Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / "Fratelli separati". Il fascista, il comunista, l’avventuriero (recensione)

"Fratelli separati". Il fascista, il comunista, l’avventuriero (recensione)

di Stenio Solinas - 15/11/2006

Con due edizioni

esaurite in pochi

mesi "Fratelli

separati" di Maurizio

Serra (Sette

colori, 323 pagine,

18 euro) è un

piccolo caso editoriale. Il tema (i rapporti

intellettuali, psicologici e politici

fra Louis Aragon, Pierre Drieu La

Rochelle, André Malraux), l’autore

(diplomatico di carriera nonché storico

della modernità novecentesca),

l’editore (la gloriosa sigla fondata da

Pino Grillo ormai un quarto di secolo

fa e ora portata avanti dal figlio

Manuel), se da un lato testimoniavano

una serietà d’intenti, dall’altro

prestavano il fianco ad alcune preoccupazioni,

come dire, di mercato.

Scrittori "impegnati" per eccellenza

del XX secolo, i tre autori

scelti da Serra rischiavano di

apparire del tutto "inattuali" agli

occhi di un lettore del XXI secolo;

il taglio scientifico scelto per

raccontarli (50 pagine di sole

note) era l’esatto contrario di

quella divulgazione storico-giornalistica

oggi di gran moda; la

limitata dimensione del suo editore,

un perfetto esempio di controtendenza

rispetto al gigantismo

pubblicistico che invade i

banconi delle librerie in modo

serrato quanto disordinato.

Il successo di "Fratelli separati"

dimostra, dunque, che la letteratura

coinvolta nella storia

non è ancora passata di moda,

ma, anzi, è semmai di straordinaria

attualità, che l’approfondimento

e l’onestà intellettuale

riescono comunque a ritagliarsi

uno spazio fra l’agiografia e la

partigianeria, che l’editoria elitaria

per scelta e/o necessità ha

ancora una sua logica e un

suo senso.

Seguito ideale dei tre grandi

affreschi che Serra aveva

cominciato a tracciare vent’anni

fa per le edizioni de Il

Mulino ("L’esteta armato",

"La ferita della modernità",

"Al di là della decadenza"),

"Fratelli separati" ne è un

po’ la summa e la naturale

conclusione. "Il fascista, il

comunista, l’avventuriero",

recita la fascetta editoriale

che fa da sottotitolo, perché

poi Drieu, Aragon e Malraux furono

sì singolarmente anche questo, ma

paradossalmente, a turno, ciascuno di

essi indossò i panni che sarebbero

stati dell’altro: il "nero" di Drieu non

fu sempre così convinto, il "rosso" di

Aragon non sempre così tinto, il

"rosso-nero" di Malraux non sempre

così distinto. Scrittori prolifici, intellettuali

impegnati, polemisti accesi,

nella Francia fra le due guerre ebbero

un peso e un ruolo di primissimo piano.

Il suicidio del primo mise fine a un

ventennale sodalizio a tre mondanoideologico

e lasciò gli altri due protagonisti,

soli e invecchiati, a recitare

sulla scena una parte che in fondo

non era la loro: padre nobile della

cultura comunista Aragon, ora patetico,

ora minaccioso, sempre opportunista;

ministro della Repubblica Malraux,

uomo d’ordine e non più

avventuriero, retore di un’idea e

soprattutto retore di se stesso.

È difficile nello spazio di un articolo

dar conto delle molteplici chiavi di

lettura e di interpretazione che "Fratelli

separati" offre: il modo migliore

è allora quello rapsodico di prendere

qui e là delle annotazioni e cercare

di approfondirle. Nota per esempio

Serra che, dei tre temperamenti,

Drieu fu il più sensuale, Aragon il

più sentimentale, Malraux il più virile.

È una considerazione psicologica

molto giusta che permette anche una

lettura più squisitamente ideologica.

Sul fascismo decadente di La

Rochelle è stato scritto molto, ma è

il pessimismo radicale dell’autore di

"La condition humaine" a disegnare

una più coerente tipologia dell’uomo

nuovo fascista. Senza il sentimento

della decadenza e la necessità di

opporvisi per Drieu non ci sarebbe il

fascismo, laddove per Malraux è

l’assurdità del vivere riscattata dall’azione

e dalla volontà di ritagliarsi un

destino che si traduce in teoria e in

prassi, una sorta di interventismo

rivoluzionario e non reazionario molto

più vicino al nucleo dell’idelogia

fascista di quanto non si voglia

comunemente intendere. È noto che

una delle migliori definizioni del

cosa sia un fascista è proprio di Malraux:

«Un uomo che è allo stesso

tempo pessimista e attivo è già o sarà

un fascista», fa dire a un personaggio

dell’"Espoir". Meno conosciuta è la

conclusione di quella affermazione:

«Se non è protetto alle spalle dalla

fedeltà». Ciò che impedì a Malraux

di abbracciare una logica perversa di

volontà di potenza, di superomismo

che non tiene conto dell’umanità, fu

proprio questa fedeltà, questo caricarsi

su di sé i più deboli, la difesa

degli oppressi e non l’orgoglio cieco

dell’oppressore.

Ma, anche qui, quanto del fascismo

delle origini è civiltà di popolo, abolizione

dei privilegi di casta e di sangue,

ricomposizione armonica di

diritti e di doveri?

Dei tre scrittori presi in esame, quello

verso cui Serra è più puntigliosamente

critico è proprio Malraux. Gli elementi

retorici e/o mistificatori del

suo carattere gli sono insopportabili,

il misto di realtà e finzione che fa

parte del suo essere lo infastidiscono,

il giudizio sulla seconda parte della

sua vita, quando l’artista cede il

posto al politico e al teorico dell’arte,

è giustamente negativo. A volte, tuttavia,

in maniera eccessiva... Nel

riportare una sua affermazione, «L’anima

del Museo immaginario è la

metamorfosi degli dei, dei morti e

degli spiriti, in sculture, quando è

andato perduto il loro senso del

sacro», chiosa: «Decifri chi può...».

Ma Malraux vuole semplicemente

dire che il grande salto nella rappresentazione

dell’arte si ha quando ciò

che per l’uomo antico era una fonte

di fede, un attestato di immortalità

dell’anima, si trasforma nell’uomo

moderno in un fenomeno squisitamente

estetico. La scultura e la pittura

pittura

cessano di parlare un linguaggio

mitico e si trasformano in qualcosa di

diverso: nella lotta contro il tempo,

l’oblio, la Storia che tutto ingoia,

l’arte prende il posto di quello che in

passato era stata la preghiera, la rappresentazione

del sentimento religioso.

Potrà essere un’ipotesi discutibile,

ma non indecifrabile.

Nella figura dell’esteta armato, Malraux

fu in fondo l’unico dei tre nostri

autori a potersi veramente identificare.

Fra azione e contemplazione

Drieu non riuscì mai a decidersi, se

non nel gesto e nel modo estremo:

«Il suicidio è la risorsa degli uomini

la cui capacità di reagire è stata corrosa

dalla ruggine, la ruggine del

quotidiano. Sono nati nell’azione, ma

hanno ritardato l’azione; allora l’azione

si ritorce su di loro come un

boomerang. Il suicidio è un atto,

l’atto di coloro che non hanno

saputo compierne altri». Quanto

ad Aragon, forse non si pose mai

veramente, seriamente, il problema...

Serra ha buon gioco nel sottolineare

gli elementi mitici,

mitomani o semplicemente inventati

di questo Malraux esteta

armato: mise su una squadriglia

aerea durante la guerra di Spagna,

ma non sapeva nemmeno pilotare

e la sua partecipazione al conflitto

si esaurì nell’arco di pochi mesi;

partecipò solo tardivamente alla

resistenza contro i tedeschi...

Eppure, il fatto che un intellettuale

a disagio con la manualità

(Malraux non aveva neppure la

patente di guida...) riesca a radunare

intorno a sé aerei, piloti e

mitraglieri, a esserne il capo, a

volare con loro, a mantenere con

quel gruppo un rapporto di fedeltà,

basterebbe a rendere l’eccezionalità

della vicenda, e l’essere

stato poco al fronte vale

quanto l’essersi prodigato,

con libri, comizi, raccolte di

fondi, film, perché quel fronte

reggesse... Quanto alla

resistenza antitedesca, Malraux

fu in questo molto più

serio di gran parte dei suoi

colleghi di scrittura. «Non

giochiamo ai boyscouts» disse

a chi, a Francia sconfitta,

gli chiedeva cosa fare. Bisognava

aspettare l’entrata in

guerra degli Stati Uniti e nell’attesa

non collaborare, non

scrivere, non pubblicare.

È interessante notare come in "Fuoco

fatuo", il film che Louis Malle

trasse dall’omonimo romanzo di

Drieu, ambientandolo però nella

Francia degli anni Sessanta, la frase

sui boyscouts venga dal regista messa

in bocca proprio ad Alain, l’alter

ego di Drieu, a proposito dei suo ex

commilitoni che sognano ancora

un’Algeria francese...

Costruito su un’impressionante mole

documentaria, cui si unisce una

finezza interpretativa, una assoluta

padronanza storica e una scrittura

sorvegliata, ma mai pedante, partecipe,

ma mai lirica, "Fratelli separati"

è la più compiuta analisi sul piano

storico, politico e ideologico di tre

scrittori che incarnarono al meglio il

rapporto fra la letteratura e il loro

tempo. Proprio perché nessuno dei

tre si concepiva come letterato

"puro", questo saggio li recupera per

quello che essi realmente furono, in

controtendenza rispetto alla vulgata

critica che tende sempre più a monumentalizzarne

l’opera, ma a dimenticarne

le idee e i comportamenti.

«Esiste ancora letteratura senza

coinvolgimento nella storia? Nel

prendere congedo dai fratelli separati

e dal loro fallimento aulico,

dobbiamo porci un’ultima volta questo

interrogativo. Giuste o sbagliate

che fossero le conseguenze che ne

hanno tratto, essi rivendicarono una

"certa idea" dell’intellettuale che

non aveva separato la grande letteratura

dalla storia. Rimpianga chi

vuole».