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L'ossessione della salute perfetta

di Ivan Illich - 13/11/2006

Fonte: altraofficina

 

 

L'AUMENTO DELLE CURE CREA NUOVE PATOLOGIE - parte 1
L'ossessione della salute perfetta
Le Monde Diplomatique - Marzo 1999 - Ivan Illich
In un mondo impregnato dell'ideale strumentale della scienza, il sistema sanitario crea incessantemente nuovi bisogni terapeutici. E via via che l'offerta di sanità aumenta, la gente risponde adducendo più problemi, bisogni, malattie. Nei paesi sviluppati, dunque l'ossessione della salute perfetta è divenuta un fattore patogeno predominante. Ciascuno esige che il progresso ponga fine alle sofferenze del corpo, mantenga il più a lungo possibile la freschezza della gioventù e prolunghi la vita all'infinito. E' il rifiuto della vecchiaia, del dolore e della morte. Ma si dimentica che questo disgusto dell'arte di soffrire è la negazione stessa della condizione umana.
Se si considera la nostra medicina quella del mondo occidentale nell'ottica dello storico, si pensa inevitabilmente a Bologna, dove l'ars medendi et curandi si separò, in quanto disciplina, dalla teologia, dalla filosofia e dal diritto. Fu qui che in base a una scelta riferita a una piccola parte degli scritti di Galeno (1), il corpo della medicina ha stabilito la propria sovranità su un territorio distinto da quelli di Aristotele o di Cicerone. Ed è a Bologna che la disciplina che ha per tema il dolore, l'angoscia e la morte è stata reintegrata nell'ambito della saggezza, superando una frammentazione che non era mai stata operata nel mondo islamico, ove il titolo di Hakim designa a un tempo lo scienziato, il filosofo e il guaritore.
Nel conferire l'autonomia universitaria al sapere medico, e nell'istituire inoltre l'autocritica della sua prassi grazie alla creazione del protomedicato, Bologna ha posto le basi di un'impresa sociale eminentemente ambigua, un'istituzione che ha fatto progressivamente dimenticare i limiti entro i quali la sofferenza dovrebbe essere affrontata piuttosto che eliminata, e la morte dovrebbe essere accolta anziché respinta.
Certo, la tentazione di Prometeo (2) si è presentata fin dai primordi della medicina. Anche prima della fondazione dell'università di Bologna, nel 1119, i medici ebrei, nell'Africa del Nord, contestavano l'eclissarsi dei medici arabi nell'ora fatale. E ci è voluto del tempo perché questa regola scomparisse. Ancora nel 1911, data della grande riforma delle scuole di medicina americane, si insegnava come riconoscere la "facies ippocratica", i segni grazie ai quali il medico comprende di non trovarsi più davanti un paziente ma un morente. Questo realismo appartiene al passato. ma è ormai venuto il momento, a fronte dell'affollamento dei morti mancati grazie alle terapie, e della loro moderna disperazione, di rinunciare a voler guarire la vecchiaia. Servirebbe un'iniziativa per preparare il ritorno della medicina al realismo, e subordinare la tecnica all'arte di soffrire e di morire. Occorrerebbe suonare un campanello d'allarme, per far comprendere che l'arte di celebrare il presente è paralizzata da questa ricerca della salute perfetta.
Dal corpo fisico al corpo fiscale Per parlare di questa "salute" metaforica, occorre intanto accettare due punti. Storica non è soltanto la nozione di salute, ma anche quella di metafora. Il primo punto dovrebbe risultare evidente, il saggista Northrop Frye (3) mi ha fatto comprendere il secondo: la metafora ha una portata assai diversa tra i greci e i cristiani primitivi, per i quali evoca rispettivamente le dee Hygeia (4) e Hygia, e i cristiani medievali, invitati alla salvezza grazie a un solo creatore e salvatore crocefisso; ma è ancora diversa laddove crea il bisogno di terapie in un mondo impregnato dell'ideale strumentale della scienza. Nella misura in cui si accetta una siffatta storicità della metafora, è il caso di chiedersi se, in quest'ultimo scorcio del millennio, è ancora legittimo parlare di una metafora sociale.
Ed ecco la mia tesi: verso la metà del XX secolo, la nozione di una "ricerca della salute" implicava significati del tutto diversi che ai giorni nostri. Secondo la nozione che si afferma oggi, l'essere umano bisognoso di salute è considerato come un sottosistema della biosfera, un sistema immunitario che deve essere controllato, regolato, ottimalizzato, come "una vita".
Non è più questione di porre in luce ciò che costituisce l'esperienza "di essere vivente". Con la sua riduzione a "una vita", il soggetto cade in un vuoto che lo soffoca. Per parlare della salute nel 1999, bisogna comprendere la ricerca della salute come l'opposto di quella della salvezza; comprenderla come una liturgia societaria, al servizio di un idolo che spegne il soggetto… (Traduzione di P.M.)

note:
(1)
Medico greco (131-201), che esercitò soprattutto a Pergamo e a Roma. Attraverso la dissezione di animali, riuscì a compiere in campo anatomico importanti scoperte sul sistema nervoso e sul cuore. La sua influenza è stata considerevole fino al XVII secolo.
(2) Eroe dell'antichità, cui è stato attribuito il merito di aver insegnato agli esseri umani l'intero scibile alla base di una civiltà. Ha rapito il fuoco agli dei per portarlo agli uomini.
(3) Northrop Frye (1912- 1990), già professore all'università di Toronto e uno dei più influenti critici letterari di lingua inglese. Autore, tra l'altro, di: Anatomia della critica, (Einaudi, 1972); Il potere delle parole. Nuovi studi su Bibbia e letteratura (La Nuova Italia, 1994); La duplice visione.
Linguaggio e significato nelle religioni (Marsilio, 1993).
(4) Personificazione della salute, figlia di Asclepio, il dio greco della medicina.