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I pestiferi fumi delle ciminiere di Eleusi simboleggiano l’oblio delle radici europee

di Francesco Lamendola - 30/09/2014

Fonte: Arianna editrice


 


 

Se c’è un luogo che si presta a ben rappresentare le radici della civiltà europea, e anche, nello stesso tempo, il profondo oblio esse, testimoniato dallo stato di degrado in cui attualmente versa, quello è il sito di Eleusi (Elefsis), località dell’Attica posta a 20 km. da Atene, proprio di fronte all’isola di Salamina, ove si combatté la battaglia navale decisiva della Seconda guerra persiana. Attualmente Eleusi è stata di fatto inglobata nella smisurata metropoli ateniese, la quale, con una estensione di oltre 400 kmq e una popolazione di quattro milioni, è diventata la settima conurbazione più grande dell’Unione Europea e la quinta capitale più popolosa.

Eleusi era già un importante centro religioso in epoca pre-classica, dedicato al culto della dea Demetra, come è testimoniato da un tempio di epoca micenea posto sull’acropoli. Menzionata in diversi miti greci, la città era anche sede dei famosi Misteri Eleusini, nonché sede di un santuario che venne frequentato fino all’epoca dell’imperatore romano Teodosio il Grande, che nel 381 lo fece chiudere. Invasa e saccheggiata poco dopo dai Visigoti di Alarico, che profittarono anche della sorda rivalità esistente fra i due Imperi, d’Oriente e d’Occidente, dopo la morte improvvisa di Teodosio nel 395 e la successione dei suoi due figli ancora adolescenti, Arcadio a Costantinopoli  -cui teoricamente spettava la prefettura illirica con la Grecia - e Onorio a Milano (poi Ravenna). Nel 396, ridotta ad un cumulo di rovine, la città venne abbandonata dai superstiti abitanti, mentre nuove orde d’invasori – non solo germanici, ma anche gli Slavi e i Proto-Bulgari (questi ultimi di stirpe uralo-altaica) si succedevano, a ondate, nei decenni e nei secoli successivi.

Il tempio principale di Eleusi, sede delle cerimonie, era chiamato Telesterion ed è stato riportato in luce dagli scavi archeologici a partire dal 1882. Esisteva già in epoca arcaica, ma venne più volte rimaneggiato e raggiunse la massima fioritura ad opera dell’architetto Ictino, contemporaneo di Pericle e autore anche del Partenone (V secolo avanti Cristo). Un doppio ordine di possenti colonne doriche avrebbe dovuto dare particolare solennità e imponenza alla costruzione, la quale, però, non venne mai portata a termine. Insieme a Delfi, a Olimpia e, naturalmente, ad Atene, si può dire che Eleusi fosse una delle località di maggior valore simbolico e di più grande importanza religiosa, spirituale e culturale di tutta la Grecia classica.

Ora le ciminiere delle fabbriche vomitano incessantemente i loro fumi pestiferi, che aggrediscono i monumenti come una lebbra e deturpano irrimediabilmente il paesaggio, così carico di suggestioni storico-artistiche e naturali; l’anima del luogo è fuggita, inorridita, chissà dove; tanto che il turista, per avere l’illusione di calarsi nel glorioso passato dell’Ellade, è costretto a voltare le spalle al surreale paesaggio industriale e a fingere di non vedere e di non sentire le esalazioni inquinanti che si spargono ovunque.

Scriveva Louis Doucet a proposito dello sfregio di Eleusi da parte della moderna civiltà industriale (in: L. Doucet, «La Grecia»; titolo originale: «La Grèce aujourd’hui», Paris, Editions Jeune Afrique, 1972, 1975; traduzione dal francese a cura di Lidia Campagnano, Milano, Fratelli Fabbri Editori, 1977, p. 118):

 

«Il suo nome [cioè di Eleusi] significa “l’Arrivata”. Era il luogo dove Demetra, dea dell’Agricoltura e della Fecondità, cercando sua figlia rapita da Ade, dio degli Inferi, sarebbe stata accolta dal re Keleo. In segno di riconoscenza per la sua ospitalità, essa aveva offerto a Trittolemo, figlio del re, il primo granello di frumento, insegnandogli anche a coltivare la terra. Una bellissima stele  esposta al Museo Nazionale di Atene ricorda quel gesto,  che il re-sacerdote Eumolpo aveva voluto per parte sua  perpetuare instaurando i famosi “Misteri”.

Sfortunato tre volte! Che erbe maligne sono nate dopo quel granello di frumento!

La località è oggi contrassegnata dalle ciminiere delle fabbriche che intrecciano per lei abominevoli corone di fumo. La stupenda baia di Salamina non è più altro che un luogo desolato dove i bambini della periferia sguazzano fra gli indistruttibili rifiuti della plastica domestica. Eleusi è in Grecia uno dei rari esempi di massacro a cui è difficile porre rimedio.

Eppure bisogna vederlo, questo luogo così vicino ad Atene, dove le grandi dee Demetra e Core furono onorate per quindici secoli.

“Eleusi è il Temenos comune della terra – scrive Aristide il Retore – fra le cose divine accordate agli uomini, e ciò che vi è di più  terribile e di più luminoso.

In quale altro luogo furono cantati racconti mitologici più belli,  o drammi più importanti hanno colpito gli animi? Dove si sono visti spettacoli più completi, quegli spettacoli contemplati in mezzo ad apparizioni indicibili da innumerevoli generazioni  di uomini felici e di donne?”

In che cosa consistevano questi misteri?  È abbastanza sorprendente che se ne sappia così poco.  È sorprendente, perché tutti gli Ateniesi e molti Greci vi passarono due volte all’anno finché Teodosio non li proibì alla fine del IV secolo. Si dice che qualsiasi rivelazione fosse punita con la morte.  È sufficiente questo per impedire qualsiasi fuga di notizie,  qualsiasi indiscrezione? Non spetta a noi rispondere, né formulare la benché minima ipotesi. Non resta che fantasticare sul cammino di quelle folle, dalla piccola capanna di legno dove sonnecchia un guardiano  solitaria fino alla bella spianata del museo  dove una testa di cavallo guarda Meleagro e Atalanta che si accaniscono sul cinghiale di Calidone.

Sagrati, lastricati, colonne, capitelli… ecco il pozzo sacro, il Kallicoron attorno al quale le donne di Eleusi ballavano e cantavano per glorificare Demetra… Ecco la Via Sacra un po’ sconnessa che conduce a dei portici, e poi gradini, e altri viali fiancheggiati  da muraglie. Fantastico groviglio di mura dove è ben difficile talvolta distinguere  il primitivo dal resto. Ma quei gradini tagliati nella carne viva della collina circondano un edificio più appariscente: il Telesterion, dove gli iniziati sfilavano alla luce delle torce. Meno fortunato, il tempio della dea del grano, che si aggrappava alla cima, scompare sotto la cappella della Panaghia. Questa cappella piantata  sulle rovine mi ha fatto personalmente uno strano effetto: con il suo campanile che distilla goccia a goccia le ore siopra le agavi e gli ulivi, è lei, qui che sembra anacronistica. E tuttavia non deturpa il luogo come le sirene delle fabbriche vicine. Ah, quelle!...»

 

La situazione in cui versa il sobborgo di Eleusi, col suo carico di suggestioni e di memorie e col bagaglio inviolato, e ormai inviolabile, dei suoi antichi misteri religiosi – che ci ricordano, come aveva compreso il vecchio Nietzsche, che non tutto, nella civiltà greca, è sereno, luminoso e “apollineo”, ma vi è anche un lato notturno, inquieto e “dionisiaco” – bene illustra l’abbandono e la noncuranza di ogni senso della tradizione in cui vive la civiltà europea ai nostri giorni. Essa ha scordato o smarrito le proprie radici; e se pure qualcuno se ne ricorda, ad esempio in occasione di convegni e mostre estemporanee, subito si mette a spacciare la moneta lucente, ma falsa, delle cosiddette “radici giudaico-cristiane”. Le radici della civiltà europea non sono affatto giudaiche: sono greco-romane e cristiane; il giudaismo non c’entra affatto, se non come premessa del cristianesimo, che da esso si è distaccato fin dal primissimi tempi, così come la giovane pianta vigorosa si distacca dalla vecchia, per vivere di una vita propria e indipendente.

L’oblio, dunque, è di duplice natura: materiale e spirituale; la barbarie delle ciminiere sullo sfondo di Eleusi ne è una manifestazione evidente, così come un’altra, non meno impressionante, è data dall’ignoranza delle loro stesse radici in cui sono sprofondati gli Europei, e specialmente i giovani – complici una scuola di massa che campa di luoghi comuni e di pregiudizi conformistici, e una università che di quella è diventata il prolungamento pedissequo e banale. Niente, radici, niente identità: già da qui si intravvede il disegno che sta dietro le politiche favorevoli all’invasione non violenta, ma sistematica, di una immigrazione incontrollata.

Demetra aveva fatto a Trittolemo un dono di valore inestimabile: un chicco di grano, origine dell’agricoltura, che è stata, per migliaia di anni, la fonte della nostra sopravvivenza, della nostra dignità, della nostra cultura; ma quel chicco è imputridito in una terra ingrata, ostile, abitata da una umanità incurante dell’armonia e della bellezza e protesa solo alla ricerca esasperata del guadagno, allo sfruttamento selvaggio della natura, alla volontà di trasformare ogni cosa in occasione di vantaggio economico.

L’ideologia della modernità, basata sul progresso illimitato, si fonda sull’industria, sulla finanza e sulla trasformazione incessante dei beni in merci, non importa se utili o inutili e non importa se inquinanti e dannose per l’ambiente: merci che devono essere vendute ad ogni costo, fino a saturare il mercato, per pii creare ad arte nuovi bisogni inutili; il tutto all’insegna dello spreco, della concorrenza esasperata, di una pubblicità sempre più demenziale e pervasiva, in breve in un completo sovvertimento di valori, dove il frivolo e il superfluo prendono il posto del giusto e del necessario e dove né il lavoro, né il risparmio costituiscono più dei valori, perché gli unici valori sono il consumo fine a se stesso, la capacità di spendere senza misura, l’ostentazione di cose che non migliorano la qualità della vita in senso profondo, ma solo in maniera apparente e ingannevole, causando, a loro volta, pesantissimi effetti negativi non preventivati.

La cultura, i valori dello spirito, l’amore della tradizione, la bellezza, la famiglia, la dignità, il rispetto dovuto a se stessi, l’onestà, la fedeltà alla parola data, l’assunzione degli impegni e delle responsabilità: tutto ciò che rende la vita armoniosa e degna di essere vissuta, è passato in secondo piano o è stato archiviato in nome dei “diritti” e della “liberazione” dopo secoli di cosiddetta educazione repressiva. Contano solo la moneta, il risultato pratico e immediato, il successo, l’esibizione della riuscita sociale: il resto sono chiacchiere che non interessano più a nessuno. Le radici sono diventate una catena; la tradizione, un peso da sopportare sempre più malvolentieri; oggi la parola d’ordine è andare sempre avanti, non importa dove, il più in fretta possibile: sulla Luna, su Marte o magari oltre il Sistema Solare, per mezzo di sonde spaziali costosissime; vorrà dire che, quando avremo finito di insozzare, disboscare, cementificare tutto, cominceremo a migrare verso qualche altro pianeta, verso qualche satellite in cui ripetere le stesse dinamiche, lo stesso sperpero di risorse, la stessa incoscienza e leggerezza nei confronti dell’ambiente.

Il paesaggio interiore del moderno europeo è l’immagine speculare di quello esteriore: un paesaggio allucinato, popolato di rovine che non ci dicono più nulla, perché ne abbiamo dimenticato il significato originario, ne abbiamo smarrito la chiave di lettura. Se potessimo vedere il paesaggio delle nostre anime, così come possiamo vedere quello esterno che ci circonda, rabbrividiremmo di sgomento e di vergogna: non sarebbe un bello spettacolo. Abbiamo creduto che la scienza e la tecnologia potessero risolvere i nostri problemi, senza riflettere che né l’una, né l’altra, possono farlo, perché non hanno nulla da dirci circa il mondo dei fini: sono solo dei mezzi. Non spetta ad esse indicarci la direzione da prendere, non tocca a loro rispondere alle grandi domandi esistenziali: perché siamo qui; che cosa ci attende oltre la soglia della morte; e perché mai, invece del nulla, qualcosa esiste, un mondo estremamente complesso e affascinante.

L’Europa moderna, così come tutto il mondo moderno, ha perduto il proprio centro unificatore, la propria sostanza spirituale: perché un vero centro unificatore non può essere che spirituale; soldi, autostrade e centri commerciali non unificano nulla, non creano coesione e tanto meno solidarietà. La scommessa è quella di ritrovare il nostro centro spirituale, di ristabilire la connessione con il senso profondo delle cose e di noi stessi: ne va della nostra anima, e anche della nostra sopravvivenza – specialmente di quella dei nostri figli e nipoti.

Intanto la splendida Cariatide di Eleusi è lì e continua a sfidare i millenni e l’inquinamento industriale: nel suo volto bellissimo, concentrato, enigmatico, c’è un mistero insondabile: il mistero del silenzio, di quel silenzio che la civiltà greca ha saputo stendere e conservare, per secoli e secoli, sui riti segreti che si svolgevano all’ombra del tempio di Demetra; riti nei quali nessuno aveva mai trovato la morte, ma dai quali si usciva, dopo aver superato prove indicibili, come rigenerati a nuova vita: e che prevedevano, per chi avesse osato divulgarli nel mondo profano, la pena estrema, quella che non ammette possibilità di riparazione.