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Israele e la matematica (a proposito di “rappresaglie”)

di Enrico Galoppini - 15/07/2014

Fonte: Arianna editrice


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C’è un saggio di Julius Evola che avrebbe bisogno, a distanza di quasi settantacinque anni, di un’appendice documentaria. Stiamo parlando di “Gli ebrei e la matematica”, pubblicato nel 1940, una cui nuova edizione dovrebbe contenere un aggiornamento condotto sulla base delle “rappresaglie israeliane”.
Il cosiddetto “Stato d’Israele” ha scatenato da alcuni giorni uno dei suoi periodici ed insistenti bombardamenti contro i palestinesi della Striscia di Gaza, uccidendone oltre centoventi e ferendone varie centinaia, con tutto il corollario di distruzioni di immobili ed infrastrutture (compreso un orfanotrofio).
Il pretesto si trova sempre: stavolta si è trattato del rapimento e della successiva uccisione di tre giovani israeliani.
Ma se un rapimento dovesse dare adito a reazioni come quelle alle quali è aduso lo Stato sionista, che cosa dovrebbero fare i palestinesi, che dalla stessa data in cui sono stati sequestrati i tre israeliani hanno subito oltre mille sequestri?
Pardon, “arresti”, più che giustificati e ovviamente “a norma di legge”, cioè quella di uno “Stato” che se ne infischia altamente di ogni “convenzione internazionale” e che coerentemente afferma di voler fare come gli pare e piace (quello che non è permesso a tutti gli altri, i quali, anzi, devono rendere conto in mille sedi del loro operato).
Non è nemmeno vero che il movente fondamentale e “sacrosanto” sia stata l’uccisione dei tre israeliani, poiché quando venne rapito l’ormai (grazie ai loro “media”) celeberrimo Gilad Shalit, che poi è tornato a casa, “Israele” applicò una delle sue proverbiali punizioni collettive di ferro e fuoco.
Insomma, a cominciare sono sempre quei fetentoni dei palestinesi, quindi “Israele ha sempre ragione” e questo oramai lo diamo come un fatto acquisito.
Ma almeno su un punto ragione non ce l’ha. Ed è una questione di calcoli.
Se la matematica non è un’opinione (ma so bene invece che lo è per costoro), ammazzare oltre centoventi persone (facendo pure la tara dei “militanti”) a fronte di tre vittime della propria parte, significa eseguire un tipo di “rappresaglia” mai visto prima.
Sì, perché quella dei tanto demonizzati “nazisti” si atteneva il più possibile scrupolosamente al principio del “dieci a uno”, che potrà far orrore quanto si vuole ma perlomeno contiene entro delle regole un’azione odiosa come la vendetta in tempo di guerra.
Ma con “Israele” ogni proporzione aritmetica viene a cadere. Si cannoneggia e si bombarda fintantoché la sete di sangue non s’è placata, come se il sangue che scorre a fiotti galvanizzasse e tenesse letteralmente in vita una sorta di “Dracula collettivo”.
In questo, il “glorioso” esercito con la stella di David non ha nulla da invidiare ai mitici “Alleati” di cui anche quest’anno, con le ricorrenze dei relativi sbarchi, i “media” hanno declamato le gesta affinché si stampigli nelle menti e nei cuori dei “liberati” (cioè noi) un senso di eterno ringraziamento.
Quelli manco avevano la scusa della vendetta, perciò le uccisioni di civili e di militari italiani inermi, oggigiorno ampiamente documentate grazie ai migliori storici che abbiamo, sono da derubricare sotto la voce delle stragi deliberate e per di più impunite, da ascrivere unicamente al sadismo di chi non tollera alcuna ‘regola contabile’ anche in un contesto seppur spiacevole (ma non per loro) qual è la guerra.