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Fiumi, lungo le grandi strade d’acqua del pianeta

di Ettore Mo - 26/08/2006

Fiumi, lungo le grandi strade d’acqua del pianeta
Ettore Mo, Rizzoli editore, anno 2006
"Fiumi", il volume di Ettore Mo, grande inviato del Corriere della Sera, non ha certo un taglio vacanziero. La spiegazione della ricerca viene dalla quarta di copertina:  "dall’India alla Cina, dall’Eufrate al Piave, dal Mississipi al Danubio, storie di un mondo in guerra per l'acqua".
 
La copertina del volume di Ettore MoL'acqua è la vita, l’oro bianco del pianeta, e i fiumi sono le grandi strade d'acqua, che portano cose buone, indispensabili, ma anche grandi alluvioni, alterazioni dei sistemi incentivati quasi sempre dagli interventi dell'uomo.
Analizzati dalla scrittura agile ed essenziale del giornalista, questi giganti vivono in tutte le loro particolarità vitali legate al territorio. Agili e dirompenti appena nati dai loro altissimi ghiacciai, scendono alle pianure con la furia dei neonati, per poi rallentare e impantanarsi dentro scarichi umani o carcasse animali. Uno di questi è il Gange, il fiume sacro, che forma uno dei bacini più grandi del mondo, un quarto del territorio dell'India, un paese talmente grande da ospitare altri due piccoli giganti, il Brahmaputra e il Meghna, "facendo un immenso pantano di 1.677.000 chilometri quadrati; nel quale  gli abitanti di quasi 700 città e villaggi di dimensioni diverse scaricano i rifiuti e fanno i loro bisogni".
A pelo d’acqua del Gange (che gli indiani chiamano Ganga) inoltre veleggiano le ceneri di migliaia di Hindù che si sono fatti cremare e parte dei cadaveri che le fiamme non sono riuscite a divorare completamente. "Non stupiscono il sospetto e l’apprensione", aggiunge Ettore Mo, "di chi nel menù dei ristoranti si vede offrire il pesce fresco".
E nonostante questa ricchezza di acque New Delhi, la capitale, è sempre assetata e ha dovuto costruire un canale per portare acqua al super quartiere residenziale di Luthien, dirottandone un po’ di meno ai quartieri più poveri e periferici, scatenando un conflitto sociale.
 
La quarta di copertinaAnche il fiume Giordano è messo male. Non è più quello della Bibbia e dei profeti, lo stesso dove fu battezzato Gesù da Giovanni Battista. A furia di essere pompato da israeliani e giordani per irrigare le loro aride terre, non è più un fiume "ma è diventato uno scolo" dice Yousef Hasan Ayadi, numero due del ministero dell’Acqua e irrigazione giordano. E striminzito com'è non riesce quasi più a raggiungere il Mar Morto, "che per 10.000 anni ha potuto contare, per vivere, del suo costante e prezioso contributo. Un autentico disastro ecologico".
In Italia invece è una grande abbondanza di acqua e di fango a creare la tragedia.
Nel 1963 una valanga, provocata dalla frana del monte Toc nel bacino artificiale del Vajont, cancella il paese di Longarone e causa 1910 morti, il più giovane, Claudio, di 21 mesi. Subito le grandi firme del giornalismo sottoscrivono l'estraneità dell'uomo nella sciagura. La verità viene fuori dopo: svuotando l'invaso il monte era crollato, il fiume di denaro arrivato dopo finisce in minima parte alle famiglie delle vittime, con cavilli legale che favoriscono la controparte, la tragedia diventa un gigantesco business, e quando Vincenzo Teza, rientrato dalla Germania dove era emigrato per lavoro, si ritrova completamente solo, cerca i corpi dei suoi cari e li ritrova tutti, straziati dalla corrente. E quando un giorno si sente chiedere da dove venisse, e dice, di essere di Longarone, "Beati voi", gli rispondono, "che vi siete arricchiti coi vostri morti".
 
Il famoso giornalista Ettore MoE sempre in Italia il Piave, il mitico fiume che mormorava il 24 maggio del 1915 quando passavano i poveri fanti, temuto dagli austriaci perché con le sue piene bloccava le loro salmerie, sta diventando un "rigagnolo in via di estinzione".
"E’ il fiume più sfruttato d’Europa", racconta al cronista il presidente della Provincia, Sergio Reolon.  "Due miliardi e mezzo di metri cubi l'anno viene fatta confluire verso i consorzi per lo sviluppo agricolo della zona. Muta e si degrada il paesaggio. I laghi alpini, quasi in secco, non attirano più turisti, e questo aggrava il danno economico".
Sono finiti i tempi in cui si scendeva in zattera dal Cadore a Venezia, e lo facevano già i romani e gli zattieri sono da tanti anni costituiti in Corporazione, detta "Fraglia".
A Fossalta, Ettore Mo si inginocchia davanti alla targa che ricorda il diciottenne Ernest Hemingway, autiere volontario, ferito in quella località.
In Cina, in Africa, gigantesche dighe cercano di sfruttare la potenza dei fiumi per produrre energia ma spesso creano immani disastri, ambientali e immediati pericoli per vite umane.
In America Latina, in Bolivia, uno dei paesi più poveri, Ettore Mo si sofferma sulla località di Cochabamba, dove "A un certo punto il dilemma era inevitabile: beviamo l’ultimo bicchiere d'acqua per non morire di sete o lo versiamo nei canali irrigui perché non muoiano di sete i nostri campi coltivati a coca?"
A 2500 metri di altezza, al centro della città ci sono sempre folle di turisti e lì si avverte meno il bisogno. La forzata astinenza esplode nei barrios, i termitai periferici affogati nella polvere. Sono le autobotti a portare acqua, un bene comune che viene lesinato col contagocce; ogni famiglia piazza davanti a casa sua un bidone di metallo da 200 litri da trattare con parsimonia, per bere, cucinare e fare il bucato. Naturalmente, come immediata conseguenza, nella primavera del 2000 scoppia la prima guerra dell’acqua, il 4 e il 12 aprile, con cinque morti e centinaia di feriti.
Le belle pagine di Ettore Mo spaziano poi in Amazzonia, seguono l’epopea del Mississipi, da St. Louis a Memphis, la devastazione dell’uragano Katrina che distrugge buona parte della città del jazz, New Orleans.
E il lago Bajkal, il mare d’Aral, il Danubio. I fiumi descritti sono pezzi fondamentali di vita della terra, che coinvolgono uomini coraggiosi o opportunisti, intere comunità che si spostano e crescono o scompaiono legate all’acqua che li ha nutriti per centinaia di anni. Sono pezzi di una storia che si rinnova continuamente.