«Veneto filo-Putin? Bene così: é il migliore»
di Giacomo Gabellini - Alessio Mannino - 20/05/2016
Fonte: vvox
Il Veneto con una risoluzione votata dalla maggioranza di centrodestra e dal M5S ha riconosciuto l’annessione della Crimea da parte della Russia, invitando il governo italiano «a chiederel’immediato ritiro delle inutili sanzioni» a carico di Mosca. Le ragioni sono due: il principio dell’autodeterminazione dei popoli e il commercio estero. Per inquadrare questo voto politicamente simbolico (ma dal grande significato economico) siamo andati a chiedere lumi a chi ha approfondito la questione senza i pregiudizi russofobi che caratterizzano gran parte della pubblicistica italiana. Lo studioso Giacomo Gabellini, autore di molti volumi (fra cui “Shock. L’evoluzione del capitalismo globalizzato tra crisi, guerre e declino statunitense” e “Eurocrack. Il disastro politico, economico e strategico dell’Europa”), redattore di Scenari Internazionali e collaboratore della rivista Eurasia, ci ha scritto un libro di recentissima uscita intitolato “Ucraina. Una guerra per procura” (Arianna Editrice).
Quanto stiamo perdendo, come Paese, in termini economici, con la Russia? C’entra anche la minore capacità d’acquisto dovuta alla drastica caduta dei prezzi del petrolio e alla struttura dell’economia russa (export massiccio di materie prime)?
Le sanzioni sono costate all’Italia qualcosa come 3,5 miliardi di euro finora. I settori più colpiti sono naturalmente quelli alimentari, i quali fornivano formaggi, carne, verdure, latte, ecc, che in Russia erano estremamente apprezzati e che ora Mosca acquista da tutta una serie di Paesi a partire da Israele, rifiutatosi di aderire alla campagna sanzionatoria. Le materie prime non sono state toccate dalle sanzioni e in ogni caso hanno un ruolo del tutto marginale rispetto alla portata dei danni.
La Crimea deve considerarsi effettivamente russa, storicamente e politicamente?
Su questo ci sono ben pochi dubbi. La Crimea, abitata in netta prevalenza da cittadini russofoni, aveva costituito da secoli una parte fondamentale del territorio russo, e solo dal 1954 era confluita nello Stato ucraino in base a un provvedimento attraverso cui Nikita Chruščëv intese celebrare i 300 anni di unione dei due popoli; si trattava quindi di un trasferimento puramente simbolico, in quanto l’operazione avveniva nel quadro della federazione sovietica di cui l’Ucraina rappresentava un Paese membro.
«Putin è il più grande statista vivente», detto il consigliere regionale Sergio Berlato (Fratelli d’Italia). Condivide? O il giudizio é più complesso?
Putin ha dimostrato capacità tattiche e strategiche che nessun altro leader politico contemporaneo è stato in grado di sfoggiare, specialmente in Europa. Come ogni uomo di potere, ha indubbiamente i suoi scheletri nell’armadio, ma nel complesso ritengo che solo un personaggio tanto sfuggente e complesso (estremamente complesso, al contrario di come lo raffigurano le narrazioni occidentali) potesse sottrarre la Russia allo sfacelo in cui Gorbačëv, Eltsin e personaggi consimili l’avevano condotta. Se la Russia è tornata a far valere i propri interessi – interessi che spesso coincidono con i nostri – lo si deve all’abilità di Vladimir Putin, che definire il più grande statista vivente non mi sembra affatto un’esagerazione.
L’ambasciatore ucraino in Italia, Yevhen Perelygin, in una lettera al consiglio regionale veneto prima del voto di ieri sosteneva che la Crimea è stata «occupata e annessa due anni fa alla Federazione Russa in violazione dei principi fondamentali del diritto internazionale e degli accordi bilaterali» e poi avrebbe avallato il tutto con un referendum, nel febbraio 2014, «fasullo», dichiarato illegittimo anche dall’Onu. È andata così?
Queste sì che sono dichiarazioni quantomeno superficiali ed anche scarsamente attinenti alla realtà. L’annessione della Crimea è stata confermata in maniera inequivocabile da un referendum cui hanno partecipato gran parte degli aventi diritto; gli stessi che avevano avanzato la richiesta di adesione alla Federazione Russa a seguito degli sviluppi che stavano verificandosi a Kiev, con fazioni politiche neofasciste che si apprestavano a introdurre leggi palesemente discriminatorie nei confronti dei russi etnici, come ad esempio il divieto di utilizzo della lingua russa. I russi, gruppi militari senza mostrine e distintivi, si limitarono a presidiare la penisola per garantire che le votazioni si svolgessero in sicurezza dopo che i crimeani avevano indetto il referendum. È veramente curioso che riguardo all’annessione della Crimea, che ospita la cruciale base militare russa di Sebastopoli, siano state pronunciate parole di fuoco da parte di tutti i principali esponenti politici europei e statunitensi, mentre pochi anni prima nessuno ebbe da eccepire rispetto alla secessione del Kosovo, la cui indipendenza, proclamata unilateralmente ed in assenza di qualsiasi consultazione popolare, venne riconosciuta immediatamente da quasi tutti i Paesi occidentali.
Sempre l’ambasciatore ha fatto cenno ai Tartari di Crimea, che sarebbero i veri autoctoni perseguitati dai Russi. È vero?
I tartari di Crimea sono per lo più islamici sunniti dai tratti somatici orientali, in quanto discendenti dei guerrieri mongoli inquadrati nel “Khanato dell’Orda d’Oro”. Dire che siano loro i veri autoctoni mi pare una grossolana esagerazione, visto che i russi vi risiedevano anche prima della calata dei mongoli e vi hanno fatto ritorno nei decenni successivi alla cacciata dei successori di Gengis Kahn. Una parte non irrilevante di questa comunità ha avuto dei problemi con il governo centrale russo, e tende attualmente a farsi usare come testa di ponte ottomana conformemente al disegno egemonico del presidente turco Erdoğan, intenzionato a consolidare la “profondità strategica” di Ankara in Europa orientale. Sono però pochi i tartari che si prestano a questo gioco, dal momento che secondo i dati pubblicati dall’Agenzia Federale per gli Affari delle Etnie, alla metà del dicembre 2015 soltanto il 17% dei tartari di Crimea vedeva il proprio futuro assieme all’Ucraina.
Il centrodestra, Lega inclusa tranne alcune frange, come anche il centrosinistra, in Veneto ha benedetto il raddoppio della base Usa a Vicenza (vedi articolo di Vvox di ieri). Da studioso di geopolitica, come giudica l’orientamento in politica estera della nostra classe dirigente, in questo caso veneta, alla luce della decisa posizione filo-russa di ieri?
Si tratta del deleterio approccio politico e strategico ereditato da una classe dirigente invecchiata all’ombra del Muro di Berlino e del tutto incapace persino di immaginare un riposizionamento geopolitico dell’Italia. Per gran parte dei politici italiani, ma il discorso vale per tutta l’Europa, gli Stati Uniti rimangono i “liberatori” verso i quali tutti noi saremmo ancora ampiamente in debito. Poco importa in ambito politico i “debiti”, su cui ci sarebbe peraltro molto da dire, non sono sempiterni e il “vecchio continente” abbia ripagato tutto questo sotto forma di rigoroso allineamento ai dettami statunitensi dal 1945 ad oggi. Questa tara mentale porta le nostre classi dirigenti a non accorgersi – a non voler accorgersi – che gli interessi europei tendono sempre di più a coincidere con quelli russi e che la discesa in campo di Mosca nel teatro siriano è anche una battaglia di difesa delle nostre posizioni. Politici, giornalisti, professori universitari sono in larghissima parte sintonizzati su quest’unica lunghezza d’onda, non rendendosi conto che “dalla parte sbagliata della storia” non c’è Putin, come ha dichiarato Obama, ma proprio la loro aprioristica ed anacronistica inclinazione atlantista.