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Alain de Benoist e la Russia

di Alfonso Piscitelli - 28/02/2016

Fonte: Russia.it

 Matteo Luca Andriola è un giovane intellettuale di formazione politica comunista. Era un bambino quando Valter Veltroni cominciò a infarcire l’Unità con gli album di figurine. Tuttavia Andriola, a differenza di molti altri, non sembra essersi fatto impressionare dalla pedagogia di questa “nouvelle vague”. Ci dice che il suo metodo di ricerca continua ad essere quello del “materialismo storico” e con questo spirito ha affrontato un tema oggi molto attuale…  quello delle nuove destre che riscuotono crescenti successi in tutta Europa. Andriola non simpatizza, non demonizza. Nel suo libro “La Nuova Destra in Europa. Il populismo e il pensiero di Alain de Benoist” (Paginauno edizioni) cerca di compiere una analisi precisa di cause ed effetti. Il suo giudizio è che questi movimenti populisti crescono elettoralmente perché riempiono un vuoto lasciato dalle sinistre. Gli argomenti dei partiti di sinistri talora si fanno snob, salottieri, quando non si collegano direttamente agli input del liberismo e dell’americanismo più spinto. Per questo i vari Le Pen, Orban intercettano ansie dei ceti popolari che sono stati impoveriti dalla globalizzazione e che spesso vengono snobbati dalla cosiddetta “gauche caviar” (sinistra al caviale).  Ma il successo dei “populisti” o delle “nuove destre” è solo un fenomeno da autogrill? Andriola sofferma la sua attenzione su un intellettuale che certo non può essere definito “ruspante” e in molte sue manifestazioni appare assai sofisticato: Alain De Benoist. Da molti anni questo francese sconcerta per il suo moto pendolare tra argomenti di destra e di sinistra. L’oscillazione tipica del pensiero debenoistiano non è però quella dei politici a caccia di una poltrona: egli la attribuisce alla idea che le categorie politiche di destra e sinistra (nate nei parlamenti inglesi e consacrate all’inizio dell’età classica delle ideologie che risale alla rivoluzione francese) non hanno più molto senso. Il suo metodo del “terzo incluso”, che consiste nel trovare una terza via di sintesi ogni qual volta l’opinione pubblica si divida tra “conservatori” e “progressisti” riguardo a un certo argomento, ricorda un aspetto fondamentale della filosofia hegeliana. Anche se De Benoist non si definisce affatto hegeliano.  Ma allora chi è questo poliedrico intellettuale francese? Figlio di un partigiano gaullista e di una donna colta di sinistra, De Benoist ha militato nelle organizzazioni della destra radicale francese ed ha curato le pagine culturali di “Le Figaro”. Le sue “aperture a sinistra” hanno riguardato l’interesse per Gramsci, l’analisi del fascismo desunta dagli studi dello storico israeliano Zeev Sternhell, l’idea di un nuovo rapporto organico tra Europa e Terzo Mondo. Idea quest’ultima che non può suscitare particolari simpatie in ambienti politici che in maniera più o meno velata coltivano una vera e propria “africa-fobia” … Nei confronti del Front National di Jean Marie Le Pen l’atteggiamento di De Benoist è stato per lungo tempo critico, De Benoist non ha mai accettato l’idea di trasformare gli immigrati nel capro espiatorio di tutte le debolezze sociali dell’Europa Occidentale. Opportunamente Andriola ricorda nella introduzione del suo saggio una frase significativa dell’autore: “Se in Francia non ci fosse un solo immigrato, noi avremmo esattamente gli stessi problemi…L’arresto dell’immigrazione implica al contempo la necessità di criticare in profondità la logica capitalistica e di aiutare i paesi del Terzo Mondo a rompere coi miraggi dello ‘sviluppo’ come lo concepiscono la Banca Mondiale e il FMI”. Oggi nei confronti di Marine Le Pen, de Benoist esprime un maggiore apprezzamento.  Il vero baricentro della weltanschauung debenoistiana è la critica al liberismo/liberalismo di marca americana. I due concetti ideologico (il liberalismo) e geopolitico (americanismo) si fondono a raddoppiano la sua diffidenza. Interessante in proposito un libretto molto denso di De Benoist intitolato “Democrazia il problema”, in cui egli si fa notare che liberalismo e democrazia vengono solitamente considerati come sinonimi e invece sono concetti opposti, antitetici. La democrazia esprime la sovranità di un popolo che si concretizza nella libertà di espressione, nell’uguaglianza di fronte alla legge, nella pari opportunità ad accedere ai posti di responsabilità; il liberalismo è invece una formula che dissolve ogni sovranità, ogni sentimento comunitario senza il quale la democrazia non può essere, non può funzionare.  De Benoist è critico verso il nazionalismo di stampo giacobino (ereditato poi nel corso del Novecento dai fascismi) e concepisce una nuova forma di organizzazione politica adatta all’epoca dei grandi “spazi”: una forma che egli con reminiscenza classica definisce “Impero” e che non ha  nulla a che fare con l’imperialismo aggressivo, essendo invece la sintesi delle comunità autogestite dal basso e della loro capacità di federarsi su larga scala per far fronte agli imponenti problemi del nostro tempo.  A un certo punto seguendo il filo di questi pensieri anche De Benoist ha incontrato la Russia. Se per De Benoist “l’Europa è un corpo malato”, “la Russia è oggi la principale alternativa per contrastare l’egemonia americana”. Putin è grande perché “ripudia i valori hollywoodiani”. L’America con la sua vocazione egemonica e mercantile gli appare come una nuova “Cartagine”, paragone questo che ricorda una tesi elaborata proprio in Russia, che a sua volta rivendica per sé l’eredità romana attraverso la mediazione di Bisanzio.  All’inizio degli anni Novanta, De Benoist vola a Mosca e conosce Dugin e altri intellettuali russi che in nome della comune opposizione alla politica di Eltsin sono protagonisti di una inedita alleanza tra “rossi” e “bianchi”: i seguaci dell’ideologia comunista sovietica e i cultori della tradizione zarista-ortodossa insieme. Andriola è molto preciso nel cogliere la complessità del rapporto tra De Benoist e Dugin: le due proposte culturali interagiscono su alcuni temi di fondo, ma non sono sovrapponibili. L’eurasiatismo di Dugin risente del fascino di temi arcaicizzanti, legati all’Asia profonda o alla mistica ortodossa (Dugin è un “vecchio credente”). La formazione culturale di de Benoist è molto più “eurocentrica”, affonda le sue radici nella grecità o anche nella cultura “faustiana” della Mitteleuropa. Certo poi quando si tratta di giudicare l’America, i due si trovano d’accordo nello scuotere il capo in segno di netta disapprovazione…