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La morte del romanzo ha ucciso anche la critica letteraria

di Massimo Fini - 22/05/2012

Nell'amibito del Salone del Libro di Torino a Uno Mattina mi hanno chiesto di parlare della crisi della critica letteraria. Ho risposto che non esiste più una critica letteraria, per la semplice ragione che non esiste più la letteratura se per tale si intende il romanzo. Per un paio di secoli il romanzo è stato la forma di espressione della borghesia. Scomparsa la borghesia come classe sociale dominante in Italia (all’incirca negli anni Sessanta) lentamente è morto anche il romanzo. Gli ultimi che ci hanno provato a scrivere un vero romanzo sono stati (semplifico naturalmente) Stefano D’Arrigo ed Elsa Morante. Il povero D’Arrigo ci ha messo vent’anni, comManzoni per i Promessi Sposi, per scrivere il suo ambizioso Horcynus Orca, con fatiche inenarrabili, ma il romanzo, pubblicato nel 1975, fu un clamoroso flop non solo come vendite ma come risultato. Horcynus Orca non è rimasto nella storia della letteratura italiana. La storia (1970) di Elsa Morante è andata meglio come vendite (anche per il gran battage pubblicitario che gli fu costruito intorno) ma è un romanzo irrisolto e molto lontano dalla felicità espressiva dell’Isola di Arturo. Insomma se non ci sono più i Buddenbrook, romanzo giovanile di Thomas Mann, non si può scrivere dei Buddenbrook. Vanno semmai i gialli svedesi, cinesi o quelli dei nostri Camilleri e Riondillo; ma sono più che altro un pretesto per delle descrizioni d’ambiente. Sarebbe difficile definirli "letteratura" in senso proprio. Oggi al posto della borghesia, classe strutturata, c’è un ceto medio indifferenziato i cui scrittori, per dirla col Gaber di "Trani a gogò", "parlano di sè fra sè e sè". Non è certo un caso che in testa alla classifica della Narrativa ci sia "Fai bei sogni" di Massimo Gramellini, che è un’autobiografia. Ricevo molti dattiloscritti di ragazzi. A volte non sono nemmeno scritti male, ma gli autori parlano esclusivamente del loro ombelico, senza nemmeno il tentativo di una mediazione artistica, di costruire personaggi anche al di fuori del proprio Io. A scrivere della propria vita siam buoni tutti (tutti abbiamo una vita). E infatti oggi scrivono tutti. La crisi del romanzo e della letteratura si inserisce nella più generale crisi dell’editoria. I dati presentati quest’anno da Nielsen sono eloquenti: il fatturato è diminuito dell’11,8% da 313 a 276 milioni di euro e le copie vendute da 23,7 milioni a 21,1. Per capire com’è conciata l’editoria italiana basta entrare in uno di quei megastore che sono diventate le librerie Feltrinelli. Somigliano a uno spazio dell’Ikea o a un outlet: vi si vende di tutto incidentalmente anche dei libri. Che libri: dominano i personaggi dello star-system (in questo momento Alessandro Del Piero, Luciano Ligabue, Marco Paolini) o i manuali che suggeriscono diete o ricette di cucina (la dieta Dukan, Dimagrire con i perché, I me di Benedetta). Sono lettori "una tantum" che comprano libri come in autogrill, non sapendo che altro fare, si prendono l’orsacchiotto per il bambino. I cosiddetti "lettori forti", quelli da 50 o 100 volumi l’anno, sono in costante diminuzione, un po’ per moria, un po’ perché sono refrattari al caos dei megastore e molto per l’indecenza dell’offerta. Paradossalmente l’unico libro di letteratura, anzi di grande letteratura, primo in classifica questa settimana sta nella sezione per i ragazzi perché a Saint-Exupéry saltò il ticchio di scriver il Piccolo Principe.