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Giochi di soldi e potere. I furbetti del telefonino

di FRK - 05/10/2006



 

Sarà un destino che agli uomini di potere il matrimonio porti male, ma il declino di Ricucci è cominciato subito dopo il matrimonio con Anna Falchi e i casini di Rovati con la Telecom sono cominciati la settimana dopo il suo matrimonio.
Le cronache rosa ci raccontano infatti che Angelo Rovati si è sposato con Chiara Boni, la stilista, il 6 settembre scorso (la sera della notte bianca a Roma) in Campidoglio. Cerimonia da gran spolvero, officiata da Veltroni. La sposa in rosso, testimoni di nozze dello sposo il premier Romano Prodi e Claudio Costamagna, entrambi amici di vecchia data, oltre che con lo sposo, anche tra loro, visto che avevano addirittura lavorato insieme per tre anni in una merchant bank statunitense, la Goldman Sachs, dove Prodi faceva l'advisor, e Costamagna il vicepresidente.
Presente, come nei matrimoni che contano, il bel mondo: il governo, l'imprenditoria, i banchieri.
Tra i banchieri va segnalata la presenza di Giovanni Bazoli, anche lui amico di Prodi, grazie al quale è riuscito a proporsi come nuovo punto di riferimento della finanza cattolica, orfana di Fazio, ed è divenuto il primo banchiere in Italia dopo la fusione tra la sua Banca Intesa ed il San Paolo di Torino. Qualche grattacapo Bazoli lo ha: in seguito alla fusione l'esposizione del nuovo gruppo bancario nei confronti di Telecom ha superato i massimali di rischio per una banca nei confronti di un singolo cliente e dovrà trovare qualcun altro che si accolli parte dei debiti. E non è cosa facile. Bazoli però è andato lì per divertirsi anche se di queste occasioni si approfitta sempre per fare quattro chiacchiere in tranquillità, scambiarsi informazioni, darsi informalmente rassicurazioni. Per questo motivo si è dovuta necessariamente limitare la presenza dei giornalisti a solo due invitati, cari amici dello sposo: Ferruccio De Bortoli, direttore del Sole 24 Ore, e Paolo Mieli, direttore del Corriere della Sera.
Tanti bei nomi sono dovuti, oltre ad una rete di relazioni intessuta negli anni, anche al ruolo ricoperto da Rovati nello staff di Prodi. In aggiunta al ruolo ufficiale di tesoriere e cassiere della campagna elettorale il buon Angelo è infatti "l'uomo delle nomine": quello che conduce per conto di Prodi le trattative per nominare e rimuovere i dirigenti dalle aziende controllate dallo stato. Aveva infatti appena condotto in porto la scelta di Riotta alla direzione del TG1 in quello scontro sulle nomine RAI che Prodi aveva definito "peggiore del Libano" e che lui aveva affrontato con successo.
Una fiducia ben riposta tanto che l'amico Angelo, invece di andarsi a fare una vacanza con la moglie appena impalmata, segue Prodi in partenza per la Cina pochi giorni dopo.
In effetti non se lo poteva perdere questo viaggio in Cina.
A parte quello di Marco Polo, che però non era Presidente del Consiglio, l'unico precedente di un viaggio ufficiale in Cina era stato quello di Craxi che ci andò portandosi dietro una delegazione comprendente amici, amanti, figli e partner dei figli. La numerosa delegazione, di 65 persone, suscitò ironia perché coincideva con la capienza massima dell'aereo presidenziale.
Prodi ha fatto di meglio. Si è portato dietro un migliaio di persone, rappresentanti del governo, di Confindustria, di regioni e comuni, dell'Istituto del Commercio Estero, delle banche e delle singole imprese. A questi vanno aggiunti 350 interpreti, qualche centinaio di giornalisti, un altro centinaio di addetti alla sicurezza. Insomma, altro che i 65 poveracci di Craxi!
Che gli amici di Prodi e Rovati siano degli appassionati di viaggi si vede anche da cosa ha fatto l'altro testimone di nozze dello sposo. Il giorno dopo la cerimonia è partito e se n'è andato al largo di Zante, sullo yatch di Murdoch, il proprietario di Sky, a fargli da consulente nella difficile trattativa che questi stava tenendo con Marco Tronchetti Provera per l'entrata nel gruppo Telecom del tycoon inglese.
Il 7 settembre era la seconda volta che Murdoch e Tronchetti si vedevano, e Tronchetti ormai sapeva che Costamagna era consulente di Murdoch. Quando però l'aveva scoperto, nel primo incontro ufficiale che aveva avuto ad agosto, si è quasi morso la lingua pensando che aveva raccontato tutta la strategia di Telecom nei confronti di News Corp (la società di Murdoch) a quel chiacchierone di Prodi in un incontro a Palazzo Chigi il 19 luglio precedente.
Il progetto era che Murdoch mettesse Sky Italia (la società che vende i canali satellitari a pagamento) nel gruppo Telecom ed in cambio ne diventasse azionista.
Questo accordo avrebbe consentito nell'immediato di potenziare La7 e, in prospettiva, di poter lanciare la televisione attraverso la rete telefonica a banda larga sviluppando quella che si chiama "convergenza" tra computer, internet, satellite, telefono, DVD e televisione.
Il 7 settembre però Tronchetti era più tranquillo, si era visto con Prodi 5 giorni prima a Cernobbio, alla presenza anche del buon Rovati e di Daniele Di Giovanni (il capo della segreteria di Prodi), e gli aveva raccontato che, oltre che con Murdoch, aveva preso contatti anche con Time Warner e General Electric, società americane con un magazzino film e contenuti maggiore della NewsCorp, e che queste erano interessate all'affare. Gli aveva anche detto che, nonostante il rialzo dei tassi d'interesse non aveva problemi di debiti perché a breve avrebbe venduto Telecom Brasile a 7/9 miliardi di Euro e che, quindi, non aveva nessuna fretta di concludere la trattativa.
Probabilmente Prodi e Rovati (e a seguire Costamagna e Murdoch) hanno creduto a quello che oggi sembra essere stato un bluff di Tronchetti.
Per cercare di rimediare ad un affare che si stava mettendo male e che rischiava di tagliare fuori Murdoch dalla televisione a banda larga in Italia, Rovati, proprio il giorno prima del suo matrimonio, ha mandato a Tronchetti un piano di ristrutturazione di Telecom di 28 pagine che gli proponeva di cedere la rete telefonica allo stato (e più precisamente alla Cassa Depositi e Prestiti). Visto che il documento era accompagnato da un biglietto scritto su carta intestata dalla segreteria della Presidenza del Consiglio sembrava proprio un'offerta di acquisto, accompagnata, tra l'altro, da velate minacce sulle possibili pressioni che l'Authority avrebbe potuto esercitare su Telecom nel caso in cui fosse rimasta titolare della rete.
Tronchetti però ringrazia e dice di non essere interessato. Va tenuto infatti presente che Tronchetti è un avido. Ha preso una fregatura sulla Telecom che ha comprato pagandola 4,2 Euro a azione 5 anni fa e da allora le azioni Telecom valgono poco più di 2 euro. Nulla di strano che volessi rifarsi, magari facendo strapagare a Murdoch il fatto di essere l'unico in Italia con cui fare un accordo del genere.
Ma Murdoch non è un fesso e dall'incontro con Tronchetti viene fuori molto poco. Gli dà la possibilità di trasmettere i film del suo magazzino su "Alice home TV". Se si pensa ai numeri minimi di Fastweb, che oltre ai film fornisce anche canali televisivi, si capisce la pochezza della cosa. Oltretutto Sky non entra in Telecom che così si trova con 41 miliardi di debito, con l'aumento dei tassi d'interesse e con il rischio che Intesa-San Paolo gli chieda di rientrare di qualche miliardo.
Tornato in Italia, Tronchetti decide in un consiglio d'amministrazione l'11 settembre di dividere TIM e Telecom, con il chiaro proposito di vendere la prima al miglior offerente, di fare così i soldi necessari a ripianare i debiti e di mandare definitivamente in soffitta il possibile accordo con Murdoch.
Prodi, che intanto è partito per la Cina con tutto il suo seguito, apprende la cosa e, invece di non dire nulla in pubblico, chiamare Tronchetti e incazzarsi in privato (magari facendolo convocare dall'Autorità delle Telecomunicazioni per rompergli le scatole), va su tutte le furie e dichiara in conferenza stampa di non saperne nulla e di essere contrario.
Il giorno dopo insieme a queste dichiarazioni esce, sul Corriere della Sera e sul Sole 24 Ore, il piano per la ristrutturazione della Telecom inviato da Rovati a Tronchetti Provera.
A detta di Rovati il piano è stato inviato da Tronchetti ai giornali. Ma sembra troppo strano.
Se Tronchetti avesse voluto far pubblicare il piano lo avrebbe inviato a tutti i giornali, in particolare a quelli d'opposizione. Sarebbe stato uno stupido a mandarlo soltanto agli unici due giornali i cui direttori erano la settimana prima al matrimonio di Rovati.
Probabilmente il piano di ristrutturazione è stato inviato ai giornali da Rovati stesso, per far sapere, pubblicamente a Murdoch, che lui e Prodi, che si era incazzato in conferenza stampa per lo stesso motivo, si erano mossi per scongiurare il fallimento delle sue trattative con Telecom.
C'era anche un secondo obiettivo, che è stato raggiunto, ed era quello di mettere paura ai Benetton.
Pochi sanno, infatti, che l'azionista di maggioranza in Telecom non è Tronchetti Provera, che ne era il presidente e che ha il 2,3% del totale del capitale (tolti i debiti è meno dell'1%), ma la famiglia Benetton con il 4,46%.
La famiglia Benetton ha già un contenzioso aperto con il governo per la cessione della società Autostrade agli spagnoli della Albertis e non vuole altre rogne.
Detto fatto, Tronchetti si dimette il giorno dopo dalla presidenza Telecom ed al suo posto arriva Guido Rossi, ex parlamentare eletto come "indipendente" nelle file del PCI, boiardo di stato, vicino a Prodi.
A volte la storia è ironica. Guido Rossi cercò di opporsi alla scalata a Telecom di Colaninno e Gnutti. D'Alema, all'epoca Presidente del Consiglio, appoggiò invece i "capitani coraggiosi" e lo sconfitto Guido Rossi sentenziò: "A Palazzo Chigi c'è una merchant bank che non parla inglese". D'Alema gli tolse il saluto per sei anni. Pare che abbiano ricominciato a parlarsi ad inizio anno.
A questo punto Prodi e Rovati pensavano di aver chiuso la partita con Rovati che si addossava la colpa di aver inviato il piano di ristrutturazione all'insaputa di Prodi.
Il fatto è che, quando si raccontano le bugie, bisogna sforzarsi di renderle per lo meno verosimili. La bugia raccontata da Rovati per giustificare l'ignavia di Prodi era sublime per l'idiozia dimostrata: "Io e un mio amico abbiamo scritto un piano artigianale di ristrutturazione della Telecom, a cui sono interessato come utente, e l'abbiamo inviato a Tronchetti Provera su carta intestata della segreteria della presidenza del consiglio perché io non ho la mia carta intestata!"
Oltretutto nella conferenza stampa convocata per rimarcare la propria estraneità al piano di ristrutturazione di Telecom e nella furia di impedire a Tronchetti di portare avanti il suo progetto, Prodi faceva la figura del cialtrone rendendo pubbliche le notizie riservate che Tronchetti gli aveva dato, dal prezzo di vendita di Telecom Brasile, alle trattative con Murdoch, ai contatti con le altre società statunitensi.
Tutto questo avveniva nel rumoroso silenzio degli alleati di governo che si sentono esclusi dalla strategia portata avanti da Prodi.
Prodi, infatti, non avendo un partito, ha un unico modo per consolidare la propria posizione: deve diventare il perno di un centro di potere. Con la fusione Intesa-San Paolo è riuscito a crearsi un polo finanziario, gestito da Bazoli, suo amico dai tempi di Andreatta, e ben visto dal Vaticano, dove è in corso lo smantellamento della rete finanziaria creata dall'Opus Dei, e dove si cerca un alleato fidato nella finanza bianca italiana.
Per Prodi il progetto Telecom fa parte del tentativo complementare di creare un polo industriale controllato da lui.
Il progetto di far acquisire la rete fissa Telecom dalla Cassa Depositi e Prestiti non è stato lanciato per primo da Rovati, ma da Massimo Tononi, assistente di Prodi all'IRI, poi a Goldman Sachs ed ora sottosegretario all'Economia. A luglio scorso, poco dopo il primo incontro tra Tronchetti e Prodi, lanciò la proposta a diversi operatori finanziari. La cosa, complice l'estate, non ebbe seguito, fino alla sua resurrezione ad opera di Rovati. Tra l'altro questa presenza di ex di Goldman Sachs in tutta l'operazione fa ritenere ai più che il progetto stesso sia stato elaborato dalla merchant bank statunitense.
Per tornare agli alleati, la loro mancata solidarietà era fin troppo prevedibile. I rutelliani della Margherita si trovavano sostituiti nel rapporto privilegiato con il Vaticano, scavalcati al centro ed esclusi dalle decisioni che contano. I DS erano ancora più incazzati, non erano riusciti a portare in porto l'affare Unipol - BNL ("Abbiamo una banca"), e invece Prodi, tomo tomo, cacchio cacchio, si era fatto la sua banca, senza che nessuno dicesse nulla. Ma si sentivano anche presi in giro: Prodi stesso li aveva criticati quando rivendicavano la scelta dell'Unipol per tutelare "l'italianità" di BNL e adesso Prodi si oppone alla vendita di TIM proprio per difenderne "l'italianità"?
Per sovrappiù, tra la decina di membri del governo presenti in Cina mancava l'unico che avrebbe dovuto esserci ufficialmente: Prodi si era dimenticato a Roma il ministro degli Esteri! Va bene che non sta scritto da nessuna parte che il ministro degli Esteri debba andare all'estero, così come non sta scritto da nessuna parte che il ministro alle Politiche Giovanili debba essere giovane (ed infatti la Melandri ha 45 anni), ma insomma, almeno avesse lasciato al povero D'Alema la passerella all'assemblea generale delle Nazioni Unite e invece Prodi, alla fine del viaggio in Cina si reca a New York a levare spazio al povero D'Alema anche in quell'occasione, è chiaro che baffino si sia risentito.
In più gli si sono messi contro anche Marini e Bertinotti, nella loro veste di presidenti dei due rami del parlamento, e Napolitano che voleva vederci chiaro.
Prodi, che voleva chiudere lì la faccenda è stato allora costretto a far dimettere Rovati ed al triplice passo indietro sulla sua presenza in Parlamento. Dal "Ma che siamo matti!?" a chi gli chiedeva se sarebbe intervenuto alle camere della vicenda, a "Vado solo in una camera!", alla sua audizione in Camera e Senato.
Dal punto di vista politico, questa vicenda Telecom si intreccerà inevitabilmente con il dibattito sulla Finanziaria: dal punto di vista industriale, tranne che per la cessione di Telecom Brasile, le vere scelte devono ancora essere fatte.
Staremo a vedere come si ridistribuiranno gli equilibri di potere in Italia. Temiamo che, alla fine, a farne le spese siano i lavoratori Telecom, al cui destino nessuno sembra interessato.