Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il denaro come stile di vita*

Il denaro come stile di vita*

di Massimo Fini - 13/07/2006


Proprio mentre il denaro si stacca definitivamente
dalla materia, diventando una mera astrazione, raggiunge
la sua massima potenza, quale non ha mai avuto in
nessun precedente periodo storico.
Si può anzi dire che il progressivo dominio del denaro
va di pari passo col suo progressivo allontanarsi dalla
materia. Il denaro non è mai stato così presente nella
nostra esistenza come oggi che, fìsicamente, è assente.
Non solo ha subordinato l'economia e la politica ma,
senza che ce ne rendiamo ben conto, impregna la nostra
mentalità, modella le nostre coscienze, determina i nostri
stili di vita.
Il denaro ha accelerato in modo parossistico tutti i
ritmi dell'esistenza. Fino a che al centro della società e
dell'economia c'è stata la terra, e il denaro non esisteva
o aveva un ruolo marginale, la vita seguiva i tempi lenti,
lunghi, ciclici della natura. È sufficiente mettere a raffronto
la capacità di circolazione della proprietà fondiaria
con quella del denaro per rendersi conto dell'abissale
differenza di ritmo. Il denaro, soprattutto da quando si
è affrancato dalla moneta-meice, è sempre stato mobilissimo,
ma i suoi successivi raffinamenti, fra cui è fondamentale
la banconota, sono siati altrettanti colpi di acceleratore
e adesso che si è smaterializzato del tutto la sua
velocità è superiore a quella della luce: perché si sposta
21}
senza muoversi. L'aumento di velocità non riguarda
però solo la circolazione ma anche, per così dire, la mutazione
del denaro che cambia di continuo il suo valore,
molto più di quanto non accadesse in passato. «Prima
degli anni 70 i tassi di cambio variavano in media solo
ogni quattro anni, i tassi di interesse due volte l'anno, le
società ritoccavano i loro listini una volta l'anno e decidevano
nuovi investimenti anche più di rado. Negli anni
70 e '80 le cose vanno molto diversamente. I tassi di
cambio variano ogni quattro ore, i tassi di interesse e i
prezzi molto spesso e le società decidono nuovi investimenti
ogni anno. In altre parole l'intero sistema economico
mondiale ha affrettato il passo»1. Così scriveva
Nigel Thrift in un libro del 1986. Attualmente i tassi di
cambio, per limitarci a questi, variano si può dire a ogni
istante. Il denaro finanziario ha dato un'ulteriore, poderosa,
spinta alla velocizzazione. Non essendo infatti denaro
che compra merci, le quali presuppongono comunque
del tempo per spostarsi, ma altro denaro, la velocità
copre entrambi i lati dello scambio: a quella del mezzo
che acquista si aggiunge quella di ciò che è acquistato.
Infine l'accelerazione progressiva è insita nello stesso
meccanismo del denaro che per restare in piedi deve
essere sempre in movimento e sempre più rapidamente
in modo che l'illusione che esso è, passando freneticamente
di mano in mano, rimbalzando ai quattro angoli
del globo, non si riveli tale. La velocità è essenziale al
denaro, come l'invisibilità al dio, perché maschera e
occulta la sua inesistenza.
Poiché il denaro è il centro del nostro sistema, economico
e sociale, noi abbiamo dovuto adattare il nostro
passo al suo. Basta entrare nell'ufficetto di qualsiasi piccolo
broker, accerchiato da monitor, altoparlanti, telefoni,
fax, lo sguardo fisso sullo schermo gigante e multicolore
della Reuter che, attraverso un megacalcolatore, lo
tiene collegato in modo permanente con 20.000 case finanziarie
e con tutte le grandi Borse del mondo, per
capire a quali stress, a quali fibrillazioni, a quali sollecitazioni
da Formula Uno sia sottoposto un uomo che
lavora con il denaro2. Solo un po' meno evidenti ed
esasperati sono gli stress, le fibrillazioni, le sollecitazioni
che ritmano l'esistenza di tutti coloro che vivono all'interno
dell'odierna economia monetaria. Ciò spiega anche
l'apparente paradosso, che è esperienza comune e
quotidiana, per cui l'uomo moderno, che proprio allo
scopo di risparmiare tempo dispone di mezzi velocissimi
per muoversi e comunicare (automobili, aerei, telefoni,
telefonini, fax, computer), non ha mai tempo, è in perpetuo
affanno, «con gli occhi costantemente fissi all'orologio
»3. Sono i ritmi cui ci obbliga la logica del denaro
a prenderci il tempo.
Ma nel rapporto col tempo, più determinante ancora
della sua missilistica velocità è il fatto che il denaro,
nella sua essenza più profonda, è futuro. Siamo troppo
impegnati a proiettare, a progettare, a pianificare per
goderci il «qui e ora». Noi non abbiamo tempo di vivere
il presente perché ci è rubato dal futuro.
L'uomo della società premonetaria, il contadino, l'artigiano,
ignora il futuro e vive nel presente, un tempo
non sincopato, disteso, ampio, fluido, armonico, che è il
tempo di natura - così diverso da quello astratto, intellettualizzato
e nevrotico del denaro -, ne ha una concezione
vaga e non affannosa che noi oggi diremmo «araba
» e lo scialacqua con la stessa tranquillità con cui i
nobili dilapidavano le loro ricchezze.
Il denaro è numero. «Introduce di per sé la necessità
di continue operazioni matematiche nell'esperienza quotidiana
»4. La vita è diventata un inesausto far di conto,
soppesare, calcolare, misurare i costi e i ricavi delle nostre
e delle altrui azioni. Tutto è tradotto e valutato in
termini di denaro. Tutto è business. Anche le attività più
spirituali e i sentimenti più sacri ne vengono coinvolti e,
214 215
spesso, travolti. La ricorrenza dei morti non è più semplicemente
il giorno in cui ci si raccoglie per commemorare
i defunti ma "un business da 100 miliardi"»5. La
festa americana di Halloween non è più una magica notte
di folletti e di streghe ma «un business da un miliardo
di dollari»6. E così col Natale, la Pasqua, il giorno della
mamma, del papa, dei fidanzati, della donna.
I matrimoni dei Vip non sono matrimoni ma show e,
soprattutto, business con la vendita di esclusive alla Tv
e di fotografie e dettagli, più o meno piccanti, ai giornali
specializzati.
Lady Diana Spencer non aveva ancora fatto in tempo
a morire che già la sua tragedia si era tramutata in un
affare colossale, in compravendita di cartoline-ritratto,
di distintivi «I love Diana», di magliette con la data della
morte, di bomboniere, di cucchiai, di tazze, di tovagliette
da té con la sua immagine; nel boom di libri sulla
defunta, in istant-book, in film, nel commercio di fotografie
di lei viva e di lei morta. Più tardi sono state
messe in commercio una bambola Cindy col viso di
Diana e una margarina, una saponetta e una schiuma da
bagno sponsorizzate con la sua firma, mentre una casa
automobilistica si è fatta pubblicità speculando sull'incidente
mortale. Tanto che il Wall Street Journal ha parlato
di «industria princess Diana». Del resto subito dopo
la morte di Lady D, in uno dei tanti speciali e talk show
dedicati all'avvenimento dalla televisione italiana (altro
modo di sfruttare commercialmente l'industria princess
Diana) un paparazzo partecipava sinceramente al dolore
collettivo lamentando il «mancato guadagno», così si
espresse, che la scomparsa della fotografatissima principessa
comportava per la categoria. Per visitare la tomba
di Diana Spencer si paga il biglietto. È la prima volta
che accade. Che il ricavato sia devoluto in beneficenza
non cancella il fatto che, anche qui, un sentimento è
stato convertito in valore di scambio, in denaro. Intanto
i bagarini impazzano, facendo commercio del sepolcro.
Ai funerali Elton John non può limitarsi a cantare un
requiem per l'amica morta, deve mettere in circolazione
un disco che, alla fine del suo ciclo, avrà venduto più di
tre milioni di copie e incassato i soliti miliardi di dollari.
Tutti i concerti rock cosiddetti «benefici» e «umanitari»
(Live Aid, Eand Aid's, Usa for Africa, Farm Aid, Ferry
Aid, Italy for Italy, Conspiracy of Hope, Concert for
Human Righi Now!) sono in realtà colossali affari per i
cantanti e le case discografiche che vi partecipano e gli
sponsor che li finanziano.
Andarsi a fare una buona mangiata e una bevuta non
è più quello che abbiamo sempre conosciuto. Istruiti da
mappe, guide, strilli pubblicitari ci inseriamo nel circuito
del «turismo enogastronomico» che, come dice con
occhi luccicanti un operatore del settore, «è un giacimento
di soldi»7.
L'obesità è una malattia che va prevenuta non perché
è causa di grave sofferenza ma perché curarla «è un
costo economico». E, più in generale, tutte le malattie
non sono misurate in drammi ma in denari. Nemmeno
gli accadimenti della natura sono più accadimenti della
natura o, comunque, hanno cambiato segno. Se in Italia
qualche giorno di pioggia viene a mitigare l'inizio di
un'estate che si preannuncia assassina non si può tirare
un sospiro di sollievo perché c'è il caso che i tedeschi
disdicano le prenotazioni e le televisioni e i giornali si
affannano a quantificare, precisare, monetizzare il rischio.
Se nevica fuori stagione non è un danno per l'agricoltura
e un disagio per gli umani ma un affare per gli
impianti sciistici.
Neppure la vecchiaia è più la vecchiaia ma il «rischio
vecchiaia»8, nel senso che se uno non si affretta a crepare
c'è il pericolo che in età avanzata si trovi a corto di
quell'elemento senza il quale oggi nessuno può vivere: il
denaro. Laddove in epoche preindustriali, in economie
216 217
meno monetarie, forse si moriva qualche anno prima ma
nessuno si sarebbe mai sognato di parlare di un «rischio
vecchiaia» (sullo stesso piano del «rischio furto» o del
«rischio incendio») perché gli anziani non erano affidati
alla fredda logica del denaro ma alle cure vive della famiglia,
delle donne, dei bambini, dei membri adulti, dei
parenti, dei servi. Peraltro il desolato abbandono in cui
vivono i nostri vecchi e la scarsissima considerazione di
cui godono, a differenza della civiltà che ci ha preceduto,
dipendono da una serie complessa di fattori9, due
però sono riconducibili direttamente al denaro. È stato
il denaro a disintegrare la famiglia patriarcale. Scrive
Simmel: «La forma-denaro plasma la famiglia in modo
diametralmente opposto alla struttura che la proprietà
collettiva, in particolare quella del suolo, le conferiva.
Quest'ultima creava una solidarietà di interessi che si
presentava sociologicamente come continuità di legami
fra i membri della famiglia, mentre l'economia monetaria
rende loro possibile una distanziazione reciproca,
anzi la impone»10. Inoltre i vecchi sono cittadini di seconda
serie in quanto consumatori deboli. Per farsi accettare
devono quindi darsi a sgambettamenti impudichi,
soddisfare bisogni di cui non hanno bisogno, non
hanno nemmeno più la libertà di lasciarsi andare alla
loro età, devono fìngere di essere giovani ed economicamente
attivi, utili nel solo senso che oggi è socialmente
riconosciuto u.
«Oggi il principio fondamentale di ogni agire economico
è la mancanza di scrupoli» scrive Sombart12. Il
denaro rende molto più facile la corruzione. Perché
cambia di proprietà con una segretezza, una silenziosità
e una velocità impossibili ad ogni altro oggetto, dato
che, soprattutto adesso che è comprimibile in un impulso
elettronico, è quasi invisibile. Il denaro non lascia
tracce e nasconderlo è un gioco elementare. Nota Simmel:
«La sua mancanza di forma e la sua astrattezza
consentono di investirlo nei più svariati e lontani valori
e di sottrarlo agli occhi di coloro che ci circondano più
da vicino. La sua anonimità e la sua assenza di qualità
rendono irriconoscibile la fonte dalla quale è fluito. Non
ha in sé alcun segno d'origine»13.
Nell'economia monetaria la corruzione raggiunge
quindi il suo massimo sviluppo. La cosa è documentata
statisticamente. Nella società contemporanea la criminalità
attinge livelli, sia quantitativi che qualitativi14, che
non erano stati sperimentati in alcun periodo precedente,
per barbaro e violento che fosse, ma i delitti legati al
denaro aumentano in una proporzione molto maggiore
degli altri. Prendiamo le serie statistiche che riguardano
la criminalità in Italia dal 1900 ad oggi. Gli omicidi sono
passati da 9,1 per 100 mila abitanti del decennio 1901-
1910 a poco meno di 13 per 100 mila abitanti nel periodo
1985-1994. Un aumento contenuto se si considera
anche che vi sono compresi gli omicidi colposi, resi
molto più facili dalla complessità della tecnologia moderna
(si pensi solo agli incidenti automobilistici). Le
percosse e le lesioni personali sono addirittura diminuite:
da 260,7 del decennio 1901-1910 a 205,6 del 1994.1
furti sono invece passati da 396,8 per 100 mila abitanti
del periodo 1901-1910 a 2931 del 1994, le truffe da 62,5
a 237,1, le rapine, le estorsioni, i sequestri di persona a
fini di lucro da 11,5 a 10015. I furti sono quindi aumentati
di sette volte, le truffe quadruplicate, le rapine, le
estorsioni, i sequestri di persona a fini di lucro addirittura
decuplicati.
Nell'ambito della criminalità finanziaria si verifica
però un fatto assai curioso e significativo. Mentre il furto
di piccole quantità di denaro è considerato degradante
e miserabile dalla coscienza sociale dominante, quello
di grandi e grandissime somme è visto con ammirazione
e spesso si ritiene se non proprio riprovevole perlomeno
disdicevole, una vera mancanza di gusto, il perseguirlo.
218 219
Insomma se rubi 100 mila lire sei inequivocabilmente un
ladro, ma se rubi qualche decina di miliardi, come è
provato dalla cronaca odierna, sei un grande imprenditore
o un abile e funambolico finanziere. Questo paradosso
è dovuto anch'esso alla peculiarità del denaro la
cui unica qualità è la quantità. E una grande somma di
denaro, in una società che su di esso si basa, incute
sempre un certo rispetto che riverbera la sua luce favorevole
su coloro che, a qualsiasi titolo, la detengono o se
ne siano impadroniti16. «I ricchi sono diversi dagli altri»
diceva Fitzgerald che, nonostante il suo talento, li invidiava
disperatamente. «Sì», gli rispondeva sarcasticamente
Hemingway, «perché hanno più denaro». Avevano
ragione entrambi. Il denaro conferisce un'aura che,
salvo rare eccezioni, chi ne è privo non ha, per cui da
chi ne possiede molto o moltissimo la società è disposta
a tollerare e a giustificare, con i più svariati argomenti,
comportamenti, anche criminali, che non sono viceversa
consentiti a coloro che hanno scarsi mezzi17. Esiste per
chi traffica denaro ad alto livello un'etica diversa da
quella che vige per i comuni mortali. Questa è una delle
concause della profonda e consumata immoralità delle
moderne élites economiche. Su questo piano si sono
fatti molti passi indietro anche rispetto ai primi secoli
dell'espansione dell'economia monetaria. Una delle
principali virtù del mercante e dell'imprenditore del xix
secolo è, come ci dice Franklin, Vonestà. Non per ragioni
di moralità bensì di utilità. L'onestà è utile perché, a
quel tempo, da credito, quindi denaro. Non si tratta
perciò di una moralità profondamente introiettata, ma
dettata da ragioni di opportunità e interesse. Allorché
queste vengono meno scompare anche l'onestà appiccicaticcia
del mercante e dell'imprenditore insieme a quell'etica
protestante che, a detta di Weber, faceva da supporto
morale al capitalismo18. Ciò succede quando l'economia
monetaria si espande a tal punto da collegare
fra loro non più individui ben definiti e conosciuti in un
ambito circoscritto ma soggetti lontani nello spazio. In
seguito la velocità, la vorticosità, la complessità, la superficialità
della vita moderna rendono difficile una reale
conoscenza anche delle qualità del vicino. A questo
punto l'onestà, diventata in pratica inverificabile, non
serve più, non è più un elemento del credito.
Ma la disinvoltura morale delPimprenditore moderno,
figura centrale dell'economia monetaria, ha rotto definitivamente
gli argini da quando non rischia più soldi suoi
ma altrui. Il mercante e anche il capitalista dei primi
secoli dell'industrialismo investiva quasi esclusivamente
capitale suo e della sua famiglia. Il ricorso sistematico
al credito era considerato affare per «gente disonesta»,
per avventurieri che venivano tenuti al margine del
«salotto buono» dell'imprenditoria. Ancora Henry Ford
in pieno Novecento si rifiutò a lungo di ricorrere
al credito bancario ostinandosi a finanziare gli investimenti
con capitale proprio. Addirittura Angelo Rizzoli
senior (e siamo ormai nel 1970) raccomandava ai figli sul
letto di morte di «non fare mai debiti con le Banche»19.
Ma erano gli ultimi sussulti di un capitalismo sorpassato
da tempo e destinato a essere travolto. Lo sviluppo delle
imprese e la necessità di investimenti colossali, perché
proiettati in un futuro sempre più lontano, rendono
indispensabile, oltre che molto più comodo e vantaggioso,
il ricorso al credito. Gli imprenditori, soprattutto i
grandi, non detengono che quote minime dell'Azienda
di cui sono titolari. Sempre più spesso inoltre nelle
posizioni di comando non c'è nemmeno il principale
azionista ma il manager. E quando si manovra denaro
altrui la mancanza di scrupoli, in ogni direzione, è molto
incoraggiata. Perché non si ha nulla da perdere né in
termini di quattrini né di credibilità il cui eventuale venir
meno, per operazioni un po' troppo disinvolte, ricade su
un organismo impersonale come l'Azienda o su anonimi
220 221
azionisti. Tutt'altra cosa, anche per quanto riguarda il
rispetto di un minimo di etica professionale, era quando
l'imprenditore rischiava denaro e credibilità propri.
Divenuti inservibili, ai fini del credito, ai vecchi valori
dell'onestà, della sincerità, della moderazione, della misura,
cari a Franklin, se ne sostituisce un altro di tipo
molto diverso: l'Immagine. È ciò che gli antichi chiamavano
Prestigio che, inteso come posizione sociale dell'individuo
in seno al gruppo, è sempre stato un interesse
primario dell'uomo20. Solo che un tempo era determinato
da caratteristiche (la forza fisica, l'onore, la dignità, la
generosità, la sapienza, l'appartenenza a un certo gruppo)
che nulla avevano a che fare con la sfera economica;
la ricchezza ne era caso mai una conseguenza. Tanto che
si poteva avere prestigio senza essere ricchi, come era
per i nobili decaduti dell'ancien regime che anche con le
pezze al culo continuavano comunque ad appartenere
ad una casta superiore e non avrebbero rinunciato al
proprio status nemmeno, come significativamente si
dice, «per tutto l'oro del mondo», preferendo far la
fame piuttosto che essere degradati. E fino a pochi anni
fa, come ricorda Mathieu, erano considerati «signori»,
soprattutto nelle campagne, coloro che non erano costretti
ad esercitare un lavoro servile anche se, in molti
casi, non erano affatto ricchi. Per contro un contadino
non era «signore» nemmeno se diventava proprietario di
molte terre; «non perché fosse rozzo e incolto (a volte
non lo era per nulla), bensì per la sua posizione»21.
Persine nella mafia d'antan, che peraltro è un residuo
del mondo feudale, una resistenza alla modernizzazione,
l'«omo de panza» ha prestigio non perché ricco (quasi
mai lo era) ma perché «manda e giudica», ha quindi
potere. E anche oggi che la mafia si è industrializzata e
finanziarizzata e i mafiosi hanno accumulato ingenti
patrimoni si vede chiaramente dal tipo di vita squallido
e anonimo che conducono i loro capi che ciò che veramente
interessa costoro non è la ricchezza, di cui non
possono far uso e tanto meno sfoggio, quanto il prestigio
di cui godono. E questo prestigio non deriva loro
dal denaro ma da caratteristiche preeconomiche come il
coraggio, la crudeltà, l'omertà, la lealtà verso il gruppo.
Il mafioso che tradisce può essere ricco quanto vuole ma
all'interno del suo ambiente, e anche un po' più in là,
perde la faccia22 e diventa un «infame»23.
Ma questi sono appunto residui, criminali e deviati, di
una mentalità feudale. Nella società moderna invece si
ha prestigio se si è ricchi e a venir di conseguenza è il
resto: l'onore, la dignità, la rispettabilità, la posizione
sociale. E qui il denaro entra in uno dei suoi circoli
viziosi. Si ha prestigio se si ha denaro, ma si ha denaro
anche grazie al prestigio (o, se si preferisce, all'immagine)
perché è questo a conferire quella credibilità e quella
fiducia che un tempo, in campo commerciale ed economico,
erano riservate dall'onestà.
Si assiste quindi ad una disperata caccia al binomio
denaro-prestigio da parte di chi, in una società come la
nostra, non avendo l'uno non può avere nemmeno l'altro.
La posizione di costui è particolarmente intollerabile
perché gli vengono a mancare entrambi gli elementi
che oggi forniscono un'identità sociale. Nella comunità
tribale e in quella del villaggio, quindi in Europa fino a
pochi secoli fa, ogni individuo per povero che fosse
aveva un ruolo ben definito e una precisa identità e
quindi anche un suo prestigio. Al minimo era il prestigio
del gruppo che riverberava sul soggetto il quale aveva
l'orgoglio di appartenervi. Oggi invece se l'etica protestante
è caduta per il lato che imponeva ai ricchi e a
coloro che aspiravano a diventarlo certe regole di comportamento,
è rimasta in piedi per quello opposto: i
poveri sono tali per colpa loro, sono degli inetti. Perduti
il ruolo, l'identità, il senso di appartenenza, scomparsa e
dileggiata «l'etica della povertà dignitosa», chi non ha
222 223
denaro, se non per la semplice sussistenza o poco più, si
trova nell'assoluta necessità di procurarselo con ogni
mezzo24. Altrimenti scade a una condizione che è meno
di quella del paria dell'India che perlomeno appartiene
a una casta, per quanto infima. Nella società massificata
chi non ha denaro non ha identità, è un nulla.
E se è beffardo che sia la mancanza di un Nulla a
definirci come nulla è però del tutto logico e conseguente.
Come nota Johan Huizinga l'uomo misura l'esistente
secondo l'intima logica degli strumenti di cui abitualmente
si serve25. Per noi il principale è il denaro, che
oltretutto è, per definizione, misura dei valori, per cui è
naturale che la tendenza sia misurare con esso anche
l'uomo. Oggi il valore di una persona si esprime in denaro.
Von Mises, che nella sua brutalità è sempre significativo,
parla senza ipocrisie di «un uomo che vale trecentomila
dollari», di «un uomo che vale un milione di
dollari» e così via26. E anche di recente alla morte di
alcuni importanti personaggi la stampa e le televisioni
non hanno saputo dire molto di più del fatto che «valeva
tot miliardi di fatturato annuo».
Il prestigio moderno valutato in denaro è però vago
perlomeno quanto quest'ultimo. Nota Bazelon: «Con un
dollaro rubato, un dollaro falso, un dollaro preso in
prestito o con un dollaro capitatomi fortuitamente in
mano in uno dei mille modi possibili io posso comprare
la stessa quantità di uova strapazzate che posso comprare
con un dollaro duramente guadagnato»27. Il denaro
può essere fatto da chiunque e in qualsiasi modo, lecito
e illecito, praticando le attività più futili e cretine, perché
il denaro segue la sua logica, quella del mercato, che
non necessariamente ha a che fare col garbo, lo stile, il
buon gusto, la cultura, la sensibilità d'animo se non con
l'intelligenza. Anzi quasi sempre ne è per forza di cose
distante dato che il mercato, per essere remunerativo,
deve raggiungere quanti più soggetti possibile e quindi
abbassare al massimo la qualità dei suoi prodotti e, spesso,
dei suoi produttori. Ciò da alle attuali élites, vale a
dire all'aristocrazia del denaro che è la vera nobiltà del
xx secolo, quella che generalmente passa sotto l'insolente
nome di jet set (dove convivono, confusi e omologati
dal denaro, il grande imprenditore, il finanziere disinvolto,
il truffatore d'alto bordo, la pop star, il calciatore,
Vanchorman, la show girl, la gran mondana, la top model,
il guitto di successo), un inconfondibile tratto di
volgarità.
In quanto numero e calcolo il denaro è un ostacolo
all'impulso, all'istinto, all'immediatezza, alla spontaneità.
La mancanza di generosità, di solidarietà, di slancio
che caratterizza il tempo presente è da imputare anche
a quell'eccesso di razionalizzazione di cui il denaro è
gran parte. L'avarizia nasce col denaro, con la possibilità
di conservarlo e di usarlo dopo, cosa molto più problematica
con le merci, soprattutto con i prodotti della
natura. Anticamente l'avarizia non è solo moralmente ed
emotivamente inconcepibile, è anche difficilmente praticabile.
Il primitivo dona con liberalità ciò che possiede
anche perché conservarlo è spesso disagevole e comunque
inutile. In un'economia monetaria prima di dare ci
si pensa due volte perché il denaro che non ci serve oggi
ci servirà domani. E questa avarizia materiale finisce per
diventare un'avarizia morale, un'incapacità di spendersi
per gli altri.
Che l'impulso, positivo o negativo, sia oggi soffocato
dal calcolo è dimostrato anche dall'andamento della
criminalità, dal prevalere, come abbiamo visto, dei reati
in cui c'è di mezzo il denaro su quelli di sangue. Gli
omicidi e soprattutto le lesioni personali e le percosse
hanno spesso moventi istintuali (gelosia, ira, odio, passionalità,
aggressività naturale), mentre nei delitti perpetrati
per denaro e col denaro predomina il calcolo. Tanto
che i furti di piccoli oggetti da parte di persone be-
224
nestanti non sono considerati tali, perché appaiono fuori
dall'area del calcolo e della razionalità, e per spiegarli si
ricorre al concetto di cleptomania, cioè a un impulso
irresistibile, a una malattia (peraltro il cleptomane ruba
oggetti, non denaro, altrimenti, benché ricco, ridiventa
un volgare ladro). «La tentazione che emana dal denaro
» scrive Simmel «non si presenta come un impulso
naturale»28.
Il cittadino, il borghese, il benestante non si sporca,
in genere, le mani col sangue, non per virtù ma perché
i suoi impulsi naturali sono affievoliti, gli manca l'energia
e la vitalità per farlo. In area criminale i suoi delitti
hanno bisogno della mediazione distanziante del denaro
e di servirsi della sua energia indiretta con la quale
è capace di corrompere, di insozzare, di illaidire, di
sporcare, di insudiciare ma non di compiere atti cruenti
che implicano coinvolgimenti profondi e qualche rischio
fisico29.
Il denaro è anche alla base dell'individualismo, che è
uno dei caratteri distintivi della società moderna, perché
parcellizza, atomizza, divide, separa dagli altri. Da una
parte infatti il denaro, nella sua astrattezza e mancanza
di un contenuto proprio, nella sua qualità di sacco vuoto
fatto per essere riempito, mi mette, o può mettermi, in
contatto con tutti i soggetti che partecipano all'economia
monetaria - oggi, in pratica, l'universo mondo -
dall'altra mi isola perché interpone fra me e l'altro una
barriera, impone una distanza. Il denaro spersonalizza
tutti i rapporti in cui agisce da intermediario, il contatto
umano viene notevolmente raffreddato, se non addirittura
eliminato.
Un buon esempio si ha nell'evoluzione del commercio
al minuto che pur è tradizionalmente basato sul rapporto
personale. Chiunque abbia avuto esperienza di
qualche souk arabo, prima almeno che anche questi
mercati fossero raggiunti e fagocitati dal modello occi-
226
dentale, sa ciò che intendo dire. Nel souk, dove non
esiste il concetto di prezzo fisso, le trattative sono lunghe,
sfibranti, cerimoniali. Ci si fa portare il té, si contratta,
si discute, si chiacchiera. Per gli arabi il rito della
trattativa sembra quasi più importante della conclusione
dell'affare. Per questo a Tunisi accanto al consueto souk
esisteva (non so se le cose funzionino ancora così, ne
dubito) un mercato a parte per «les americains» che gli
indigeni disprezzano profondamente perché non badano
al prezzo e non contrattano. In ogni caso nel souk la
transazione è affidata all'abilità, all'astuzia, alla caparbietà,
alla cortesia del venditore e del compratore. Questa
personalizzazione nello scambio può esistere solo in
un'economia che non sia ancora totalmente monetaria,
regolata in modo ferreo dal meccanismo domanda-offerta-
prezzo, in una cultura non completamente dominata
dalla logica del denaro. Nelle società industrializzate
invece si entra, si sceglie e si paga. Il venditore si limita
ad esporre la sua mercanzia e a dare qualche suggerimento.
La trattativa è ridotta al minimo, la personalità
dei contraenti indifferente. Nei supermarket, che stanno
rapidamente spazzando via la piccola distribuzione, la
trattativa è addirittura esclusa per definizione e il contatto
umano limitato a un frettoloso passaggio di denaro,
quasi sempre appoggiato sul bancone e non consegnato
direttamente, con la cassiera. Scriveva Simmel già
nel 1900: «L'esempio definitivo del carattere meccanico
dell'economia moderna è il distributore automatico; in
esso la mediazione umana viene eliminata completamente...
l'equivalente in denaro è meccanicamente trasformato
in merce»30.
Se poi, com'è nel trend attuale, il denaro si smaterializza,
ogni contatto fisico, anche fuggevole, scompare e
l'astrazione del rapporto diventa totale: chiuso nella mia
casa telematica io compio un'infinità di operazioni commerciali
e finanziarie che mi collegano agli individui più
227
disparati e lontani senza vedere una persona, senza seni ι
re una voce che non sia quella artificiale del computer ",
Nota acutamente Simmel: «L'avvertenza, presente nei
biglietti di banca, secondo cui il loro valore è pagabile
"a vista" al portatore è caratteristica dell'assoluta ogget
tività con cui si agisce in questioni di denaro»32.
Tale oggettivazione è particolarmente evidente nel
rapporto di lavoro. Nei secoli precedenti la Rivoluzione
industriale, quando l'economia monetaria era ancora
secondaria e non informava di sé la vita di relazione,
c'era una subordinazione personale del lavoratore al suo
padrone, dell'apprendista al maestro, del commesso al
proprietario della bottega, del contadino al feudatario,
che coinvolgeva l'intera individualità dell'uno e dell'altro.
In epoca moderna invece col denaro si acquista una
precisa prestazione del lavoratore, che viene in qualche
modo staccata dalla persona e oggettivata. È la mercélavoro
o, per dirla marxianamente, la cosiddetta forzalavoro.
Ciò, secondo i più, darebbe al lavoratore una
maggiore libertà e dignità. Che il lavoratore e, più in
generale, qualunque soggetto acquisti grazie al denaro
un maggior individualità e libertà, rispetto agli stretti
legami che caratterizzavano i rapporti nell'era premoderna,
è vero, anche se si tratta, in realtà, di una individualità
e di una libertà molto di superficie, più formali
che sostanziali. Non è vero invece che ne guadagni la
dignità all'interno del rapporto di lavoro. Al contrario.
Nel primo caso il feudatario, il maestro, il proprietario
della bottega tiene alle sue dipendenze una persona in
quanto tale, nel secondo si acquista, col denaro, la forzalavoro,
che è energia umana, in quanto mercé, la si oggettivizza.
Il feudatario prende ai suoi ordini l'uomo in
quanto uomo33, l'imprenditore l'uomo in quanto oggetto.
È vero che il lavoratore, come la prostituta, concede
solo una parte di sé, tenendo fuori dal rapporto il resto
della sua persona, ma, esattamente come la prostituta, si
vende come oggetto. E la distinzione fra forza-lavoro,
che viene venduta, e personalità, che resterebbe intatta,
non intaccata dal rapporto, si rivela poi illusoria. La
personalità del lavoratore viene coinvolta nel rapporto
di lavoro, e oggettivata, così come quella della prostituta
viene coinvolta nel rapporto mercenario. Non per niente
di una donna che si prostituisce si dice che «vende la
propria dignità» anche se materialmente, e in apparenza,
vende solo il suo corpo (che nella fattispecie, è la sua
forza-lavoro). Sia nell'economia feudale, naturale, che in
quella monetaria è quindi l'intera persona del lavoratore
a essere subordinata, ma nel primo caso come soggetto,
nel secondo come oggetto.
Del resto i legami fra denaro e prostituzione sono
strettissimi. «Nell'essenza del denaro» scrive Simmel «si
percepisce qualche cosa dell'essenza della prostituzione.
L'indifferenza con cui si presta ad ogni utilizzazione,
l'infedeltà con cui si separa da ogni soggetto, perché non
era veramente legato a nessuno, l'oggettività, che esclude
qualsiasi rapporto affettivo e lo rende adatto a essere
un puro mezzo, tutto ciò determina un'analogia fatale
tra denaro e prostituzione»34. Si aggiunga che la transazione
in denaro ha anche quel carattere di rapporto del
tutto momentaneo che è tipico della prostituzione. Una
volta che ho pagato e ottenuto la mercé che mi interessa
io non ho più alcun obbligo di relazione con chi me l'ha
venduta. Il denaro tronca nel modo più netto e radicale
ogni ulteriore conseguenza del rapporto, mentre nel
caso che una prestazione venga remunerata con un oggetto
specifico questo conserva, per la sua scelta, per il
suo contenuto, per l'uso che ne è stato fatto, per la sua
storia (che il denaro non ha e non può avere) qualcosa
della personalità di chi paga33. La prestazione in natura,
il baratto, crea sempre un rapporto più personale, più
cordiale, più caldo e più umano fra chi esercita un diritto
e chi adempie un obbligo. Nel pollame, nel grano, nel
229
vino che, nell'economia feudale, il contadino consegna
al signore c'è ancora qualcosa, emotivamente e affettivamente,
del contadino stesso che l'altro, ricevendola senza
la mediazione e la frapposizione del denaro, percepisce
e in qualche misura ricambia. È noto che nel Medioevo
europeo quando il contadino osservava le corvées o
pagava i tributi era consuetudine rendergli qualche cortesia,
fornirgli cibo e bevande, invitarlo alla mensa nell'abitazione
del signore36. Piccole gentilezze, piccole
cose che danno però il senso della diversa natura del
rapporto e che sono comunque impensabili in un'economia
dove il denaro misura con esattezza matematica la
quantità e anche la qualità delle reciproche prestazioni.
La capacità di prostituire tutto, di oggettivare tutto,
di rendere mercé anche la persona, o parti di essa, deriva
al denaro dal fatto che, in quanto entità priva di
specificità e di qualità che non sia la quantità, eguaglia,
appiattisce, omologa, rende indifferenziate tutte le cose.
Una misura d'olio e un braccio di cotone, esemplifica
Marx, considerate come cotone o come olio «sono naturalmente
diverse, sono incommensurabili»37, ma in
quanto valori, cioè denaro, tutte le merci sono qualitativamente
uguali, le loro specificità naturali vengono
cancellate. Il denaro ha la capacità di ridurre i valori più
alti e quelli più bassi a una sola forma di valore, la sua.
È perché il denaro rende omologhi e indifferenziati beni
incommensurabili fra loro che poi diventa pensabile e
possibile acquistare l'inacquistabile. Se oggi si fa commercio
di organi di bambini brasiliani, narcotizzati ed
espiantati, per venderli ai ricchi americani non è solo
perché la tecnica medica moderna lo consente ma anche
perché la forma-denaro lo agevola, praticamente e concettualmente.
Nel momento in cui il denaro oggettivizza i rapporti
ci libera però - così si dice - di quei vincoli personali
che sono propri di un'economia non monetaria. Si potrebbe
obbiettare che oggi, per la soddisfazione dei
nostri bisogni, noi dipendiamo da un numero di persone
molto maggiore che in passato. In fondo l'uomo preindustriale,
tendenzialmente autosuffìciente, era legato, in
modo molto stretto, questo sì, ad una cerchia limitata di
persone. Quello attuale, a causa della esasperata specializzazione
e divisione del lavoro (che determina la necessità
del denaro e che a sua volta il denaro favorisce38),
dipende da una gran quantità di soggetti: produttori,
fornitori, venditori, intermediari, dei quali non può fare
assolutamente a meno. Lasciato solo morirebbe. E vero
però che per quanto indispensabili non sono legami
personali e determinati. Se non mi piace un fornitore ne
scelgo un altro e una volta che l'ho pagato la cosa finisce
lì. Il denaro libera nell'atto di darlo e di riceverlo.
Se non dipendiamo più da legami personali dipendiamo
però da un meccanismo: il processo di produzione,
di vendita e di consumo di cui il denaro è l'insostituibile
cerniera. Quanto ne siamo succubi lo si vede bene dal
lato forse meno sospettabile: quello del consumatore. In
un sistema come il nostro sembrerebbe che il lavoro è
obbligato ma il consumo è libero39. Le cose non stanno
esattamente così. Noi siamo certamente costretti a lavorare
a ritmi sconosciuti alle società che si accontentavano
del fabbisogno, per produrre in eccedenza, ma siamo
altrettanto costretti a consumare ciò che abbiamo prodotto.
Anzi poiché per molti di noi la parte attiva nella
produzione tende a diminuire o addirittura a essere eliminata,
sostituita dagli automatismi delle macchine40, il
nostro vero ruolo, nell'economia attuale, è quello di
consumatori. «Il sistema economico» scrive Bazelon «ha
bisogno ogni giorno di più persone meno "occupate"
come lavoratori e più come consumatori»41. In una conversazione
televisiva il sindacalista Sergio D'Antoni si è
lasciato sfuggire questa frase: «Bisogna aumentare i consumi
per aumentare la produzione». Non il contrario. Il
230 231
rapporto si è capovolto42. Considerati nell'insieme noi
consumiamo non perché vogliamo ma perché dobbiamo
consumare per mantenere il meccanismo produttivo che
ha necessità di esprimersi a livelli sempre più alti (le
crescite esponenziali) per non crollare su se stesso. Siamo
al servizio di un sistema di cui costituiamo i terminali
passivi. Siamo scaduti dalla condizione di possessori
a quella, appunto, di consumatori, di lavandini, di tubi
digerenti, di water, attraverso i quali deve passare l'incessante
flusso delle merci.
Siamo polli in batteria addestrati a ingozzarsi per
nutrire un Moloch verso il quale siamo senza difesa. In
mano infatti abbiamo del denaro la cui funzione naturale
è di essere scambiato con degli oggetti.
Ma non si tratta solo di un fatto tecnico. Il denaro
agisce su di noi in modo più sottile. Con la sua flessibilità,
la sua duttilità, il suo dinamismo, la sua indeterminatezza,
la sua mancanza di specifiche caratteristiche e
di un proprio scopo, con la sua interna assenza di direzione,
il denaro opera una mimesi. Come il cane finisce
per assomigliare al suo padrone, assumendone tic e fisionomia,
così l'uomo d'oggi è come il suo denaro: frenetico
e vuoto. Il denaro, essendo aperto in ogni direzione,
disponibile a tutto, non offre alcun orientamento,
nessuna guida. L'uomo è libero ma non sa per che cosa.
Simmel parla di «un uomo privo di legami, che ha abbandonato
i suoi dei e al quale la "libertà" così conquistata
concede soltanto di fare un idolo di qualsiasi valore
momentaneo»43. Sacco vuoto di contenuti come il suo
denaro l'uomo si riempie di tali idoli: oggetti, sensazioni
di giornata, stimolazioni drogate, gioconi di ogni tipo
che, proprio perché transitori come il mezzo che li acquista,
devono essere rapidamente sostituiti in una caccia
inesausta al nuovo del tutto funzionale al dinamismo
ossessivo del denaro.
Circondato da un mondo di oggetti che mutano continuamente,
perché il loro interesse è debole e forzato
come il loro bisogno, l'uomo moderno viene allontanato
dal suo centro, dal suo nucleo costitutivo, è straniero a
se stesso44, perde, come dice Simmel, «i contenuti della
vita», positivi o negativi che siano, sacrificati all'astrazione-
denaro45.
In questa perdita, di contenuti, di punti di riferimento,
di orientamento e, in definitiva, di senso, gioca un
ruolo decisivo la terra. Oggi la stragrande maggioranza
degli uomini che vive nei Paesi industrializzati non possiede
un solo centimetro di terra che sia veramente suo.
Lentamente, silenziosamente, surrettiziamente ci hanno
tolto la terra e ci hanno dato in cambio del denaro. Ma
la terra è piena, il denaro è vuoto. La terra è ferma, il
denaro è mobile. La terra ha un contenuto, il denaro
no. Nella terra, nei suoi ritmi, nei suoi cicli, nelle conoscenze
pratiche che esige, l'uomo trovava, come scrive
Huizinga, «lo schema con cui misurare la vita e il mondo
» 46. Il denaro non offre altro metro di giudizio che la
quantità.
Ma nel passaggio dalla terra al denaro c'è qualcosa di
ancor più profondo. Noi non abbiamo perso solo il
possesso ma anche il contatto con la terra. Viviamo in
appartamenti sospesi a dieci, a venti, a trenta metri dal
suolo, simili ai morti nei loro colombari. Nelle città e
negli enormi hinterland l'asfalto ci separa dalla terra, in
campagna i recinti e le difese della proprietà privata ci
tengono a distanza, persino l'arenile è pressoché totalmente
occupato e possiamo accedervi solo a pagamento,
e quello che un tempo era territorio della collettività,
aperto all'uso di tutti, oggi appartiene allo Stato che ne
espelle di fatto il cittadino.
Questa mancanza di contatto con la terra non è stata
forse valutata appieno nelle sue conseguenze. Fra i miti
greci, che non sono mai casuali, che rappresentano la
sintesi simbolica della sapienza antica, c'è quello di
232 233
Anteo, un gigante che si ricaricava e riprendeva forze
allorché toccava la terra. Per questo Èrcole dovette sudare
le classiche sette camicie per averne ragione, perché
ogni volta che lo abbatteva al suolo Anteo si risollevava
più forte di prima. Lo tenne quindi sospeso a
mezz'aria, fra le sue braccia, e così, facilmente, lo stritolò.
Benché gigante Anteo, a differenza di Èrcole, era un
uomo, figlio, come tutti noi, della Madre Terra. Come
Anteo anche l'uomo ha bisogno della terra, del suo
contatto, in essa e con essa si rigenera, si rinfranca, ricostituisce
le proprie energie fisiche, psicologiche e morali.
La terra è essenziale al suo equilibrio emotivo, sentimentale,
affettivo, alla sua armonia complessiva.
Espropriati della terra, privati del suo contatto, della
sua concretezza noi, come Anteo fra le braccia di Èrcole,
siamo in balia di un dio astratto, il Denaro, che,
divelto l'uomo dalle sue radici, ha facile gioco a vampirizzare
una preda divenuta progressivamente sempre
più debole e così asfittica, caratterialmente e intellettualmente,
da non accorgersi nemmeno di quel che le accade,
anzi da insaccare sempre più a fondo la testa nelle
fauci ottuse che la stan divorando.
1 N. Thrift, in Geografia di un mondo in crisi, cit., p. 55.
2 Vedi la descrizione della giornata di un giovane operatore finanziario in
H.P. Martin-Η. Schumann, La trappola della globalizzazione, cit., pp. 53-55.
3 M. Bloch, La società feudale, cit., p. 92.
4 G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., p. 628.
5 Televisione italiana, TG2, 2.11.97.
6 Televisione italiana, TG2, 1997.
7 Televisione italiana, TG2, 1997.
8 J.P. Fitoussi, // dibattito proibito, cit., p. 43.
9 Nella società attuale il vecchio è un relitto, in quella preindustriale è il
saggio perché, essendo basata soprattutto sulla tradizione orale, è colui che
possiede il know how indispensabile. Ha quindi un ruolo importante e attivo,
tanto che, come nota Peter Laslett, «c'era chi esagerava la propria età». P.
Laslett, // mondo che abbiamo perduto, Jaca Book 1979, p. 12.
10 G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., p. 671.
11 Nella mercificazione monetaria è coinvolta, naturalmente, anche l'attività
intellettuale. Con qualche resistenza, peraltro un po' comica, da parte di
chi deve pagarla. Quando vado a tenere qualche conferenza a un Rotary o a
un Lyon, club ricchi, non mi danno denaro, mi fanno un regalo simbolico.
Non credo sia per taccagneria, ma per una forma di rispetto: si tratta di un
residuo dei tempi in cui insegnare o comunque svolgere un'attività intellettuale
o spirituale per denaro era considerato degradante, ìbid., p. 577.
12 W. Sombart, // capitalismo moderno, cit., p. 524.
13 G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., pp. 548-549.
14 Si pensi al sadismo disumano dei serial-killer. Questo tipo di psicopatico
esisteva anche in passato (Gilles de Retz ne è un esempio), ma si trattava
di casi «unici», oggi anche i serial-killer sono diventati seriali.
15 Dati Istat, 1996.
16 Persino una rapina a mano armata, se implica grandi somme, suscita
ammirazione.
17 II canonico della basilica di Guadalupe, Josè Raul Soto, ha fatto un
grande elogio funebre di Amado Garrulo e Caro Quintero, due noti trafficanti
di droga messicani, ricchi a miliardi di dollari, lodandone la «generosità»,
10 «spirito di solidarietà» e affermando che «possono esservi dei buoni propositi
in attività considerate criminali». Corriere della Sera, 26.9.97.
ls L'etica dell'imprenditore, con buona pace di Franklin e di Weber, deve
essersi squagliata piuttosto presto se già nel 1911 G. Myers facendo una
carellata sui grandi patrimoni americani concludeva che all'origine di ognuno
di essi c'era un delitto. G. Myers, History of thè Creai American Fortunes,
1911.
9 Testimonianza di Angelo Rizzoli jr all'autore.
20 E, per la verità, anche degli animali superiori: si pensi alla complicata
etichetta che fra gli scimpanzè stabilisce la posizione gerarchica dei membri
del gruppo.
21 V. Mathieu, Filosofia del denaro, cit., p. 74.
22 Si ricorderà come fra i primitivi «perdere la faccia» sia la cosa più
ignominiosa che possa capitare a un uomo. Vedi cap. m, p. 50.
23 II discorso vale almeno fino alla generazione dei Totò Riina e dei Bernardo
Provenzano.
24 Ciò contribuisce a spiegare la criminalità diffusa e capillare e l'assoluta
mancanza di scrupoli che caratterizza la società affluente.
25 J. Huizinga, La crisi della civiltà, Einaudi 1974, p. 42.
26 L. von Mises, La mentalità anticapitalistica, cit., p. 30.
27 D.T. Bazelon, L'economia di carta, cit., pp. 98-99.
28 G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., p. 552.
29 La vicenda di Tangentopoli ha messo bene in luce questo aspetto. Ai
suoi protagonisti, che avevano truffato per miliardi, non disdegnando di lucrare
anche sui cimiteri, sui morti, sulle tombe, sugli ospizi, sugli anziani,
sugli aiuti ai disperati del Terzo Mondo, sono bastati pochi giorni di carcere,
cioè una blanda costrizione fisica, per gridare alla «tortura», crollare completamente
e mettersi a denunciare, se occorreva, anche la propria madre. E si
sono visti famosi gradassi e prepotenti darsela a gambe peggio di ladri di
polli. (Quando chiesi a Ugo Intini, ex portavoce di Bettino Craxi, perché il
leader avesse scelto la via di una fuga così ignominiosa e umiliante, mi rispose:
«Perché Bettino ha paura del carcere».) Sulla differenza fra criminalità
contadina e borghese vedi anche M. Fini, Perché la sinistra odia i contadini,
11 Borghese, 3.12.97.
30 G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., p. 650.
234 235
31 Qualche anno fa è uscito un discreto film, Hello Eloise, in cui quattro
persone, due uomini e due donne, si conoscono, fanno amicizia, si innamorano,
hanno addirittura dei figli, senza ircontrarsi mai.
32 G. Simmel, Filosofia del denaro, cit, p. 617.
33 «Essere l'uomo di un altro uomo» scrive Mare Bloch «esprime l'essenza
del rapporto feudale». M. Bloch, La società feudale, cit., p. 171.
34 G. Simmel, Filosofia del denaro, cit, p. 537.
35 Che una donna si prostituisca non perché abbacinata dal bagliore di un
gioiello o dalla magnificenza di un donc, ma venda la propria dignità «in
cambio di una remunerazione così impersonale, così esteriore e così oggettiva
» come il denaro è considerato da Simnel il punto più basso della degradazione
umana. Ibid., p. 537. Ma la quantità del denaro, che è la sua specifica
qualità, può praticamente tutto. Quando si sparse la voce che uno sceicco
aveva offerto un miliardo di lire a una iamosa attrice americana per «una
notte d'amore», molte belle ragazze italime, certamente non prostitute, né
professionali né occasionali, e alcune dome del mondo dello spettacolo, che
avevano da difendere una dignità pubblica oltre che privata, si dichiararono
disponibili per molto meno.
36 Ibid., p. 584.
37 K. Marx, Il denaro. Genesi e essenza, cit., p. 4.
38 Per Hutcheson la divisione del lavoro è la causa dello scambio, per
Adam Smith è la tendenza naturale dell'uomo allo scambio che richiede la
divisione del lavoro. A me pare che se dì un certo momento in poi le cose
vanno di pari passo, all'inizio, induttivamente, sia la divisione del lavoro e il
conseguente venir meno dell'autosufficenza a creare la necessità dello scambio
e quindi della moneta.
39 Von Mises parla di «sovranità de] consumatore». L. von Mises, La
mentalità anticapitalistica, cit, p. 23.
40 Vedi il prossimo capitolo.
41 D.T. Bazelon, L'economia di carta, cit., pp. 110-111.
42 L'inversione del rapporto fra produzione e consumo è oggi plateale, ma
«il vizietto» è presente in nuce fin dall'origine dell'industrialismo, come una
sua necessità interna, tanto che Adam Srnith osserva: «II consumo è l'unico
fine e scopo di ogni produzione; e l'interesse del produttore dovrebbe essere
considerato solo nella misura in cui esso può essere necessario a promuovere
l'interesse del consumatore. Questa massima è così chiaramente evidente di
per se stessa che sarebbe assurdo cercare di spiegarla. Ma nel sistema mercantile
l'interesse del consumatore è quasi costantemente sacrificato a quello
del produttore; e tale sistema sembra considerare la produzione, e non il
consumo, come il fine e lo scopo definitivo di ogni attività e di ogni commercio
». A. Smith, La ricchezza delle nazioni, IV, VIII.
43 G. Simmel, Filosofia del denaro, p. 572.
44 Nello Straniero di Camus, Mersault uccide perché c'è troppo caldo,
perché il sole gli brucia le palpebre, perché il sangue pulsa fastidiosamente
nelle tempie, perché non sa che fare della sua libertà.
45 Simmel fa l'esempio delle contadine greche del suo tempo che con un
paziente e faticosissimo lavoro tessono degli straordinari ricami. Al momento
di venderli c'è una forte esitazione, una lotta interiore, l'occhio passa alternativamente
dal loro lavoro al denaro e dal denaro al lavoro, finché il denaro
l'ha vinta e le contadine se ne vanno «desolate di vedersi così ricche». G.
Simmel, Filosofia del denaro, cit., p. 572. Al posto delle contadine greche e
dei loro ricami, che non esistono più, a me piace scegliere come esempio, fra
gli infiniti, di razionalizzazione economica che finisce per svuotare di contenuto
l'oggetto di cui si occupa, il calcio. Che è un argomento solo apparentemente
frivolo. Per un secolo il calcio è stato una grande festa nazionalpopolare,
interclassista, che si faceva la domenica, in sostituzione di altre
cadute in disuso. Attorno alla partita si coagulavano elementi rituali, mitici,
simbolici, sentimentali, emotivi che, al di là del gioco e dello spettacolo,
costituivano la vera ragione della passione per il calcio: il riconoscersi in una
squadra, nella sua storia, nella sua tradizione, nei suoi colori, nelle sue maglie,
in certi giocatori-simbolo, nel suo carattere la cui continuità era assicurata dal
passaggio di testimone, di generazione in generazione, fra gli «anziani» e i
giovani del vivaio e della «Primavera». Il business ha emarginato tutti questi
elementi a favore di uno spettacolo asettico buono per tutte le bocche, in
particolare per quelle del consumatore televisivo: oggi, in Italia e in Europa
(cioè dove c'è il centro di questo business), ci sono società con tredici stranieri,
altre che mandano in campo fino a otto giocatori di colore, gli atleti
cambiano squadra ogni anno, per essere sostituiti da «novità» ritenute più
stuzzicanti, o addirittura durante il campionato, non esistono più giocatorisimbolo
e persine le maglie, per esigenze degli sponsor, vengono spesso cambiate.
Ogni processo di identificazione è diventato impossibile. Nel frattempo
la politica degli abbonamenti e dei prezzi ha tolto al calcio da stadio il suo
connotato interclassista: la suburra va dietro le porte, gli altri, a seconda del
loro status, nelle diverse tribune. Ma non è finita. Entro un anno o due il
campionato invece di svolgersi la domenica verrà «spalmato» su quattro giorni
della settimana: dal venerdì al lunedì. «Sono scelte dettate da precise e
improrogabili leggi di mercato» dicono gli addetti ai lavori (La Stampa,
4.9.97). Giocare in giorni diversi e anche in orari diversi (con buona pace
della regolarità della competizione) permette infatti alla pay tv e alla pay per
view (e anche questa è una ferita mortale al calcio come «festa di tutti») e alle
stesse società di fare affari colossali. Se non ci si è ancora arrivati è solo per
il conflitto con altre ragioni economiche: il Totocalcio non è pronto per
questa trasformazione. Quando ci sarà il Totocalcio on line, cioè la possibilità
di giocare per telefono o per fax (il che, sia detto di passata, elimina anche
il subrito collettivo della schedina giocata al bar con gli amici) si darà il via.
Tutto molto razionale, molto logico e «economically correct», ma il risultato
è questo: la Festa, il rito domenicale, quello della vigilia, l'identificazione, il
simbolismo, il ritrovarsi in modo comunitario, cioè i contenuti sentimentali e
sociali del calcio, quanto in esso c'è di concretamente umano, sono stati
sacrificati ali'astrazione-denaro. Al loro posto resta la vuota forma della partita
che domani potrebbe anche diventare, come tutto il resto, virtuale.
Ad ogni buon conto il calcio va a ridursi a un qualunque spettacolo
televisivo, ad una «Domenica in», da fruirsi solipsisticamente a casa. Perdendo
tutti i suoi connotati specifici susciterà un interesse sempre più generico,
vago, intercambiabile che, come tale, prima o poi svanirà. Così gli apprendisti
stregoni avranno ucciso la «gallina dalle uova d'oro» e il razionalismo nella
forma del denaro avrà realizzato, è il caso di dirlo, l'ennesimo autogol.
46 J. Huizinga, La crisi della civiltà, cit., p. 42.

*tratto da "Il denaro sterco del demonio", Marsilio