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Old economy: ovvero, la contabilità continua ad ignorare il capitale naturale

di Lucia Venturi - 10/10/2006

Economia ed ecologia lontani dall´indispensabile integrazione, anche nell´attribuzione dei premi Nobel
ROMA. L’Autunno è la stagione dei premi Nobel e per l’economia la scelta della giuria di Stoccolma è andata a Edmund S. Phelps, un economista americano della Columbia University, che viene collocato tra gli economisti classici e che lui stesso si definisce capostipite dei neo-Keynesiani. Una corrente di pensiero economico che rielabora i concetti di Keynes aggiungendo all’obbiettivo statico della piena occupazione anche quello dinamico della crescita economica.

Senza voler entrare nel merito della discussione sulle teorie economiche e sulle loro correnti e sfaccettature, potremo dire con una sintesi molto tranchant, che le teorie dei neoKeynesiani divennero corrente di pensiero dominante negli Stati Uniti dei primi anni 60. Teorie che guidarono l’allora presidente Kennedy verso la rinascita dell’economia americana, la cosiddetta new Economy, che ha determinato la supremazia degli Stati Uniti rispetto alla vecchia Europa, potremmo dire sino ad oggi.

Insomma la sintesi classica tra capitale e lavoro, con tutte le implicazioni di natura fiscale e monetaria, ma sempre giocata tra quei due fattori dominanti.

Certo rispetto agli anni ’60 il mondo è cambiato, paesi che facevano parte del cosiddetto terzo mondo sono adesso i paesi delle economie emergenti, si parla a più livelli del fenomeno Cindia, con tutte le implicazioni che questo potrà determinare non solo sugli aspetti economici globali, ma sul problema che questo comporterà sull’equilibrio del pianeta, ma l’economia con la E maiuscola, quella che ancora risulta meritevole di aggiudicarsi un premio Nobel, rimane sempre quella classica legata appunto al rapporto tra capitale e lavoro.

L´altro fattore, determinante quanto sistematicamente ignorato, è la terra, il capitale naturale.

Nonostante anche ieri, insieme alla notizia del Nobel per l’economia ad un accademico statunitense, proprio da uno studio accademico degli Stati Uniti, il Global footprint network, venga l’ennesimo richiamo ad un altro tipo di crescita ovvero quella del consumo del pianeta e della pressione sui sistemi naturali, divenuta sempre più insostenibile.

A partire dal 9 ottobre e fino alla fine dell´anno, secondo quello studio, il saldo tra le risorse naturali prodotte dalla terra e i consumi umani è destinato infatti a registrare una pericolosa passività in crescita costante. Secondo il Global footprint network, gli uomini sulla terra «hanno cominciato a mangiare il pianeta», ovvero ad utilizzare più della «quota energetica» che ogni anno la terra mette loro a disposizione.

«Gli uomini stanno vivendo al di là del loro credito ecologico e possono farlo solo utilizzando le scorte naturali del pianeta - ha dichiarato Mathis Wackernagel, direttore generale di Global footprint network e ideatore dello strumento "impronta ecologica" per la misurazione della sostenibilità ambientale.

E di questo aspetto non solo il sistema economico ma neanche l’economia intesa come "scienza" (molto tra virgolette) pare rendersene conto. Tanto che tra gli economisti che cercano di porre tra gli standard di riferimento oltre al capitale e al lavoro anche la risorsa primaria, ancora non solo non c’è un premio Nobel, ma quello che è peggio non c’è alcuno ascolto.