Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Hai 2 prodotti nel carrello Carrello
Home / Articoli / I frutti avvelenati della guerra preventiva

I frutti avvelenati della guerra preventiva

di Daniele Archibugi - 11/10/2006

 
Un arsenale di bombette L'esperimento nucleare sotterraneo, figlio della «guerra al terrorismo»

E' arrivato, puntuale, l'esperimento nucleare sotterraneo nord-coreano. Molti avevano sperato che si trattasse di uno dei tanti bluff dell'amministrazione di Kim Jong II, ma le rilevazioni sismiche giapponesi e russe confermano quanto affermato con infinito compiacimento dal governo nord coreano. Sia chiaro, si tratta di un arsenale composto da una manciata di bombette poco prestanti, a prestar fede al ben informato spionaggio sud-coreano, e che forse difetta ancora dei missili a lunga gittata che possano renderle temibili anche per i vicini più prossimi. Ma la potenza atomica, come abbiamo appreso quando si installavano inutili euro-missili nel vecchio continente negli anni '80, non va misurata in kilotoni - ne basta uno solo a scatenare una catastrofe - bensì in termini politici. E il fatto politico è che Pyongyang è, dopo Stati uniti, Russia, Gran Bretagna, Cina, India, Pakistan e Israele, l'ottavo paese del mondo ad entrare nel club nucleare. Di tutti i 192 stati del mondo, uno dei meno raccomandabili.
Che cosa poteva, del resto, contrapporre il regime di Pyongyang a quello di Seul? La Corea del sud è ormai un affermato attore del capitalismo mondiale, mentre il nord è ridotto agli stenti. Basta osservare le speranze di vita al di sopra e al di sotto del 38° parallelo: più di 77 anni al Sud, meno di 64 al Nord. Essere sudditi della famiglia Kim costa oggi ben 13 anni di vita media! E non sarà una manciata di armi nucleari ad allungare la vita o a riempire la pancia.

Russia e Cina, che per anni si sono contese il protettorato nord-coreano, non meno di Giappone, Europa e, ovviamente, Stati uniti, sono uniti nel ritenere «oltraggiosa» la scelta di Pyongyang. Ma nessuna delle attuali potenze nucleari, non i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, non l'India, non il Pakistan, non Israele, sono disposti a fare promesse rispetto ai loro, e ben più consistenti arsenali atomici. L'unico accenno all'auto-moderazione arriva dall'Iran di Ahmadinejad, dove il Ministro degli esteri ha dichiarato, con un singolare miscuglio di coraggio e faccia tosta, che il suo paese vorrebbe un mondo senza armi nucleari...

Il programma nucleare nord-coreano è in cantiere da anni, forse da quando nel 1950, nel mezzo della guerra di Corea, il Generale Douglas MacArthur suggerì al Presidente Truman di sganciare qualche decina di bombe atomiche. Per fortuna, Truman licenziò il suo Generale e la sua irrealistica minaccia. Non sembra, tuttavia, che l'attuale inquilino della Casa bianca abbia fatto tesoro di quella lezione. Se il programma nucleare nord-coreano ha avuto una brusca accelerazione, lo dobbiamo anche alla dottrina della guerra preventiva che ha indotto alcune leadership a fare tutto quanto in loro potere per evitare di essere invasi e spodestati. Già nel gennaio 2002, Bush si riferì a tre «stati canaglia»: il primo, l'Iraq, ha subito una invasione. Gli altri, Iran e Corea del Nord, si sono riparati sotto l'ombrello nucleare.

Ma ci sono vantaggi concreti a entrare nel club nucleare? Può servire a ringalluzzire l'opinione pubblica, come in Iran. Ma anche a tentare di rientrare nel salotto buono della comunità internazionale, da una posizione di forza. E' una scommessa azzardata e che potrebbe portare a conseguenze imprevedibili. Ma Pyongyan e Tehran sanno che a rovesciare il tavolo ci rimettono di più i loro avversari. Chi riuscirà ad evitare che, sulla scia di questi due stati, non cominci una nuova e catastrofica strategia della proliferazione nucleare?

La realtà è che eventuali misure coercitive contro Kim Jong II sarebbero poco efficaci e non raggiungerebbero l'obiettivo. Oggi Washington e Londra chiedono l'intervento del Consiglio di sicurezza e degli altri organi delle Nazioni unite. Sono pronti a scaricare la patata bollente, con qualche mese di anticipo rispetto all'insediamento, al prossimo Segretario generale dell'Onu, l'attuale ministro degli esteri sud-coreano Ban Ki-Moon. Ma non potevano Bush e Blair accorgersi delle virtù taumaturgiche dell'Onu prima di scatenare una guerra in Iraq, senza neppure rendersi conto che non avevano i mezzi per tenere a bada le reazioni a catena - politiche, prima ancora che atomiche - provocate da loro stessi?