Quale gas per il futuro dell'Europa?
di Filippo Bovo - 02/04/2014
Fonte: Stato e potenza
Ormai si parla con sempre maggiore insistenza del gas di scisto che si vorrebbe importare dagli Stati Uniti per soddisfare il fabbisogno europeo riducendo al contempo le importazioni di metano dalla Russia. Ho cercato di sviscerare l’argomento nel mio precedente articolo dal titolo “Benvenuti ad Eurolandia, dipartimento d’oltremare degli Stati Uniti d’America” (1), sottolineando quali sarebbero le principali difficoltà a cui andrebbe incontro l’Europa qualora scegliesse di ridurre drasticamente il consumo di gas russo a favore di quello americano. Non ho detto, per esigenze di sintesi ed anche per non esulare troppo dall’argomento, come più di un analista sostenga che quella del gas di scisto sia una specie di moda passeggera, frutto di una speculazione destinata prima o poi a scoppiare come tutte le bolle che l’hanno preceduta (2), e caratterizzata oltretutto da costi ambientali che ancora non si vogliono fino in fondo considerare. Pertanto ci sono buone possibilità che il tentativo di riparametrare l’Europa verso gli Stati Uniti dal punto di vista energetico risulti effimero o comunque affidato ad un futuro dagli esiti incerti. Sempre per gli stessi motivi non ho riportato il fatto che l’ingente apparato d’impianti di liquefazione e di rigassificazione necessari al trasporto attraverso navi gasiere incontrerebbe più di una difficoltà nell’essere realizzato, a causa della prevedibile ed anche comprensibile ostilità da parte dell’opinione pubblica, tutt’altro che lieta nel veder proliferare tali infrastrutture lungo le coste degli Stati Uniti e dell’Unione Europea. Personalmente, vivendo non molto lontano da un rigassificatore inaugurato proprio poco tempo fa ed oltretutto quasi fermo per penuria di contratti di rifornimento, ricordo fin troppo bene quanto tempo servì per costruirlo anche a causa delle feroci proteste di parte della cittadinanza (3). Insomma, il progetto atlantista di slegare anche energeticamente l’Europa dalla Russia rifornendola di gas statunitense ha di fronte a sé una miriade di difficoltà, da qualunque parte lo si guardi.Molto più concreta è l’ipotesi che l’Europa possa trovare nel Mediterraneo la risposta alle sue esigenze di “diversificazione” nei rifornimenti di gas. Negli ultimi anni importanti giacimenti di gas sono stati scoperti in Egitto, in particolare nel delta del Nilo, a Gaza, in Israele, in Libano, in Siria e a Cipro. Si tratta di paesi molto diversi tra loro, in particolare per quanto riguarda la loro situazione politica interna e, quindi, anche le loro relazioni con l’Occidente e l’Europa in particolare. I giacimenti di gas di Israele sembrerebbero essere, dalle prime prospezioni, semplicemente enormi ma sono in parte contesi col Libano; e la cosa lascerebbe supporre che per arrivare ad un loro sfruttamento, almeno a pieno regime, occorrerà del tempo. Probabilmente questo non farà molto piacere ai dirigenti politici europei, che in Israele hanno da sempre un caro alleato a cui avrebbero ben volentieri concesso anche la promozione a proprio fornitore di gas di fiducia. D’altronde ciò rende ostico anche lo sfruttamento, almeno in parte, del gas libanese. Quanto a Gaza, l’ANP sta trattando la costruzione degli impianti di estrazione con la Russia, e così anche la Siria, che in ogni caso avrebbe forti difficoltà a diventare in tempi brevi fornitrice di gas dell’Europa dato l’ostracismo a cui è sottoposta proprio dai suoi governi, oltretutto corresponsabili insieme alle monarchie del Golfo del sostegno alla guerriglia che la sta insanguinando da più di tre anni. Nel caso di Cipro, invece, i giacimenti di gas e di petrolio, particolarmente abbondanti soprattutto in direzione di Israele, vanno divisi tra il sud, parte dell’UE, ed il nord, sotto protettorato turco. L’isola ripone in questi giacimenti non solo le speranze per una salvezza economica, ma anche per una eventuale riunificazione: non a caso sono stati citati più che abbondantemente dalle due parti nei colloqui di pace ripartiti di recente dopo un fermo di due anni. Quanto all’Egitto, gli affari con l’Europa sembrerebbero essere solo rimandati a quando la situazione politica interna si sarà consolidata e stabilizzata, fermo restando che la popolarità di Al Sisi nelle cancellerie europee non è proprio delle migliori e che il recente riavvicinamento tra Il Cairo e Mosca potrebbe mettere fuori gioco o quantomeno ostacolare gli occidentali.
Ipotizzando che si trovi una soluzione “rapida” a queste problematiche di ordine politico, rimarrebbe comunque da risolvere il nodo legato alle infrastrutture necessarie a trasportare il gas in Europa. Delle due l’una: o si costruiscono dei gasdotti ex novo, operazione che soprattutto nel caso del gas israeliano potrebbe essere persino giustificata dai grandi quantitativi promessi, o si ricorre al trasporto via nave. In tal caso bisognerà ritornare a parlare di liquefatori e di rigassificatori, con tutte le varie ed eventuali già precedentemente dette: tempi di costruzione medio – lunghi, proteste da parte di una quota crescente dell’opinione pubblica, e così via. Almeno qui in Italia alcuni rigassificatori ci sarebbero già e, a quanto pare, nemmeno particolarmente sfruttati: ma finché non saranno pronti i liquefatori dall’altra parte, sarà come se non ci fossero. Non intendo dilungarmi ulteriormente perché semplicemente non sono un tecnico, ma direi che anche il gas mediterraneo non sarà disponibile in tempi brevi. A voler essere pignoli, ci sarebbero giacimenti di gas persino in Sardegna, lungo le coste, ma pure in questo caso gli addetti ai lavori confermano che per procedere con l’estrazione saranno necessari almeno dieci anni. Gli impianti di estrazione, di stoccaggio e di lavorazione non si improvvisano in un giorno.
Quindi, gira e rigira, parrebbe proprio che non esistano grandi alternative al gas russo e della CSI, almeno per quanto riguarda il medio termine. Oltretutto sacrificare o anche solo assottigliare l’ingente volume di import – export tra la Russia e l’Europa per fare un piacere al grande e potente “zio d’America” non sarebbe proprio così saggio. Pertanto, se l’Europa vorrà tutelare i suoi interessi ed il suo benessere economico, allora non avrà alternative a recuperare e difendere anche la sua sovranità ed autonomia politica. Ormai sono aspetti sempre più legati tra loro.