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Considerazioni post-quirinarie

di Francesco Mario Agnoli - 03/02/2015

Fonte: Arianna editrice

                 

 

  Qualunque cosa si pensi di lui occorre riconoscerlo: l'elezione di Sergio Mattarella a presidente della Repubblica è stato il trionfo politico di Matteo Renzi. L'aveva detto: punteremo su un unico candidato che ricompatti il PD, ve ne darò il nome   subito prima della riunione dei Grandi Elettori, voteremo scheda bianca nelle prime tre tornate e lo eleggeremo alla quarta. Così è avvenuto. Tutto si è svolto secondo copione, senza che nessuno potesse interloquire. Non l'alleato di governo, il Nuovo Centro Destra di Alfano,  tenuto per il cravattino, più che da attaccamento alle poltrone ministeriali (come pure qualcuno maligna), dalla paura di  un anticipato scioglimento delle camere  e di una conseguente  tornata elettorale, che allo stato non è in grado di affrontare.  E nemmeno l'altro contraente del cosiddetto “patto del Nazareno”, Silvio Berlusconi, Il leader di Forza Italia, avendo dissanguato il suo partito per aiutare Renzi a realizzare i  progetti di riforma,  credeva di avere acquisito titolo  alla sua riconoscenza e a dire la sua  nella scelta  del successore di Napolitano. Strano che un volpone come lui abbia dimenticato che non esiste riconoscenza in politica e che i patti vengono osservati solo se si ha la forza di farli rispettare.  Di conseguenza, non avendo la forza, né in proprio né col traballante soccorso azzurro di Alfano, che pure sperava (sbagliando) di essersi assicurato, si è trovato, come tutti  gli altri, nella situazione del prendere o lasciare senza spazio di trattativa. Del resto, caso mai ce ne fosse stato bisogno,  per ragioni difficilmente  comprensibili e confermando  le perplessità di chi lo ritiene  in disarmo, Silvio ha offerto su un piatto d'argento a un Matteo che non chiedeva altro l'occasione  per evitare trattative sui nomi con l'imbarazzante proposta del candidato più sgradito  di ogni altro agli italiani,  Giuliano Amato.

   Un errore  (anche se è verosimile che Renzi non avrebbe accettato di trattare nemmeno su un nome più spendibile) tutto sommato  benefico dal momento che  il candidato renziano era senza dubbio il meglio del mazzo dei papabili.

    Vero è che, a credere all'on. Brunetta, i  guai per il presidente del Consiglio, che ha ecceduto in astuzia, pretendendo di  giocare su tre tavoli (o, per recuperare  una vecchia terminologia, con tre forni), utilizzando  tre diverse maggioranze,  cominciano  adesso, dal momento  che per portare in porto la riforma del Senato  e la nuova legge elettorale dispone di un'unica maggioranza, che  gli viene meno se Forza Italia per vendicare  l'affronto subito gli fa mancare il suo appoggio.

    Brunetta si illude.  Innanzitutto non è affatto certo che la minoranza PD,  soddisfatta per avere contribuito  alla scelta e alla nomina   al più alto ufficio della Repubblica di un personaggio gradito e avere inflitto un colpo forse mortale   all'odiatissimo patto del Nazareno, riprenda subito le ostilità. Tuttavia se  anche così fosse (ed è abbastanza probabile)  Forza Italia, che, come dimostrano le elezioni per il Quirinale, non può nemmeno contare sul Ncd alfaniano,  ha a disposizioni solo armi spuntate.  Potrà forse riuscire a  rallentare  il cammino delle riforme (in particolare quella del Senato), ma, anche in questo caso è a rischio di   fare a Renzi un nuovo  favore dopo quello che gli  ha consentito di ricompattare il partito, le cui fibrillazioni stavano  superando il punto di tollerabilità per un premier che di quel partito è anche segretario.  Il blocco delle riforme  offrirebbe infatti al presidente del consiglio il destro per chiedere la fine anticipata della legislatura e avere finalmente le sospirate nuove elezioni, che, riducendo la rappresentanza parlamentare  dell'opposizione interna piddina,  gli garantirebbero, adesso che vola sulla cresta dell'onda,  una forte maggioranza di sua fiducia.

    Vittoria su tutta la linea.