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Ma la colpa non è dei polli

di Di Pierangelo Giovanetti; Di Roberto Beretta - 20/10/2005

Fonte: avvenire.it

Prima la mucca pazza, adesso l’aviaria: altrettanti campanelli d’allarme segnalano un rapporto falsato con l’ambiente Si confrontano due esperti

 

La minaccia dell’influenza aviaria mette in questione per l’ennesima volta il rapporto tra l’uomo e la natura. Ne parlano due esperti cattolici di ambiente: Andrea Masullo, docente di Teoria dello sviluppo sostenibile all’Università di Camerino e direttore dell’Osservatorio ambientale della Provincia di Roma nonché membro della Comunità di Sant’Egidio, e Gino Girolomoni, fondatore della cooperativa di agricoltura biologica «Alce Nero» di Isola del Piano (PU).

Masullo: sempre più spesso è l’uomo a scatenare la reazione della natura

«Se il criterio è solo quello di mercato, ignorando anche
i semplici principi di cautela, prima o poi tutto frana»


«L'umanità è come su un treno in corsa che sta andando verso il deragliamento. Frenare e cambiare direzione non è un optional, è una scelta obbligata per la nostra stessa sopravvivenza. Se sfruttiamo la natura secondo una logica di depredazione e di supremazia dell'economia, privilegiando solo il criterio del massimo profitto, poi la natura si ribella. Se non è l'"effetto serra", sarà la "mucca pazza"; se non è il "buco dell'ozono" è il "virus dei polli"».
Per Andrea Masullo, docente di Teoria dello sviluppo sostenibile all'Università di Camerino e direttore dell'Osservatorio ambientale della Provincia di Roma, pandemie come quella aviaria non accadono per caso. «Sono moltiplicate dalla nuova organizzazione di mercato che fa viaggiare le merci da un continente all'altro, senza alcuna ragione se non la massimizzazione del profitto. Se a questo si aggiungono le modalità di allevamento intensivo per guadagnare di più, e la dislocazione delle produzioni in aree del mondo dove i controlli sono meno severi per non avere vincoli, si comprende come sempre più spesso è l'uomo l'elemento scatenatore della natura».
Professor Masullo, ci eravamo appena riconciliati con la fiorentina, ed ecco scoppiare la psicosi del pollo. E prima c'era la carne agli estrogeni, gli antibiotici nella fettina, gli ormo ni della crescita. Un'emergenza continua.
«È questo lo sbaglio: affrontare tutto in chiave di emergenza quando scoppia. Ogni cosa è invece collegata: se si violenta la natura, poi questa reagisce. Se il criterio con cui ci si muove, è solo quello di mercato, ignorando anche i semplici principi di cautela e di precauzione, prima o poi tutto frana. Pensiamo alle conseguenze del cambiamento climatico sulla diffusione dei virus. Per via del nuovo clima, a breve il Sud Europa tornerà ad essere area malarica».
Cosa occorrerebbe fare per affrontare in maniera organica la tutela dell'ambiente?
«Non esistono politiche ambientali se non s'intrecciano con le politiche economiche e con quelle di solidarietà verso i poveri. Non ci può essere un ministero dell'Ambiente se poi il ministero dell'Economia si muove solo nell'ottica di una crescita materiale ed economica del Pil. Purtroppo molti governi nazionali sono indietro nel promuovere un'azione globale».
Masullo, lei oltre che responsabile Clima ed Energia del Wwf, è anche impegnato nella Comunità di Sant'Egidio. Che ruolo può avere la religione nel promuovere una cultura e una politica di salvaguardia del creato?
«Enorme, e già lo sta facendo. Ormai anche nella Chiesa si sta prendendo coscienza che la difesa dei diritti umani, l'attenzione ai più poveri e la difesa dell'ambiente sono tre aspetti dello stesso approccio alla vita di tipo solidaristico e cooperativistico, e non competitivo. Del resto in san Francesco abbiamo un maestro eccezionale. Non c'è rispetto della vita, se non c'è rispetto di tutte le creature. Non si rispetta Dio, se non si rispetta anche il più piccolo degli esseri viventi. La difesa dell'ambiente, quindi, è un comandamento profondamente cristiano».
Come è maturata questa consapevolezza nei cristiani?
«Progressivamente ci si è resi conto che la questione ambientale è questione sociale. Vescovi e missionari dell'America Latina si sono trovati ambientalisti per difendere il popolo. Hanno capito che difendere l'uomo voleva dire difendere l'ambiente in cui vive. Diventa quindi un tutt'uno con le battaglie per la difesa della vita, contro le manipolazioni genetiche, per la giustizia e la difesa dei più poveri. Se non c'è uno, non ci sono neanche le altre».
Ma è possibile un'«economia ecologica»?
«Certo. Ci sono fior di economisti che sostengono che si possa portare benessere senza aumentare la quantità di risorse naturali utilizzate, anzi riducendole con la sostituzione delle energie rinnovabili. Questa è l'unica strada per il futuro. Altrimenti ci scanneremo per l'accaparramento di risorse limitate e in via di esaurimento, come avviene già ora per il petrolio. Pensiamo che negli ultimi cinquant'anni, la maggior parte delle guerre è avvenuta per il controllo delle risorse naturali. Questo vuol dire che c'è uno stretto rapporto fra difesa dell'ambiente e promozione della pace».


Girolomoni: mi meraviglia che casi del genere non siano scoppiati prima

«Il biologico costa? Ma l’allevamento industriale è pure un’aberrazione che cominciamo a pagare cara»

Alce Nero ha parlato: i polli siamo noi. Difficile aspettarsi un responso diverso da quell’aruspice contadin-filosofico che è Gino Girolomoni, precursore della bio-agricoltura in Italia e titolare nelle Marche di una cooperativa che risponde al nome del celebre sciamano sioux. E senza nemmeno rovistare troppo tra i visceri di qualche gallina in odore di aviaria.
Girolomoni, lei è sempre stato in prima fila a denunciare le responsabilità dell’uomo nelle epidemie legate a violenze sulla natura. È il caso anche del «virus dei polli»?
«Indubbiamente. Quando penso agli allevamenti, mi meraviglia anzi come una cosa del genere non sia scoppiata prima... Un pulcino che diventa 3 chili in 40 giorni è fuori dalla realtà! È una tortura continua. Finora abbiamo resistito a forza di farmaci (4 polli su 10 hanno antibiotici a livelli superiori a quelli permessi); ma poi la natura si ribella».
Stavolta, però, si parla di un morbo che proviene da animali selvatici.
«Certo. Ma poi incontra il pollo industriale che è un animale estremamente debole, fragilissimo, quindi attaccabile da qualsiasi virus. Abbiamo già visto la mucca pazza e prima ancora il caso dei maiali: è il sistema di allevamento che non va. Abbiamo rotto troppe regole».
C’è chi sostiene tuttavia che gli allevamenti siano meno contaminabili dal virus, dato che sono protetti e al chiuso. Mentre i polli allevati all’aperto sarabbero più esposti. Come risponde?
«L’ho già sentita questa teoria, da un esperto che sosteneva che i diserbanti sono più "sicuri" dei prodotti biologici... Si tratta di esagerazioni che fanno parte dell’attuale ambiente culturale europeo. Ma l’ipotesi non è assolutamente vera, è una frase ad effetto senza possibilità di dimostrazione. Mentre dall’altra parte ci sono giganteschi interessi da difendere».
Ma l’allevamento biologico dà sicurezza contro il virus aviario?
«Anzitutto ci sono garanzie più generali. Lo spazio vitale per esempio: nel biologico la media è di tre polli al metro quadro, non uno in un foglio A4. E poi l’obbligo di allevare a terra. Quindi l’alimentazione: il pollo biologico non mangia Ogm né antibiotici. La contropartita è che i nostri animali costano il doppio. Ma d’altra parte pure l’allevamento industriale è un’aberrazione che cominciamo a pagare caro».
Però non ha risposto: lei farà strage di galline nel suo pollaio, in vista dell’aviaria?
«Il fenomeno è preoccupante. Personalmente continuo a mangiare polli biologici. Per ora mi fido, poi vedremo».
In ogni caso, come sostenere che le epidemie dipendono solo da eccessi umani?
«È vero, la spagnola del 1918 per esempio non ebbe origine da errori tecnologici. A volte non si può far nulla contro le epidemie naturali, però sembra che spesso diamo loro una mano per farci il più male possibile».
Il caso della «mucca pazza», tuttavia, sembra dimostrare ch e con un buon controllo anche i rischi calano o scompaiono.
«Certo, abbiamo diminuito alcune esagerazioni, ma nei mangimi vanno ancora a finire gli scarti di macelleria; bisognerebbe abolirli del tutto. Qualcosa abbiamo cercato di fare, però potevamo fare di più».
L’Italia è preparata all’emergenza?
«Dalle notizie che sento, sembra che il vaccino serva a poco: si compra più che altro per darsi l’illusione di reagire. Ma se non cambiamo registro, queste epidemie diverranno fenomeni ciclici. Dispiace che qualcuno voglia farci passare per ineluttabile il destino di nutrirsi di cibi sofisticati: avevamo dimostrato al contrario che la bio-agricoltura era possibile, c’erano 50 mila aziende; nel 2004 hanno chiuso in 10 mila».
Secondo lei, se ne ricevesse garanzie per la salute, la gente sarebbe disposta a spendere di più nel biologico, oppure continuerebbe ad andare in farmacia?
«Ma è solo da noi che i volumi di commercio del biologico sono così bassi che non permettono di risparmiare... In Svizzera il naturale costa poco di più. Se andiamo avanti così, comunque, alla fine mancheranno alle famiglie anche i soldi per i farmaci».
Insomma, sembra che per lei la scienza sia da rifiutare in blocco...
«In blocco no. Ma non tutto ciò che ci propone è l’unica possibilità. La scienza fa la sua strada ed è sbagliato prendere tutti i suoi risultati per buoni. Non per niente vedo aumentare problemi come le allergie, le intolleranze alimentari, l’indebolimento fisico».