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Turchia, perché il golpe è fallito

di Giovanni Giacalone - 16/07/2016

Turchia, perché il golpe è fallito

Fonte: Gli occhi della guerra

Il golpe in Turchia della scorsa notte non è riuscito, Erdogan si salva per poco e rientra a Istanbul anche se privo della tronfia espressione con cui siamo abituati a vederlo. Il presidente-dittatore è preoccupato e fa bene ad esserlo visto che a prescindere dall’esito della rivolta di questa notte, il Paese resta nel subbuglio, la ferita è profonda e difficile da chiudere.

Eventuali provvedimenti del presidente islamista volti a reprimere ulteriormente le libertà, già pesantemente schiacciate durante il suo governo, non faranno altro che peggiorare la situazione dell’AKP. Se dunque c’è chi sostiene che Erdogan uscirà più forte da questa situazione, a medio termine potrebbe non essere così.

La reazione di Erdogan potrebbe addirittura porre le basi per la sua definitiva disfatta, tenendo conto che il fatto stesso che la Turchia si trova oggi in una situazione così drammatica è già di per sé una pesante sconfitta per un leader isolato a livello internazionale, a cui l’Ue ha rifiutato l’asilo e i cui sostenitori lo acclamano al grido “Allahu Akbar”. Tutto molto eloquente.

[question q=”Secondo te chi trae giovamento da questo tentato golpe?”]

È però fondamentale capire le motivazioni del fallimento di quello che è sembrato più uno scherzo, piuttosto che un golpe con la G maiuscola, una “bischerata” che avrebbe fatto ridere, se non piangere, golpisti del calibro di Augusto Pinochet, Jorge Videla e Humberto de Alencar Castelo Branco.

Un “golpe” scoordinato, evidentemente privo di ponderata pianificazione. Mettendo da parte considerazioni etiche, quali sono stati gli errori più grossolani commessi dai militari?

  1. I tre principali corpi militari (esercito, marina e aviazione) non erano uniti. La Marina si è subito dissociata, così come la prima linea dell’esercito, mentre aerei ed elicotteri pro e contro Erdogan si sparavano tra loro. L’unione delle forze armate è essenziale per la riuscita di un golpe, basta pensare a quello messo in atto in Argentina il 24 marzo 1976, guidato dal generale Jorge Videla assieme ai tre rappresentanti dei tre corpi armati: il generale Leopoldo Galtieri (Esercito), l’ammiraglio Emilio Massera (Marina), il generale Orlando Agosti (Aviazione).
  2. Erdogan è stato lasciato libero di fuggire e di rilasciare comunicati; non sono stati presi provvedimenti restrittivi nei confronti della leadership del governo islamista e misure cautelative adeguate nei confronti di quegli apparati fedeli agli islamisti. Un errore da dilettanti.
  3. L’esercito è risultato scoordinato, privo della necessaria risolutezza che ha invece caratterizzato altri golpes come quello del generale Augusto Pinochet nel 1973 in Cile. I luoghi strategici come tv, vie sensibili, sede dei servizi segreti e caserme di polizia non sono state adeguatamente penetrati e presidiati.
  4. Un golpe si risolve in poche ore, altrimenti non è più tale e perde di efficacia man mano che le tempistiche si estendono. La sceneggiata di ieri notte è durata troppo e si è tramutata in una guerriglia interna.
  5. Se da una parte gli islamisti sono accorsi in strada, seguendo le direttive di un Erdogan che intanto se ne stava al sicuro, ben lontano dai disordini, sull’altro fronte il popolo turco anti-Erdogan non si è mosso. Le ragioni sono ancora da chiarire. In ogni caso il popolo non c’era.

Un golpe si prepara con le necessarie tempistiche, minuziosamente e non si improvvisa nulla, bisogna essere quasi certi della sua riuscita, altrimenti poi se ne pagano le conseguenze; ciò sembra essere però sfuggito ai militari ieri notte.
In generale comunque nessuno esce vincitore dalla caotica nottata di ieri. I sostenitori del governo-regime islamista “democraticamente eletto” festeggiano senza rendersi conto che il fallito golpe non è una vittoria per Erdogan e Akp, ma piuttosto il passaggio verso un’ulteriore fase che a medio termine porterà comunque alla sua caduta. La Turchia è instabile, l’appoggio degli islamisti al grido “allahu akbar” e la mobilitazione degli imam dei Fratelli Musulmani non rassicura nessuno, nè l’UE e nemmeno la Russia.

D’altro canto i militari hanno dimostrato di essere divisi, frammentati mentre il popolo anti-Erdogan appare in sonno. La polizia spalleggia gli islamisti, venendo meno al proprio compito di tutelare i cittadini tutti. Insomma, la Turchia debole e instabile è una grana per tutti, se poi è anche una Turchia islamista, che fa transitare armi ai jihadisti in Siria, che usa i muezzin per chiamare i “fedeli” in strada a favore di Erdogan e che cura i comandanti dell’Isis nei propri ospedali, allora la situazione si complica ulteriormente.