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L'apparenza e la guerra

di Massimo Fini - 02/11/2005

Fonte: www.gazzettino.it

Alla trasmissione Matrix Giuliano Ferrara ha dichiarato che Silvio Berlusconi rimarrà comunque un'icona nella storia politica italiana. Può essere. Ma ci si chiede se il compito e l'ufficio di un premier sia quello di diventare un'icona, a prescindere, o non piuttosto quello di cercare di amministrare nel modo migliore il proprio Paese, e se questa visione esteriore, o al limite estetica, della politica abbia un senso, dato che poi sotto queste apparenze urge la realtà della vita, e a volte anche della morte, dei cittadini, che sono cose un po' più serie del dandysmo. Pensavo a questo leggendo le dichiarazioni che l'onorevole Berlusconi ha rilasciato a La 7: «Io non volevo la guerra in Iraq e ho cercato di convincere Bush a non farla... Non sono mai stato convinto che la guerra fosse il sistema migliore per arrivare a rendere democratico un Paese... Io ritenevo che si sarebbe dovuto evitare un'azione militare».

Queste affermazioni sono gravi non perché, come ha detto Romano Prodi, significano che il presidente del Consiglio italiano «non conta nulla», visto il conto che Bush ha fatto delle sue indicazioni, ma perché un premier responsabile, se non è convinto di una cosa, non la fa. Tanto più se si tratta di una guerra che ha implicazioni giuridiche, etiche e pratiche enormi. La guerra legittima ciò che in tempo di pace è assolutamente vietato: l'assassinio. In guerra si può legittimamente uccidere ed essere altrettanto legittimamente uccisi (a meno che non si voglia negare al nemico anche il diritto di essere tale, per cui mi pare grottesca l'incriminazione per omicidio elevata dalla Procura di Roma nei confronti di quel guerrigliero che ha ucciso il militare italiano che gli volava sulla testa con un elicottero a mitra spianato). Dice: ma i soldati italiani morti nella guerra in Iraq sono pochi.

A parte il fatto che sono pochi solo perché, dopo Nassirya, ci siamo messi d'accordo col nemico, com'è nostra poco onorevole consuetudine - il generale Angioni in Libano "docet" - e abbiamo smesso di fatto di controllare il territorio garantendoci l'immunità, ma tradendo l'alleato angloamericano, una constatazione del genere ricorda troppo da vicino la cinica affermazione di Mussolini: «Ci basteranno poche migliaia di morti per sederci al tavolo della pace». A noi la guerra in Iraq ne è costata solo una ventina. Ma in cambio di una partita di elicotteri. Si è sempre molto disinvolti con la pelle degli altri. Ma almeno Mussolini, quella guerra la voleva, mentre Berlusconi non la voleva e però l'ha fatta. E i morti, per quanto pochi, ci sono stati per una guerra di cui il premier non era convinto e però ha fatto. E ci piacerebbe sapere che cosa pensano di queste dichiarazioni di Berlusconi i famigliari dei nostri soldati morti per una guerra che, secondo lo stesso premier, non si doveva fare. E che cosa ne pensano quelle più di duecentomila vittime irachene di una guerra che ha distrutto un Paese e ha innescato uno spaventoso conflitto civile.

Una guerra, illegittima sotto ogni punto di vista, che il capo del Governo italiano non voleva fare e però ha fatto, mentre i nostri servizi segreti fornivano sottomano agli americani dossier falsi, per dare una qualche plausibilità all'invasione e all'occupazione. Essere icona può andar bene, forse, per il teatrino della politica italiana dove si litiga molto per spartirsi il potere, ma per la popolazione, governi la destra o la sinistra, poco o nulla cambia. Ma quando c'è di mezzo la vita e la morte della gente essere icona è indecente. Bisogna essere premier.