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La crisi e la coesione sociale: alla ricerca di un equilibrio

di Fabio Barzagli - 30/05/2012

Fonte: paternita.info

Per far capire a mia figlia di 6 anni il senso della vita, le ho spiegato che ogni persona, dentro, ha una parte pubblica ed una privata.
 
La parte pubblica è ad esempio andare a scuola (tutti ci vanno), il lavoro, le leggi (tutti vi obbediamo ugualmente), la famiglia (abbiamo tutti un padre ed una madre), le cose in comune come l’essere maschi tra maschi, femmine tra femmine, cittadini tra cittadini. Abbiamo tante cose in comune con gli altri (una buona metà..) e non possiamo decidere su questo.
 
Dall’altro lato invece c’è una parte privata che ci distingue, il tipo di lavoro che facciamo, i nostri gusti, lo sport e gli hobby, le nostre particolarità e passioni, ecc.
 
Questo è sano per noi, perché non ci nega la realizzazione come individui, e allo stesso tempo non ci nega l’appartenenza ad un gruppo. Ma è anche sano per la società, perché queste regole di coesione strutturano migliori relazioni e contesti sociali (di quartiere, famiglia, lavoro, ..) di maggiore speranza, fiducia, e che tutto non è fine a se stesso/i ma appartenente ad un progetto più grande, lungimirante, certo.
 
Col tempo però abbiamo derubricato questa parte pubblica: la famiglia non è più idea comune (un uomo ed una donna) ma c’è chi dice due donne, chi un uomo con più donne e viceversa, chi dice genitori single per scelta; idem il lavoro perdente senso e dignità; o la scuola e la sanità con sempre più alternative private; e tantissime altre cose grandi e piccole (gli orari di sonno o quelli di lavoro, ad esempio) dove le regole comuni sono sparite ed è sempre più difficile trovarsi e riuscire ad incastrare le nostre vite assieme.
 
Abbiamo privatizzato la nostra parte pubblica (che veniva insegnata con l’educazione, altro bene collettivo sempre più abbandonato) pensando di poterne trarre maggiore profitto o benessere personale.. ma ora stiamo verificando che questo ci porta ad una esistenza più chiusa, regredita, selvaggia, mentre la vita civile, pacifica e democratica, ha bisogno di più equilibrio ad esempio tra ciò che si chiede e ciò che si da (prima il dovere poi il piacere insegnavano un tempo) si potrebbe dire - per ogni diritto, un dovere - ma poi in quarant’anni siamo stati buoni a chiedere solo diritti e ancora diritti.. col risultato che ne abbiamo di futili (diritti dei cani, privacy, ecc..) e ne stiamo perdendo di importanti (certezza del lavoro, di una famiglia unita, di solidarietà, ..).
 
Le crisi ci sono sempre state, ma quella di oggi nasce, o sembra peggiore, anche per una aspettativa sbagliata, per una percezione e fragilità di individui che non poggiano più se stessi sulla roccia del senso, della giustizia, della condivisione, elementi che da sempre sono fondamentali per poterci alzare e dire: “bene, so chi sono, so cosa fare, so perché lo faccio, sono felice di farlo”.
 
La sfiducia, la mancanza di collaborazione, l’assenza di spinta vitale a buttarsi nel formare famiglie solide come nuove imprese, sta proprio nella mancanza di quel progetto comune che si chiama Umanità.
 
Stiamo scoprendo nell’aridità dei nostri giorni che la migliore delle auto, la casa perfetta, la fidanzata/o più bella, non ci da reale soddisfazione se questi obiettivi non riescono a raggiungerli anche gli altri, stiamo scoprendo che la mia felicità personale è effimera e non trova appiglio e futuro quando fuori si scontra coi musi lunghi del mio prossimo.
 
C’è un equilibrio di “mezzo” da ritrovare tra individuo e collettività, tra libertà e limite, tra diritto e dovere.
La parte pubblica, i nostri doveri, sono un prezzo sinceramente giusto da spendere per avere tutto ciò che di più straordinario, evoluto e bello può offrire una società civile e coesa.