il finanziamento pubblico perché senza vincerebbe Berlusconi, quanto meno su un consistente taglio ci contavano. Del resto non mancava lo spazio per una decisa sforbiciata se si considera che (conteggi della Corte dei Conti) dal 1994 ad oggi il sistema dei partiti ha ricevuto  2 miliardi e 253 milioni di euro mentre le spese elettorali da rimborsare non superavano i 579 milioni.

    Naturalmente, accanto alle “berlusconate” di Bersani,   vi sono anche  i  discorsi più seri e le dotte dissertazioni sulla irrinunciabile funzione dei partiti politici, che debbono essere messi in condizione di adempiere al loro compito di insostituibili pilastri della  democrazia. Tuttavia anche a   darli per buoni (molti illustri politologi ne dubitano)   proprio il fatto  che siano sopravvissuti  e abbiano tranquillamente operato nonostante colossali appropriazioni indebite e  malversazioni (delle quali per anni   nemmeno si sono accorti nonostante  le rilevantissime somme  in gioco - addirittura,  nel caso della Margherita,  dai 20 ai 35 milioni di euro dirottati a proprio favore dal tesoriere Lusi -), dimostra  che  per operare con efficacia i partiti non hanno affatto bisogno dei fiumi di denaro  che lo Stato toglie all'Erario (quindi ai contribuenti) per versarlo  nelle loro casse.

     Ecco allora che la fretta  dei legislatori  si spiega con la volontà di salvare il malloppo bloccando  il  dibattito alle colpe dei tesorieri e alla instaurazione  di migliori controlli prima che i cittadini si rendano conto fino in fondo, traendone le logiche deduzioni, che loro il vero danno l'hanno già patito quando una parte troppo grande dei proventi delle loro tasse è stata devoluta ai partiti, mentre l'ulteriore  danno arrecato dai vari  Lusi e Belsito riguarda soprattutto  (se non esclusivamente)  i partiti e, a tutto concedere, i loro militanti.