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Gregory Bateson e lo stile della ricerca scientifica

di Marco Deriu - 30/08/2006

 

Circolo Bateson Cidi di Roma

Gregory Bateson (1904-1980)
I cent'anni di un pensiero vivente


LE DOMANDE CHE LO SCIENZIATO NON CONOSCE
Gregory Bateson e lo stile della ricerca scientifica


Vorrei in questo intervento offrire qualche riflessione non solo su Gregory Bateson, ma attraverso di lui su di noi e sul lavoro che facciamo; sul perché ci troviamo a riflettere su questo autore; su cosa ci muove Gregory Bateson. E spero di comunicare non solo idee ma anche emozioni…
Vorrei partire da alcune questioni: che significa essere scienziati, essere studiosi? Che significa esplorare? Che significa fare "scoperte"?
In fondo queste sono un po' le domande che per tutta la sua vita e la sua carriera lo stesso Bateson ha continuato a porsi: "Come si deve interpretare la responsabilità di coloro che si occupano dei sistemi viventi, della vasta ed eterogenea folla di entusiasti e di cinici, di generosi e di avidi? Tutti costoro, individualmente o collettivamente hanno la responsabilità di un sogno, che è poi il modo di porsi di fronte alla domanda: "Che cos'è un uomo, che può conoscere i sistemi viventi e agire su di essi, e che cosa sono questi sistemi, che possono essere conosciuti?". Le risposte a questo duplice enigma devono essere costruite intrecciando insieme la matematica, la storia naturale, l'estetica e anche la gioia di vivere e di amare: tutte contribuiscono a dar forma a quel sogno" (Bateson G., Bateson M.C., 1987, p. 273).
Io credo che dobbiamo porci queste domande perché dobbiamo diminuire l'hybris dello studioso che è sempre dietro l'angolo, l'hybris anche dello studioso di Bateson. E il modo migliore per dare scacco a questo hybris è riconoscere che non siamo noi a comandare il gioco, la nostra ricerca.
Dunque Gregory Bateson, l'esplorazione e la scoperta scientifica.

Scoperte esterne ed interne

Nel testo intitolato "Lingua e psicoterapia. L'ultimo progetto di Frieda Fromm-Reichmann", Bateson sottolinea che intraprendere lo studio di un nuovo campo d'indagine non significa soltanto cominciare ad esaminare una nuova parte dell'universo esterna a sé: "Quando il ricercatore comincia a sondare zone sconosciute dell'universo, l'altro capo della sonda è sempre immerso nelle sue parti vitali" (Bateson, 1997, p. 376). Per conoscere qualcosa, dobbiamo necessariamente confrontare noi stessi con ciò che ci sta di fronte e viceversa. Per comprendere qualcosa dobbiamo confrontare regolarità interne con regolarità esterne.
Per esempio riusciamo a dire che tipo di persona ci sta di fronte solo combinando l'osservazione delle sue abitudini comunicative con l'osservazione introspettiva del tipo di persona che siamo noi stessi quando abbiamo a che fare con altre persone (Bateson, 1997, p. 376), così possiamo comprendere la struttura di un granchio o di un cavallo solamente confrontandolo con la nostra struttura. E la comprensione che ne traiamo è una struttura di strutture.
Nella sua vita, Bateson ha sempre cercato di connettere lo sforzo nella comprensione degli oggetti di studio e dei processi analizzati con lo sforzo di interrogazione riflessiva su se stesso.
In particolare per Bateson, "ogni scoperta relativa al comportamento umano è anche una scoperta relativa al sé, e spesso una scoperta sgradevole in questo campo interno" (Bateson, 1997, p. 376).
Quando si cercano delle cose che non conosciamo, quando cerchiamo di impegnare il nostro mondo interiore per conoscere l'altro, per conoscere quello che avviene attorno a noi possiamo scoprire in noi cose bellissime e cose terribili, cose che ci affascinano e cose che ci spaventano, cose che ci riscaldano e cose che ci fanno tremare, cose dolcissime e cose tristissime, cose che ci danno sicurezza e cose che ci consegnano a dubbi radicali, parti di noi che riconosciamo felicemente, e altre che ci generano angoscia e timore. Ma se vogliamo davvero esplorare, se vogliamo davvero alla fine ricevere in dono quell'esperienza bellissima di scoprire qualcosa di più sul mondo, sulla vita e su di noi, ci tocca senz'altro caricare tutto questo, stivare fino in fondo ogni cosa e imbarcarci per il nostro viaggio con questo carico ricchissimo e pesantissimo, con la serena fiducia, che ce la faremo, che arriveremo su una qualche spiaggia sconosciuta.
Nel suo libro Con occhi di figlia. Ritratto di Margaret Mead e Gregory Bateson, Mary Catherine Bateson ha sottolineato a questo proposito l'importanza di quel "procedimento estetico basato sul tentativo di percepire la risonanza fra interno ed esterno, un'eco che focalizza l'attenzione" (Bateson, M. C., 1985, p. 161). Questo procedimento di conoscenza è dunque consapevolmente ispirato all'idea di una "doppia comprensione" tra interno ed esterno, tra sé e gli altri, tra il proprio essere vivente, lo sviluppo del proprio pensiero e il più generale mondo del vivente. La scoperta di sé è amplificata dalla scoperta degli altri e della vita più in generale e viceversa. Si tratta in fondo di empatia, che non riguarda solo il rapporto tra terapeuta e paziente, ma anche quello tra sé e il proprio gatto, tra il contadino e il proprio campo. Dunque la responsabilità di quel che conosciamo e anche la responsabilità di ciò che siamo nella relazione con noi stessi e nella relazione con gli altri. Le due forme di esplorazione - verso l'interno e verso l'esterno - sono sempre profondamente collegate, che ne siamo consapevoli o meno.
"Io vado sempre cianciando - diceva Bateson - di quella che chiamo "storia naturale" e dico sempre che senza storia naturale ogni conoscenza è morta, opaca o bigotta. E ora di colpo sembra che la storia naturale di quella quercia sia la mia (e tua) storia naturale. O almeno sembra che ci sia una storia naturale macrocosmica a cui tutte le piccole storie naturali si conformano a un punto tale che, se se ne capisce una piccola, si hanno indicazioni per capire quella grande" (Bateson, 1997, p. 354).
Tutto questo significa in fondo superare il dualismo soggetto/oggetto, mente/natura. Ogni esplorazione è nei fatti una riscoperta. Ogni esplorazione è una descrizione primaria del sé (Bateson, 1997, p. 188). Tutta quanta la conoscenza esterna dipende in realtà dall'autocoscienza, ovvero dalla disponibilità a leggere dentro se stessi e se stessi in connessione con gli altri. Questo è un primo aspetto che può limitare la hybris dello scienziato. Se infatti si è consapevoli di questa connessione tra interno ed esterno non si può che essere più cauti nel proprio atteggiamento verso l'esterno.
In tutto questo lavoro di esplorazione e di ricerca, si intende, noi mettiamo anche un grande impegno per dare un senso, secondo la nostra epistemologia, al mondo che crediamo di vedere. Ma in questo modo "la parola "oggettivo" si dilegua in silenzio; allo stesso tempo anche la parola "soggettivo" che di solito confina "me" dentro la mia pelle scompare. Credo che il cambiamento più importante sia la riduzione dell'oggettivo. Il mondo non è più "la fuori", come sembrava essere prima". Bateson non credeva né nel puro solipsismo né nel suo opposto. "Tra questi due estremi vi è una zona in cui in parte siamo portati dai venti della realtà e in parte siamo artisti che, sulla base degli eventi interni ed esterni, creano una composizione" (Bateson, 1997, pp. 347-348).

Strategie e stile della ricerca: il viaggio verso l'ignoto

Secondo Bateson dal modo in cui il ricercatore conduce la sua ricerca, si può arguire a quale tipo di scoperta si può effettivamente giungere (Bateson, 1984, p. 120).
Qualsiasi possibilità di acquisire informazioni sul mondo dipende dalle caratteristiche, dagli strumenti di percezione e di registrazione dell'organismo e dalle sue abitudini, dal suo stile di esplorazione. Ci sono certi aspetti, certe strutture che sono più accessibili e riconoscibili tramite alcune strategie di ricerca e altri che lo sono assai più difficilmente.
Ogni organismo è prigioniero di una visione limitata dell'universo nella misura in cui le proprie strategie di ricerca sono rigide e immutabili (Bateson, 1997, p. 232). Dunque se le nostre strategie di ricerca sono troppo preordinate, troppo costanti e ripetitive, è molto probabile che continueremo a vedere e a scoprire le stesse cose e non altre.
"Può benissimo accadere - nota Bateson - che una qualunque strutturazione (o ridondanza) particolare del metodo di ricerca renda il ricercatore cieco di fronte a certe configurazioni possibili dell'universo; e che solo una ricerca CASUALE gli consenta di scoprire prima o poi tutte le regolarità possibili" (Bateson, 1997, p. 232). Naturalmente si tratta di una possibilità ideale, perché dato il tempo limitato e la struttura dell'universo noi avremo comunque sempre a che vedere con strategie di ricerca particolari e dunque avremo sempre dei limiti nelle possibili configurazioni che potremo scoprire.
Da questo punto di vista, come è stato notato, nessun sistema può produrre qualcosa di nuovo almeno che non contenga qualche sorgente di casualità. "I processi esplorativi (l'interminabile procedere per tentativi ed errori del progresso mentale) possono conseguire la novità solo incamminandosi lungo percorsi presentatisi a caso …" (Bateson, 1984, p. 243). In altri termini ogni processo creativo è un processo stocastico, formato cioè da componenti casuali e processi selettivi.
Dunque per conseguire una qualche scoperta è fondamentale che ci sia un'apertura verso l'indeterminato, verso l'imprevisto. Un imprevisto che è in verità atteso, ma di cui non si sa nulla. In altre parole la dimensione della ricerca, dell'esplorazione è tanto più aperta alla novità tanto più è aperta all'ignoto nel metodo e nello scopo. In questo la ricerca scientifica ha qualcosa che l'accomuna con la ricerca religiosa e artistica. Come notava George Bataille, "Noi siamo messi totalmente a nudo solo se andiamo senza barare verso l'ignoto. È la parte di ignoto a conferire all'esperienza di Dio - o del poetico - la loro grande autorità. Ma l'ignoto esige alla fine l'impero assoluto" (Bataille, 1994, p. 32). Come scienziati e ricercatori dobbiamo avere lo stesso coraggio di mantenere una dimensione di apertura verso l'ignoto, verso l'imprevisto. Dobbiamo essere disponibili, insomma, anche a "ficcarci nei pasticci" e a improvvisare.
È un altro modo per dire che come scienziati e studiosi non possiamo ne dobbiamo controllare completamente quello che stiamo facendo. Lo stesso Bateson fino ad un certo punto non sapeva esattamente cosa stava facendo e per molto tempo è stato in balia delle occasioni e degli accidenti della vita, delle occasioni di lavoro, degli scarti improvvisi, passando da un ambiente e da una disciplina all'altra. Si può ricordare ad esempio che a un certo punto mentre con il cosiddetto "Gruppo Bateson" compiva ricerche sulla comunicazione, gli vengono tolti i finanziamenti perché non riesce a spiegare che cosa sta facendo, che cos'è che vuole cercare e scoprire. Lui era preso a studiare giochi, animali, spettacoli di burattini, le forme di comunicazione degli schizofrenici, l'ipnosi, l'umorismo e non era in grado di dire esattamente cosa stava cercando. Eppure proprio da questa ricerca così apparentemente indeterminata nascerà una teoria così rivoluzionaria come quella del "doppio vincolo".
D'altra parte se ci pensate la stessa struttura di "Verso un'ecologia della mente" è una struttura che si compone, si definisce alla fine, a posteriori, guardando indietro tutti i lavori di esplorazione condotti in campi diversi e apparentemente autonomi gli uni dagli altri. Si tratta di una struttura, quella dell'ecologia della mente, che non è stata in alcun modo progettata a priori. Certo non è un risultato semplicemente casuale ma nemmeno progettato. Si tratta di un conseguimento stocastico, in cui c'è evidentemente una "direzionalità senza scopo". Una direzionalità interiore e relazionale insieme.
Allora quello che voglio dire è che la complessità della ricerca di Bateson è legata a un'apertura all'ignoto, ad una disponibilità ad esplorare in diverse direzioni, a guardare contemporaneamente da punti di vista differenti.
Da questo punto di vista, non è un caso che Bateson ponga una particolare attenzione anche alla questione del rapporto tra conscio ed inconscio nella ricerca scientifica.
Questo non ci porta a dire che nel nostro esplorare siano importanti solo le domande inconsce, ma che piuttosto che è importante l'integrazione tra conscio e inconscio. Si tratta di coltivare un senso delle domande che ci guidano il più ampio possibile. La ricerca più profonda è quella che integra in sé tutto noi stessi, nelle nostre dimensioni consce e inconsce, consapevoli e inconsapevoli.
La scoperta scientifica ha a che fare non solo col rigore ma anche con il caos, la fantasia e l'immaginazione. Non o o ma e e. Ordine e caos. Rigore e immaginazione. Ci sono scoperte fondamentali che si fanno cercando tutt'altro altro o non sapendo bene che cosa si sta cercando e stabilendo all'improvviso connessioni inedite e creative. Per questo è importante avere un metodo di ricerca non monolitico, un pensiero non troppo fissato su un'unica cosa, non rigidamente disciplinare. C'è qui, se volete, l'idea dell'assenza di fissazioni, dell'"indisciplinarietà" cara anche a Edgar Morin.
"Per la natura stessa delle cose - ci ricorda Bateson -, un esploratore non può mai sapere che cosa stia esplorando finché l'esplorazione non sia stata compiuta. […] Non c'è dubbio che livelli più profondi della mente guidino lo scienziato o l'artista verso esperienze e pensieri attinenti ai problemi che in qualche modo sono suoi, e sembra che quest'azione di guida si esplichi assai prima che lo scienziato acquisti una qualunque nozione conscia dei suoi fini. Ma come ciò accada, non lo sappiamo" (Bateson, 2000, p. 79).
Bisogna in altre parole non sapere ciò che si sta cercando e nonostante questo avere l'urgenza, la passione e la fiducia di trovarlo. Torniamo dunque all'importanza che per Bateson aveva la dimensione dell'inconsapevolezza. Ci sono cose che si scoprono solo "inconsapevolmente".
Ecco il nucleo: le domande che lo scienziato non conosce, quelle che con la coscienza intravede appena, quelle che lo rincorrono e a cui, ovunque si volti, non può sfuggire, sono probabilmente i fondamenti più importanti dell'esplorazione e della scoperta scientifica. In questo senso non è lo scienziato a guidare la sua ricerca. Lo scienziato è in gran parte lui stesso condotto dalla sua ricerca. Una ricerca di cui è parte. Come ho scritto altrove, lo studioso appartiene alle sue domande, assai più che viceversa (Deriu, 2000). Spesso queste domande ci troviamo a ripercorrerle, a riformularle per tutta la vita. Le vere domande le ereditiamo da una storia personale familiare, da un ambiente, una cultura, un tempo. Da questo punto di vista vorrei suggerire che lo scienziato, prima ancora che impegnato a trovare delle risposte, è piuttosto un essere perennemente rivolto a rintracciare le domande; a risalire sempre più alle questioni ultime; ad ampliare e riformulare in senso sempre più preciso gli stessi interrogativi. "Vedi, io non faccio ogni volta una domanda diversa - diceva Bateson in uno dei suoi metaloghi con la figlia - io rendo più ampia la stessa domanda" (Bateson, 1984, p. 280).
Dunque che significa essere scienziati, essere studiosi, che significa esplorare, conoscere?
Perché siamo qui oggi, e perché Gregory Bateson ci affascina?
Ognuno darà la sua personale risposta. Sarebbe interessante metterle a confronto e trovare le connessioni tra queste risposte.
Io provo a offrirvi la mia.
Per me essere scienziati significa essere disponibili ad esplorare contemporaneamente e con lo stesso rigore dentro e fuori di sé. Non si tratta semplicemente di osservare la propria interiorità o il proprio inconscio; non si tratta nemmeno di osservare ed eventualmente trasformare il mondo esterno, questo mondo che proprio non ci piace. Si tratta di riconoscere le connessioni tra dentro e fuori, tra conscio e inconscio, tra sé e gli altri, tra noi tutti e la società in cui viviamo, tra la nostra società e l'ambiente in cui abitiamo. Bateson rappresenta per tutti noi l'immagine di uno scienziato per il quale si può provare finalmente fiducia e rispetto. Uno scienziato che non pretende di controllare o di gestire il mondo attorno a sé, di manipolare una trama più ampia di lui. Uno scienziato disposto a mettersi in gioco veramente nella ricerca, nell'esplorazione scientifica ed intellettuale.
Voglio sottolineare ancora che l'originalità e la profondità di Bateson sta nel non aver seguito piste preordinate, nel non aver voluto (anche "potuto" se si vuole ma le due cose in questo caso finiscono col confondersi) progettare una propria carriera, ma nell'essere rimasto fedele tutta la vita a un dialogo interiore che lo ha inconsciamente predisposto a un più ampio percorso e una più profonda ricerca. È l'immagine di un esploratore devoto con tutto se stesso alla propria più autentica ricerca.
Mary Catherine Bateson, nel suo bel libro Comporre una vita (1992) mi sembra che ci abbia indirettamente suggerito il modo migliore per avvicinarci a Bateson. Mentre parla della vita di cinque donne, Mary Catherine ha in mente anche il modello paterno. Il suo libro parla della capacità d'improvvisazione e sintesi creativa nella composizione delle nostre vite. La vita, come la descrive attraverso il suo libro, è per lei un'"arte dell'improvvisazione, sul modo in cui ciascuna di noi combina ciò che è familiare e ciò che è sconosciuto in risposta a situazioni nuove, seguendo una grammatica di fondo e un'estetica in divenire. […] È tempo adesso di esplorare il potenziale creativo di vite disseminate di discontinuità e conflitti, di vite in cui le energie non siano concentrate in un ambito ristretto o permanentemente rivolte a una singola aspirazione. […] Come può la creatività espandersi nella confusione? A quali intuizioni ci apre la strada l'esperienza dell'ambiguità e della molteplicità? A che punto l'improvvisazione disperata diventa un'importante conquista?" (Bateson Mary Catherine, 1992, p. 19).
Dunque qui c'è una cosa da dire.
Non dobbiamo trasformare il pensiero delle connessioni di Bateson in uno specialismo. Non dobbiamo ripercorrere gli stessi circuiti sperimentati da Bateson, confermare le stesse connessioni, ma essere, a nostra volta, esploratori. Dobbiamo fare le nostre sintesi autentiche, non fare di Bateson un "ismo" tra i tanti. Non dobbiamo ripetere le stesse cose come un eco che continua all'infinito, ma comprendere e sperimentare uno stile analogo, ciascuno con la propria sensibilità ed esperienza per eseguire le proprie connessioni. In altre parole dobbiamo avere attenzione allo stile della ricerca e dell'esplorazione, ovvero al processo più che alle conclusioni e al tentativo di sistemazione.
Lo stile di Bateson, la sua radicalità e diversità nell'atteggiamento di ricerca - la sua grande libertà nel porre le domande e la sua grande umiltà nell'accettare le risposte -, è ciò che rimane di più forte, perché ci dice non cosa pensare ma come dobbiamo fare se vogliamo per davvero cominciare la ricerca. In questo senso Bateson ci insegna davvero qualcosa di "altro", di nuovo. Il suo insegnamento è qualcosa che può, che deve continuare.
Il nostro compito di scienziati e di appassionati di Bateson, dunque non dev'essere quello di salvaguardare un'ortodossia, nemmeno un'ortodossia batesoniana; dobbiamo piuttosto tener vivo un "riconoscimento ampio e partecipe della tempesta in cui viviamo" (Bateson Gregory, Bateson Mary Catherine, 1997, p. 268).
Qualcuno ieri chiedeva se dopo Bateson c'era qualcun altro che ha detto cose interessanti o se ci dobbiamo fermare a lui. Ovviamente tanti altri hanno detto cose interessanti. Ma portare avanti il discorso di Bateson non significa semplicemente proseguire le sue analisi e fare nostri il suo linguaggio, i suoi concetti, il suo sistema di riferimento culturale o altre cose di questo genere. Continuare il suo insegnamento significa invece sperimentare la stessa urgenza, la stessa curiosità verso la vita, la stessa disponibilità verso una ricerca scientifica ed esistenziale fuori dai tracciati, senza comode sponde, con la stessa immaginazione e lo stesso rigore. Con lo stesso coraggio.
Nell'introduzione a Verso un'ecologia della mente (Bateson, 1972a, trad. it. 1976) Bateson riconosce esplicitamente di aver provato la sensazione di fallimento o di insuccesso professionale in almeno quattro occasioni della sua vita: la prima spedizione antropologica tra i Baining, la ricerca sui delfini, la pubblicazione di Naven, la prima ricerca al Veterans Administration Hospital. Eppure egli lavorava con l'urgenza di chi sa che "la grande scoperta, la risposta a tutti i nostri problemi, oppure la grande creazione, il sonetto perfetto sono sempre appena fuori della nostra portata" (Bateson, 2000, p. 217). Ho sempre trovato questo atteggiamento di Bateson qualcosa di raro ed estremamente prezioso.
Ciò che stimo di Bateson, come scienziato e come uomo, è che nel suo esplorare è stato veramente in gioco con tutto se stesso. Ha portato e messo al lavoro tutta la sua vita, la sua esperienza biografica. Sono convinto - come ho cercato di mostrare nel mio tentativo di ripercorrere la sua vita e il suo pensiero (Deriu, 2000) - che egli ha portato nella sua ricerca scientifica ogni episodio, ogni esperienza bella o brutta della sua vita: la morte dei fratelli, il rapporto con il padre e la madre, l'esperienza della guerra, le sue sconfitte professionali, la sua esperienza di malattia e il suo confronto con la morte, i suoi amori, le sue separazioni, le sue amicizie. Non ha tenuto nulla per sé solo, non ha tracciato alcuna scissione tra la sua maturazione umana e la sua maturazione come scienziato. Le due cose sono andate di pari passo: ha usato le sue ricerche scientifiche per cercare di leggere e orientare la sua vita; ma d'altra parte ha usato la sua vita e il proprio dolore per guidare e impregnare le proprie ricerche scientifiche, in un movimento circolare e fecondo di scoperta di sé e del mondo.

 

Bibliografia citata

Bataille George, 1994, L'esperienza interiore, Dedalo, Bari.
Bateson Gregory, 1984, Mente e natura, Adelphi, Milano.
-, 1997, Una sacra unità, Adelphi, Mílano.
-, 2000, Verso un'ecologia della mente, Adelphi, Milano.
Bateson Gregory e Bateson Mary Catherine, 1989, Dove gli angeli esitano, Adelphi, Milano.
Bateson Mary Catherine, 1985, Con occhi di figlia. Ritratto di Margaret Mead e Gregory Bateson, Feltrinelli, Milano.
-, 1992, Comporre una vita, Feltrinelli, Milano.
Deriu Marco (a cura di), 2000, Gregory Bateson, Bruno Mondadori Editore, Milano