Il degrado progressivo dell'urbanistica medioevale
di Mario Fazio - 14/12/2015
Fonte: traccefresche
Conobbi Mario Fazio alla fine degli anni ottanta in occasione di un simposio genovese. Parlai con lui,mi confermò che l'esperimento città-giardino / new towns non era affatto "fallito"
come volevano certi detrattori, che semmai era fallita la società intorno
e soprattutto per via dell'invasione automobilistica. {m. s.}
{da "Il destino dei centri storici", di Mario Fazio, 1977, Ed. Nuova Italia, stralci e titolo di Marco Sicco,
con particolare riferimento alla dimensione della costiera ligure. Ho apportato piccole modifiche grammaticali.}
*****
"Nella città medioevale ogni parente, amico, compagno di lavoro, era di fatto un vicino, raggiungibile a piedi.
La più vasta città non aveva un raggio superiore agli 800 metri." - {Lewis Mumford}
"Gli uomini del Medio Evo erano avvezzi a stare all'aperto: avevano campi per il tiro a bersaglio,
giocavano a palla, correvano e praticavano il tiro con l'arco. Tutto questo negli spazi liberi di cui la città
medioevale era assai più ricca, tenendo conto della popolazione, di qualsiasi forma urbana successiva..." - {Lewis Mumford}
(...) Lo stato igienico della città medioevale non era così disastroso come si è fatto credere. Anzitutto, se le strade erano strette, le case erano generalmente basse, e perciò ariose, ben illuminate (divennero buie e malsane con le sopraelevazioni a fini speculativi, specialmente nell'età barocca e nell'Ottocento), con distacchi, intervalli verdi, orti. (...) Le case dei vicoli di Napoli e dei "carruggi" di Genova erano basse, a due piani; avevano aria e luce.
Gli impianti igienici erano senza dubbio primitivi, sia dentro le case che fuori. Non c'erano canalizzazioni bianche o nere. Ma va ricordato che i rifiuti e gli escrementi venivano usati come fertilizzanti, negli orti e nelle campagne dove venivano trasportati. Si evitava così l'inquinamento delle falde sotterranee e dei corsi d'acqua, oggi provocato dalle discariche incontrollate e dalle fognature che si riversano nei fiumi. (...)
Nel Medio Evo si venne formando una serie di "sistemi" di città e di nuclei staccati che arricchirono la rete dei centri fortificati e di quelli sorti e rinati attorno alle comunità religiose. L'Italia ebbe le sue strutture, durate sette secoli. Assunse il suo aspetto. L'organizzazione dello spazio si definì in modo stabile in rapporto alle vocazioni ambientali. Si può parlare di veri e propri sistemi costieri, di pianure, pedemontani, collinari, montani. (...) Il sistema costiero ligure, comprendente tutti i centri oggi di interesse turistico (come Sanremo, Alassio, Portofino), si allunga da Ventimiglia a Lerici, avendo i suoi caposaldi a Oneglia (rifondata nel 935), Albenga (preromana), Noli, Savona, Genova, Portovenere (rinata su impianto romano-bizantino). (...)
Nel '600 e nel '700 divenne visibile il disfacimento della città, sotto vesti splendide che spesso mascheravano grandi operazioni immobiliari simili a quelle dei nostri giorni. Governanti delle città e lottizzatori spesso si identificano. Chiaro esempio la "Strada Nuova" di Genova, oggi via Garibaldi, dovuta all'iniziativa di alcune grandi famiglie che abbandonarono la parte più antica e densamente abitata della città, raccolta sul colle di Sarzano, per trasrerirsi ai bordi del centro primitivo ed edificare nella seconda metà del '500, in parte nel '600, sontuose residenze private. (...)
L'operazione fu preceduta da estese sopraelevazioni dei più poveri edifici della Genova antica, per trarne il massimo profitto. Si scoprì che i maggiori introiti venivano dalle case ridotte a tuguri. Se i "carruggi genovesi" sono così poveri di luce e le case sono così prive di aria, umide, difficilmente risanabili, lo si deve alle sopraelevazioni speculative che portarono a sei sette piani, anche più, vecchie case trecentesche e quattrocentesche di soli due o tre piani. Nel '400 le case popolari sul colle di Sarzano avevano due soli piani, saliti a sei nel '600, a otto nel '700-'800. Le condizioni di vita si fecero penose. Nel '500-'600 intere famiglie di "camalli", i facchini del porto, soffocavano nei mezzanini di poche stanze con un solo affaccio sul vicolo largo due metri. Nel '700 il Centro Storico di Genova era già un "mostro urbano", in cui le condizioni igieniche erano intollerabili (stesso doscorso, sia pure su scala ridotta, penso valga per il Centro Storico di Savona, ndr). Altrettanto avvenne a Napoli nei quartieri oggi più degradati e igienicamente inaccettabili, come quello sorto intorno a Spaccanapoli.
(...) la crisi totale della città, e perciò dei Centri Storici che oggi tentiamo di recuperare, ha origini nell'età barocca, quando l'urbanistica abbandonò del tutto il soddisfacimento delle esigenze umane. La città fu sacrificata al monumento, alle prospettive, alle esigenze della corte e del traffico, alla speculazione. Il quartiere e il rione persero la loro importanza, la forma prevalse sui contenuti sociali. (...)
L'Ottocento è il secolo delle grandi speculazioni, dell'ascesa delle potenti "immobiliari". Insediamenti industriali e commerciali, esigenze del traffico, modificarono la struttura dei vecchi centri urbani in modo brutale. Gli ingegneri e gli architetti accentuarono la loro specializzazione occupandosi del singolo edificio, della strada o della ferrovia, e disinteressandosi delle funzioni del territorio. (...)
In Italia non avevano avuto seguto apprezzabile neppure le polemiche seguite alle denunce straniere di vandalismi compiuti nelle nostre città storiche. Molto dura quella della SPAB inglese, "Society for the protection of ancient buildings"... fondata da William Morris nel 1877. "In Italia barbare e immotivate distruzioni sono portate avanti con grande vigore" si legge nel rapporto della SPAB per il 1881.
Agli inizi del secolo erano sorte in Inghilterra le prime "città-giardino", ideate da Ebenezer Howard (Letchworth, su progetto di Raymond Unwin, è del 1903). (...)
In Italia si discusse molto di nuova architettura e di razionalismo, ma in pratica si affermò l'architettura del regime che oggi anche i bambini riconoscono per la sua falsità. (...)
Ma il periodo fascista fu disastroso per le città più che per i singoli edifici. "La tragedia non è tanto architettonica quanto urbanistica", annota Bruno Zevi a pagina 240 della sua Storia dell'architettura moderna. Il "piccone demolitore" fu lo strumento dell'urbanistica fascista, secondo la scuola di Piacentini.
I Centri Storici costieri.
Sul Tirreno come sull'Adriatico si trovano Centri Storici compresi entro una massa incredibile di nuove case costruite senza alcun piano organico. Una sottile città, precaria e informe si allunga da Ventimiglia allo stretto di Messina, dai lidi pugliesi a quelli veneti. Il trasferimento degli italiani verso le coste è stato massiccio negli ultimi vent'anni: oggi il 47% della popolazione nazionale vive in riva al mare. Alla popolazione residente va aggiunta quella stagionale, che ha ingigantito l'espansione edilizia con l'aggiunta delle case e dei villaggi turistici costruiti per puri scopi speculativi. Lo spreco di abitazioni è valutabile da un solo dato: il 42,5 % delle residenze costruite dopo il 1960 nella provincia di Savona risulta "non occupato". In Liguria, una delle regioni più massicciamente aggredite dalla speculazione edilizia, quasi il 70% delle abitazioni è recente. Nella provincia di Savona ben 63.175 sono state ultimate dopo il 1960, contro 28.962 esistenti prima del 1919.
Le conseguenze sui Centri Storici, quasi tutti di origine medioevale, sono state pesanti: distruzione degli orti e agrumeti che costituivano i polmoni verdi degli antichi insediamenti, demolizioni, aperture di nuove strade all'interno del tessuto urbano antico, sostituzione dei residenti tradizional (pescatori, artigiani, famiglie a basso reddito) con turisti, stranieri, famiglie delle grandi città che investono capitali nella casa al mare. In alcuni casi il Centro Storico è stato isolato e sostituito da una nuova città anonima, sviluppatasi a macchia d'olio sull'esile trama ottocentesca. Vedi il Centro Storico di Ventimiglia, di origine romana e rifondato nel decimo secolo sulla collina: nel dopoguerrra è stato emarginato come un organismo autonomo di categoria inferiore, popolato da calabresi immigrati, mentre la Ventimiglia nuova, vicina al mare, si dilatava fino a saldarsi con Vallecrosia e Bordighera. Anche il Centro Storico di Bordighera, borgo murato medioevale, è oggi estraneo alla città addensata lungo la spiaggia. A Sanremo il borgo fortificato della Pigna, sulla collina, fa parte del colore locale ma non più della città informe e caotica, divenuta uno dei peggiori esempi di espansione speculativa in tutta Italia.
C'è un modello diverso: quello del Centro Storico parzialmente conservato come asse portante della nuova città turistica, ingrandita a dismisura negli ultimi vent'anni. È il caso di molti Centri Storici liguri, da Porto Maurizio e Oneglia (rifondata nel 935) a Laigueglia, Alassio, Albenga (preromana), Finale e Finalborgo, Noli (repubblica marinara), Varazze, Santa Margherita, Rapallo, Chiavari. Demolite le mura del secolo scorso, sventrati interi rioni antichi, distrutte chiese barocche per fare parcheggi, i Centri Storici nastriformi, come quello di Alassio, sono oggi interamente commercializzati ai piani terreni e per tre quarti trasformati in alberghi, pensioni, residenze temporanee e seconde case di forestieri.
In rari casi il Centro Storico ha subito lievi danni e non è avviluppato dalla nuova edilizia. Vedi Cervo. Quasi perfetta la conservazione formale di Portofino. Nasconde però la trasformazione sociale avvenuta all'interno delle case di pescatori, divenute dimore estive di miliardari. Scendendo a sud troviamo casi di relativa conservazione esteriore, con massiccia trasformazione interna, in Centri Storici laziali frequentati da intellettuali, artisti, stranieri, come Sperlonga.
Molto più gravi i danni arrecati ai Centri Storici laziali avvolti da un magma confuso di seconde case, dal Circeo a Terracina e Gaeta. In Calabria i Centri Storici costieri riconoscibili subiscono oggi l'assedio che negli anni Cinquanta travolse la costa ligure, mentre dilaga lo scempio lungo i litorali pugliesi e siciliani.
Risalendo a nord dalla parte dell'Adriatico va rilevata la particolare situazione dei Centri Storici collinari delle Marche, sdoppiati sulla costa dove oggi vive il 50% della popolazione regionale. Casi noti quelli di Civitanova Marche e Porto Civitanova, Recanati e Porto Recanati. Non si tratta di fenomeni recenti (già nel secolo scorso il nuovo nucleo di San Benedetto del Tronto era più grande della città medioevale) ma esasperati dal nuovo assetto del territorio dovuto a uno sviluppo economico non programmato.
(...) C'è stato piuttosto (entroterra, ndr), un arrembaggio alle zone collinari e montane di possibile sviluppo turistico, e semplicemente individuate come riserve di caccia della speculazione edilizia. Diventano zone di sviluppo disordinato l'entroterra ligure come l'appennino toscano. (...) nuclei storici spopolati e incamminati a una rapida decadenza fisica, come quelli dell'entroterra ligure (Val di Vara nello spezzino, alte valli imperiesi e nuclei situati sulle Alpi Marittime, vedi Upega e Carnino) vengono recuperati non secondo piani pubblici ma secondo la logica dell'investimento speculativo che oggi sceglie questi ambienti per far leva sul residente in città. (...)
Ripetiamolo: se c'è la volontà politica, la "conservazione integrata" del Centri Storici italiani non è utopia. Dipende ora dai Comuni e dalle Regioni il dirottamento di una consistente parte dei fondi statali per l'edilizia verso la colossale impresa della rinascita delle città italiane, ieri condannate a morte dall'incultura e dall'inerzia al servizio del profitto di pochi. (...)
Fino a qualche anno fa anche nei Paesi più avanzati, il destino dei Centri Storici era incerto. C'è stata una svolta politica dovuta in larga parte ai movimenti popolari promossi da associazioni molto attive. In Gran Bretagna operano ben 1200 associazioni per la tutela del patrimonio storico, artistico, naturale. (...)
Si deve in gran parte a questi enti morali l'evoluzione culturale che ha spinto governi e amministrazioni a considerare gli edifici del passato non come monumenti inanimati ma come parti vitali della città, da riutilizzare nell'interesse dei cittadini. (...)
La battaglia per i Centri Storici è aperta in tutta Europa, non soltanto in Italia. L'esito dipende in larga misura dalla nostra partecipazione. È una battaglia per il diritto a restare nelle vecchie case risanate, a riavere la piazza, la chiesa, il palazzo, come sede di servizi collettivi e come luoghi d'incontro dell'uomo che riscopre e riconquista la città.
Gli impianti igienici erano senza dubbio primitivi, sia dentro le case che fuori. Non c'erano canalizzazioni bianche o nere. Ma va ricordato che i rifiuti e gli escrementi venivano usati come fertilizzanti, negli orti e nelle campagne dove venivano trasportati. Si evitava così l'inquinamento delle falde sotterranee e dei corsi d'acqua, oggi provocato dalle discariche incontrollate e dalle fognature che si riversano nei fiumi. (...)
Nel Medio Evo si venne formando una serie di "sistemi" di città e di nuclei staccati che arricchirono la rete dei centri fortificati e di quelli sorti e rinati attorno alle comunità religiose. L'Italia ebbe le sue strutture, durate sette secoli. Assunse il suo aspetto. L'organizzazione dello spazio si definì in modo stabile in rapporto alle vocazioni ambientali. Si può parlare di veri e propri sistemi costieri, di pianure, pedemontani, collinari, montani. (...) Il sistema costiero ligure, comprendente tutti i centri oggi di interesse turistico (come Sanremo, Alassio, Portofino), si allunga da Ventimiglia a Lerici, avendo i suoi caposaldi a Oneglia (rifondata nel 935), Albenga (preromana), Noli, Savona, Genova, Portovenere (rinata su impianto romano-bizantino). (...)
Nel '600 e nel '700 divenne visibile il disfacimento della città, sotto vesti splendide che spesso mascheravano grandi operazioni immobiliari simili a quelle dei nostri giorni. Governanti delle città e lottizzatori spesso si identificano. Chiaro esempio la "Strada Nuova" di Genova, oggi via Garibaldi, dovuta all'iniziativa di alcune grandi famiglie che abbandonarono la parte più antica e densamente abitata della città, raccolta sul colle di Sarzano, per trasrerirsi ai bordi del centro primitivo ed edificare nella seconda metà del '500, in parte nel '600, sontuose residenze private. (...)
L'operazione fu preceduta da estese sopraelevazioni dei più poveri edifici della Genova antica, per trarne il massimo profitto. Si scoprì che i maggiori introiti venivano dalle case ridotte a tuguri. Se i "carruggi genovesi" sono così poveri di luce e le case sono così prive di aria, umide, difficilmente risanabili, lo si deve alle sopraelevazioni speculative che portarono a sei sette piani, anche più, vecchie case trecentesche e quattrocentesche di soli due o tre piani. Nel '400 le case popolari sul colle di Sarzano avevano due soli piani, saliti a sei nel '600, a otto nel '700-'800. Le condizioni di vita si fecero penose. Nel '500-'600 intere famiglie di "camalli", i facchini del porto, soffocavano nei mezzanini di poche stanze con un solo affaccio sul vicolo largo due metri. Nel '700 il Centro Storico di Genova era già un "mostro urbano", in cui le condizioni igieniche erano intollerabili (stesso doscorso, sia pure su scala ridotta, penso valga per il Centro Storico di Savona, ndr). Altrettanto avvenne a Napoli nei quartieri oggi più degradati e igienicamente inaccettabili, come quello sorto intorno a Spaccanapoli.
(...) la crisi totale della città, e perciò dei Centri Storici che oggi tentiamo di recuperare, ha origini nell'età barocca, quando l'urbanistica abbandonò del tutto il soddisfacimento delle esigenze umane. La città fu sacrificata al monumento, alle prospettive, alle esigenze della corte e del traffico, alla speculazione. Il quartiere e il rione persero la loro importanza, la forma prevalse sui contenuti sociali. (...)
L'Ottocento è il secolo delle grandi speculazioni, dell'ascesa delle potenti "immobiliari". Insediamenti industriali e commerciali, esigenze del traffico, modificarono la struttura dei vecchi centri urbani in modo brutale. Gli ingegneri e gli architetti accentuarono la loro specializzazione occupandosi del singolo edificio, della strada o della ferrovia, e disinteressandosi delle funzioni del territorio. (...)
In Italia non avevano avuto seguto apprezzabile neppure le polemiche seguite alle denunce straniere di vandalismi compiuti nelle nostre città storiche. Molto dura quella della SPAB inglese, "Society for the protection of ancient buildings"... fondata da William Morris nel 1877. "In Italia barbare e immotivate distruzioni sono portate avanti con grande vigore" si legge nel rapporto della SPAB per il 1881.
Agli inizi del secolo erano sorte in Inghilterra le prime "città-giardino", ideate da Ebenezer Howard (Letchworth, su progetto di Raymond Unwin, è del 1903). (...)
In Italia si discusse molto di nuova architettura e di razionalismo, ma in pratica si affermò l'architettura del regime che oggi anche i bambini riconoscono per la sua falsità. (...)
Ma il periodo fascista fu disastroso per le città più che per i singoli edifici. "La tragedia non è tanto architettonica quanto urbanistica", annota Bruno Zevi a pagina 240 della sua Storia dell'architettura moderna. Il "piccone demolitore" fu lo strumento dell'urbanistica fascista, secondo la scuola di Piacentini.
I Centri Storici costieri.
Sul Tirreno come sull'Adriatico si trovano Centri Storici compresi entro una massa incredibile di nuove case costruite senza alcun piano organico. Una sottile città, precaria e informe si allunga da Ventimiglia allo stretto di Messina, dai lidi pugliesi a quelli veneti. Il trasferimento degli italiani verso le coste è stato massiccio negli ultimi vent'anni: oggi il 47% della popolazione nazionale vive in riva al mare. Alla popolazione residente va aggiunta quella stagionale, che ha ingigantito l'espansione edilizia con l'aggiunta delle case e dei villaggi turistici costruiti per puri scopi speculativi. Lo spreco di abitazioni è valutabile da un solo dato: il 42,5 % delle residenze costruite dopo il 1960 nella provincia di Savona risulta "non occupato". In Liguria, una delle regioni più massicciamente aggredite dalla speculazione edilizia, quasi il 70% delle abitazioni è recente. Nella provincia di Savona ben 63.175 sono state ultimate dopo il 1960, contro 28.962 esistenti prima del 1919.
Le conseguenze sui Centri Storici, quasi tutti di origine medioevale, sono state pesanti: distruzione degli orti e agrumeti che costituivano i polmoni verdi degli antichi insediamenti, demolizioni, aperture di nuove strade all'interno del tessuto urbano antico, sostituzione dei residenti tradizional (pescatori, artigiani, famiglie a basso reddito) con turisti, stranieri, famiglie delle grandi città che investono capitali nella casa al mare. In alcuni casi il Centro Storico è stato isolato e sostituito da una nuova città anonima, sviluppatasi a macchia d'olio sull'esile trama ottocentesca. Vedi il Centro Storico di Ventimiglia, di origine romana e rifondato nel decimo secolo sulla collina: nel dopoguerrra è stato emarginato come un organismo autonomo di categoria inferiore, popolato da calabresi immigrati, mentre la Ventimiglia nuova, vicina al mare, si dilatava fino a saldarsi con Vallecrosia e Bordighera. Anche il Centro Storico di Bordighera, borgo murato medioevale, è oggi estraneo alla città addensata lungo la spiaggia. A Sanremo il borgo fortificato della Pigna, sulla collina, fa parte del colore locale ma non più della città informe e caotica, divenuta uno dei peggiori esempi di espansione speculativa in tutta Italia.
C'è un modello diverso: quello del Centro Storico parzialmente conservato come asse portante della nuova città turistica, ingrandita a dismisura negli ultimi vent'anni. È il caso di molti Centri Storici liguri, da Porto Maurizio e Oneglia (rifondata nel 935) a Laigueglia, Alassio, Albenga (preromana), Finale e Finalborgo, Noli (repubblica marinara), Varazze, Santa Margherita, Rapallo, Chiavari. Demolite le mura del secolo scorso, sventrati interi rioni antichi, distrutte chiese barocche per fare parcheggi, i Centri Storici nastriformi, come quello di Alassio, sono oggi interamente commercializzati ai piani terreni e per tre quarti trasformati in alberghi, pensioni, residenze temporanee e seconde case di forestieri.
In rari casi il Centro Storico ha subito lievi danni e non è avviluppato dalla nuova edilizia. Vedi Cervo. Quasi perfetta la conservazione formale di Portofino. Nasconde però la trasformazione sociale avvenuta all'interno delle case di pescatori, divenute dimore estive di miliardari. Scendendo a sud troviamo casi di relativa conservazione esteriore, con massiccia trasformazione interna, in Centri Storici laziali frequentati da intellettuali, artisti, stranieri, come Sperlonga.
Molto più gravi i danni arrecati ai Centri Storici laziali avvolti da un magma confuso di seconde case, dal Circeo a Terracina e Gaeta. In Calabria i Centri Storici costieri riconoscibili subiscono oggi l'assedio che negli anni Cinquanta travolse la costa ligure, mentre dilaga lo scempio lungo i litorali pugliesi e siciliani.
Risalendo a nord dalla parte dell'Adriatico va rilevata la particolare situazione dei Centri Storici collinari delle Marche, sdoppiati sulla costa dove oggi vive il 50% della popolazione regionale. Casi noti quelli di Civitanova Marche e Porto Civitanova, Recanati e Porto Recanati. Non si tratta di fenomeni recenti (già nel secolo scorso il nuovo nucleo di San Benedetto del Tronto era più grande della città medioevale) ma esasperati dal nuovo assetto del territorio dovuto a uno sviluppo economico non programmato.
(...) C'è stato piuttosto (entroterra, ndr), un arrembaggio alle zone collinari e montane di possibile sviluppo turistico, e semplicemente individuate come riserve di caccia della speculazione edilizia. Diventano zone di sviluppo disordinato l'entroterra ligure come l'appennino toscano. (...) nuclei storici spopolati e incamminati a una rapida decadenza fisica, come quelli dell'entroterra ligure (Val di Vara nello spezzino, alte valli imperiesi e nuclei situati sulle Alpi Marittime, vedi Upega e Carnino) vengono recuperati non secondo piani pubblici ma secondo la logica dell'investimento speculativo che oggi sceglie questi ambienti per far leva sul residente in città. (...)
Ripetiamolo: se c'è la volontà politica, la "conservazione integrata" del Centri Storici italiani non è utopia. Dipende ora dai Comuni e dalle Regioni il dirottamento di una consistente parte dei fondi statali per l'edilizia verso la colossale impresa della rinascita delle città italiane, ieri condannate a morte dall'incultura e dall'inerzia al servizio del profitto di pochi. (...)
Fino a qualche anno fa anche nei Paesi più avanzati, il destino dei Centri Storici era incerto. C'è stata una svolta politica dovuta in larga parte ai movimenti popolari promossi da associazioni molto attive. In Gran Bretagna operano ben 1200 associazioni per la tutela del patrimonio storico, artistico, naturale. (...)
Si deve in gran parte a questi enti morali l'evoluzione culturale che ha spinto governi e amministrazioni a considerare gli edifici del passato non come monumenti inanimati ma come parti vitali della città, da riutilizzare nell'interesse dei cittadini. (...)
La battaglia per i Centri Storici è aperta in tutta Europa, non soltanto in Italia. L'esito dipende in larga misura dalla nostra partecipazione. È una battaglia per il diritto a restare nelle vecchie case risanate, a riavere la piazza, la chiesa, il palazzo, come sede di servizi collettivi e come luoghi d'incontro dell'uomo che riscopre e riconquista la città.