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La guerra alla Siria: le ambiguità del governo Letta

di Vincenzo Brandi - 14/09/2013

Fonte: sibialiria



Nei mesi scorsi la nostra Ministra degli Esteri Bonino ci aveva ripetutamente assicurato che il governo italiano era contrario ad azioni militari in Siria. Dichiarazioni analoghe erano state rese più volte anche dal Ministro della difesa Mauro e dal capo del Governo Gianni Letta.

L’Italia aveva però continuato a partecipare alle riunioni di quel gruppo di una decina di stati, autodefinitosi “Amici della Siria” (tra cui U.S.A. , Francia, Gran Bretagna, Turchia, Arabia Saudita, Qatar), senza defilarsi dal gruppo come avevano fatto altre decine di stati dopo aver partecipato solo alle prime riunioni oltre due anni fa. Lo scopo di queste riunioni era quello di mettere a punto strategie atte a fornire appoggi logistici, finanziamenti ed armi alle bande “ribelli” che cercano di destabilizzare il paese e giungere ad un cambio di regime ottenuto con la violenza.

Il 27 maggio 2013, alla riunione degli stati membri dell’Unione Europea, la Bonino non si univa a quel gruppo di stati (come Austria e Finlandia) nettamente contrari all’abolizione dell’embargo sulle armi dirette in Siria, ma tentava un’improbabile mediazione tra stati interventisti e non-interventisti, con il risultato di dare via libera alla Francia ed alla Gran Bretagna che si impegnavano a fornire nuovi armamenti ai “ribelli”.

A margine della riunione del G20 del 5-6 settembre a S.Pietroburgo, con un improvviso (ma forse non tanto inatteso) voltafaccia rispetto a precedenti dichiarazioni contrarie ad interventi armati, Letta firmava , insieme ad un’altra decina di paesi della NATO ed altri alleati tradizionali degli USA, un documento che affermava:

-che era sicura la responsabilità del Governo Assad per l’uso di armi chimiche in Siria (affermazione su cui, peraltro, ancor oggi non viene fornita al solito alcuna prova);

-che il Governo della Siria andava “punito” per questa violazione delle convenzioni internazionali e dei diritti umani.

Il documento, come tutti possono ben comprendere, costituiva un “via libera” all’attacco militare degli U.S.A. alla Siria.

Questo voltafaccia dimostrava con tutta evidenza solo il servilismo del nostro governo a sovranità limitata verso Stati Uniti (non molto diverso da quello del governo bulgaro o cecoslovacco verso l’URSS all’epoca del Patto di Varsavia).

Ma ecco ricomparire subito dopo la Ministra Bonino che dichiarava che bisognava attendere il rapporto degli ispettori dell’ONU. A questo punto le possibilità erano due: o vi erano le prove che Assad aveva usato le armi chimiche (prove che nessuno finora ha esibito), o le prove non vi erano e bisognava aspettare il rapporto degli ispettori ONU. Se la Bonino fosse stata veramente su questa seconda posizione, allora sarebbe risultato che era stata scavalcata e smentita da Letta: allora, per correttezza, avrebbe dovuto dimettersi!

Il massimo dell’ipocrisia è stata raggiunta in occasione della veglia per la pace organizzata da Papa Francesco a Piazza S. Pietro. Senza alcuna vergogna Gianni Letta si è presentato alla veglia insieme al Ministro Mauro (quello innamorato delle costosissime macchine di morte F-35) e, secondo le cronache, ha partecipato anche alla preghiera e al digiuno per la pace.

Letta aveva già dimenticato di aver firmato due giorni prima il via libera alla guerra!

Durante il dibattito parlamentare sulla Siria dell’11 settembre, cui ha potuto assistere direttamente anche una delegazione di No War – Roma, Letta è tornato ad invocare una soluzione diplomatica, ma contemporaneamente ha sottolineato che l’uso di armi chimiche (su cui ha dato per scontata la responsabilità del governo Assad) costituiva un fatto assolutamente nuovo e gravissimo (il famoso “superamento della linea rossa” sbandierato da Obama) e che era assolutamente necessario sanzionare questo crimine. In altre parole Letta ha nuovamente indicato un ottimo pretesto per un intervento armato di U.S.A. e Francia.

Nel momento in cui questo articolo viene scritto è in corso la positiva azione diplomatica russa, nel cui ambito – in accordo con il governo di Damasco – è stato proposto di mettere sotto controllo le armi chimiche in possesso dell’esercito siriano in cambio dell’annullamento dell’attacco militare programmato e della fine delle minacce alla Siria. Si tratta di una proposta seria ed impegnativa vista l’importanza che rivestono tali armi per la Siria, il cui vero scopo era quello di costituire un deterrente in vista di minacce di guerra da parte di Israele, stato dotato di potenti e numerose armi di distruzione di massa, cioè centinaia di testate atomiche montabili su missili o trasportabili con aerei.

Anche in questo caso il governo italiano, pur pronunciandosi a favore della trattativa tra Russia, U.S.A. e Siria per fermare la guerra, insiste però sulla presunta responsabilità del governo siriano nell’attacco chimico unendosi al coro di chi, come il molto poco imparziale segretario dell’ONU Bank-ki-moon, chiede che i “responsabili” siano portati di fronte ad un tribunale internazionale. Questa richiesta, fatta in assenza di prove (sempre annunciate, mai presentate), costituisce una provocazione che riavvicina il pericolo di un intervento armato allontanatosi nei giorni scorsi grazie alle iniziative di pace russe.

Le continue ambiguità del governo italiano, che da un lato afferma di privilegiare l’azione diplomatica, ma che contemporaneamente mostra continuamente la sua dipendenza del “grande fratello” statunitense, significa, tradotto in parole semplici, che in caso di guerra aperta, anche se le truppe italiane non parteciperanno all’azione militare (anche per evitare le temute rappresaglie di Hezbollah contro i militari italiani di stanza nel Sud-Libano), in ogni caso non mancherà l’appoggio diplomatico, politico e soprattutto logistico dell’Italia ad un’eventuale aggressione statunitense e francese alla Siria.

Le trenta basi U.S.A. esistenti in Italia sono state sempre al servizio di tutte le aggressioni scatenate contro stati sovrani negli anni scorsi sulla base di palesi menzogne (dalla Libia all’Iraq). Un eventuale attacco alla Siria basata su labili pretesti non farebbe eccezione.