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Usa, che flop in Ucraina

di Franco Cardini - Marco Petrelli - 02/04/2014

Fonte: Libero


Lo storico Franco Cardini: "Usa, che flop in Ucraina. Hanno scatenato quattro nazistacci"

Storico di fama, medievista, ordinario dell'Università degli Studi di Firenze, Franco Cardini ha iniziato il 2014 con una nuova pubblicazione, La scintilla (F. Cardini-S. Valzania, Mondadori 2014), dedicata al nesso tra l'attacco italiano alle province turche dell'Impero Ottomano di Tripolitania e Cirenaica e ai cento anni della Grande Guerra. Cento anni che ricorreranno a giugno.

La prima domanda non può non riguardare cos'hanno in comune Tripoli bel suol d'amore e la Grande Guerra.
"Nel 2011 stavo conducendo uno studio in merito ai cent'anni della campagna coloniale italiana in Tripolotania e Cirenaica, quella che noi siamo soliti chiamare Guerra di Libia. Cento anni esatti da quando i nostri aerei sorvolavano quelle terre e, proprio in quel periodo, nel 2011, l'Italia si trovava coinvolta nell'azione militare contro Gheddafi".
Già, ma non ha risposto alla domanda... 
"Tripoli e Sarajevo? Ci avvicinavamo al centenario della Grande Guerra e decidemmo di sviluppare il tema della ricerca. L'invasione italiana della Libia fu favorita da una perdita di peso geopolitico e militare dell'Impero ottomano, quest'ultimo attore importante nel corso della I Guerra Mondiale".
Perché?
"Vede, la I Guerra Mondiale fu non solo uno scontro tra Intesa e Triplice Alleanza, bensì uno scontro tra due mondi o, se preferisce, due diversi modi di concepire il mondo: i grandi imperi, come quelli ottomano, asburgico e anche britannico con i loro coacervi di etnie, religioni e costumi da un lato, i nazionalismi dall'altro".
E? 
"Le revolverate di Sarajevo mostrarono questo, ovvero il radicarsi di un sentimento nazionalista che, in quell'occasione, si manifestò un'azione violenta che, oltre ad uccidere, mise in luce il desiderio di alcuni popoli di costruire uno stato nazionale e la volontà strumentalizzatrice con la quale alcune potenze sfruttarono i nazionalismi e irredentismi vari per attaccarne altre (ad esempio Francia e Russia alleate fecero leva sul nazionalismo serbo in Bosnia ed Erzegovina per aggredire Austria e Turchia)".
Il nazionalismo cento anni dopo: il voto in Crimea può essere interpretato come un rigurgito nazionalista?
"Il voto in Crimea è stata cosa piuttosto naturale, reazione politica di una popolazione che si sente vicina alla Russia se non non addirittura russa tout court. E reazione, a mio avviso ovvia e legittima, a una specie di golpe unilaterale nazionalistico ucraino-polacco, che senza comprovato consenso popolare degli stessi ucraini nella loro totalità avrebbe portato l'Ucraina a schierarsi con la Nato, i missili a testata nucleare Usa-Nato installati a 500 km da Mosca e la flotta russa estromessa dal Mar Nero, quindi dal Mediterraneo. Mi chiedo: ma davvero americani e alleati speravano di ottenere un risultato così formidabile semplicemente scatenando quatto nazistacci in piazza Majdan?".
E secondo lei perché l'Occidente ha vissuto negativamente l'esito del referendum?
"E perché, le chiedo io, l'Occidente non ha condannato anche la Primavera ucraina? Perché era un moto popolare? Sa ad alcuni potrebbe essere sembrato questo, ad altri invece è parso qualcosa di più simile ad un colpo di stato. E poi non può essere sfuggito a nessuno il parallelismo tra la situazione della Crimea oggi e quella del Kossovo. nel 1998. Perché l'Occidente fu così rapido e sicuro nello schierarsi allora con i ribelli kossovari (irredentisti albanesi) e oggi lo è altrettanto nello schierarsi con i supposti lealisti di Kiev? Un pacifismo concettualmente superficiale e diplomaticamente sprovveduto. Posso dirle però che gli Usa hanno mantenuto, sino alla Seconda Guerra Mondiale, una posizione di isolamento rispetto alle questioni dell'Europa, preferendo occuparsi dei loro affari in America Latina e nel Pacifico. D'altronde, il 7 dicembre 1941 l'America dichiarò guerra al Giappone, non alla Germania e all'Italia. Furono Hitler e Mussolini a mandare la dichiarazione di guerra a Washington".
E l'appoggio all'Inghilterra?
"Il sostegno di Londra nella I Guerra Mondiale ha nelle sue radici un legame solido con la Gran Bretagna, ma l'isolazionismo e il disinteresse politico statunitense per l'Europa sono cosa lontana nel tempo. Già Monroe, nel 1823, aveva dichiarato che il Continente americano è il giardino di casa degli States e che nessun europeo avrebbe dovuto metterci il naso. E la guerra in Messico contro Massimiliano d'Asburgo tra 1864 e 1867, insieme al conflitto ispano americano del 1898, sono l'espressione militare e politica della volontà di tenere lontane le potenze del Vecchio Continente dagli interessi americani. A fronte di ciò, l'America volgeva il proprio espansionismo al Pacifico favorendo, per contro, l'egemonia britannica sull'Atlantico e sull'Oceano Indiano. La prima e soprattutto la Seconda Guerra Mondiale hanno mutato questo quadro: dal '45 ad oggi sono divenuti i gendarmi del mondo, specie dopo la fine della Guerra Fredda e dell'Urss. Solo adesso le cose stanno cambiando. D'altronde, sembra proprio che la superpotenza statunitense non sappia né possa fare a meno del "nemico metafisico": dopo il comunismo sovietico ecco il male assoluto incarnato dal fondamentalismo islamico. Negli ultimi mesi scomparso come neve al sole, da quando in Libia, Iraq e Siria i fondamentalisti sunniti appoggiano le politiche aggressive americane e occidentali".