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Afghanistan: come in Vietnam. I soldati Usa bruciano villaggi e arrestano chi li critica

di Enrico Piovesana - 07/10/2006

Afghanistan, il volto dell’occupazione

Nell’est, ora sotto Isaf, le truppe Usa bruciano villaggi, uccidono il bestiame e reprimono il dissenso

Un villaggio della provincia di KunarTut Naw è un piccolo villaggio di contadini e allevatori abbarbicato sulle impervie montagne di Kunar, a nord di Jalalabad. Lunedì 2 ottobre, i marines statunitensi impegnati nell’operazione “Furia di Montagna” lo hanno circondato e hanno condotto un rastrellamento casa per casa alla ricerca di presunti talebani che vi si nascondevano. Ma non hanno trovato nulla, nemmeno armi. I soldati hanno appiccato il fuoco a sei case, ucciso a colpi d’arma da fuoco una decina di mucche e poi se ne sono andati via portando con loro tre ragazzi del villaggio.
L’episodio è stato riportato dal governatore della provincia, il quale ha promesso alla popolazione di Tut Naw di chiedere ai comandi Usa spiegazioni e soprattutto risarcimenti per i danni provocati. Ma sarà difficile, dato che un portavoce della Coalizione, il tenente Marcelo Calero, ha subito detto di non sapere nulla di tali fatti.
 
Marine Usa nell'est dell'AfghanistanVietato criticare l’occupante. Nelle stesse ore a Jalalabad, nel palazzo del governatorato, era in corso una riunione dei capi tribali della regione per discutere del deterioramento delle condizioni di sicurezza nella zona. Zabit Zaher, rispettato anziano delle montagne di Khugyani – responsabile delle finanze per il suo distretto al tempo del governo mujaheddin di Rabbani e per questo successivamente imprigionato dai talebani –, ha preso la parola dichiarando che la colpa dell’insicurezza nella regione è delle forze d’occupazione Usa, e affermando che queste dovrebbero andarsene e lasciare il controllo della zona alle autorità locali, che poi penserebbero ad arrestare e consegnare loro “tutti i talebani che vogliono”. Alla fine della riunione, Zabit Zaher è stato arrestato dai marines. Lo ha denunciato suo nipote, Taher Omar.
 
Pattuglia Usa nella provincia di KunarNon basta metterci una toppa verde. Nelle regioni orientali dell’Afghanistan, come in tutto il resto del paese, le truppe Usa si sono rese responsabili di gratuite violenze e abusi contro la popolazione locale.
Dal 5 ottobre, questi stessi marines portano al braccio, oltre alla bandierina a stelle e strisce, lo stemma di stoffa verde della “missione di pace” Isaf a comando Nato: lo stesso stemma che sta sulle divise dei quasi 2 mila soldati italiani schierati nella vicina Kabul e ad Herat.
Difficile spiegare a un afgano le differenze tra un alpino italiano e un marine statunitense, dato che hanno la stessa divisa e un distintivo che non li distingue più. Ancor più difficile convincerlo del fatto che i soldati che pochi giorni fa hanno bruciato il suo villaggio, ucciso le sue bestie e portato via un suo parente, ora sono improvvisamente diventati soldati di pace, venuti per ricostruire il paese e garantire la sicurezza.