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Patologie del sistema bancario

di Fulvia Novellino - 25/11/2006



Ogni giorno, in un’aula di tribunale o in Parlamento vengono violati i diritti sanciti dalla Costituzione in nome del bene del Paese o della prassi burocratica, in nome delle direttive della Commissione Europea, redatte da comitati consulenza che non appartengono ad una struttura vera e propria. I politici non emanano le leggi che rispecchiano le esigenze e i problemi esistenti mentre i giudici non applicano più la Costituzione, ma la prassi amministrativa e giuridica, al punto che una norma incostituzionale continua a rimanere in vigore in virtù di un sistema artificioso. Basti pensare a ciò che è accaduto con l’Irap, un tributo palesemente anticostituzionale ma ormai entrato nella prassi e nel sistema fiscale, dopo l’intervento della Corte di Giustizia Europea che lo ha ritenuto legittimo e non in contrasto con le norme europee vigenti.
Le imprese sono quotidianamente costrette a lavorare in un sistema burocratico e bancario a loro sicuramente ostile, perché in Italia esiste di un sistema di norme codicistiche di prassi giudiziaria favorevole alle Banche. Così un credito insoluto delle Banche verso i propri clienti giustifica un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo sulla base dei documenti bancari, anche in assenza di prove di un pericolo nel ritardo del pagamento. Il rischio di insolvenza diventa immediato col semplice ritardo del pagamento, la Banca in forza del decreto del tribunale, prima di inviare una notifica al proprio cliente, iscrive un’ipoteca giudiziale sui beni immobili del cliente e notifica l’insolvenza alla Centrale Rischi Interbancaria della Banca d’Italia. Tutto questo senza accertare se il cliente sia veramente insolvente.
Il risultato è che la Banca salvaguarda immediatamente la sua posizione di creditrice, mentre l’impresa subisce un danno che va al di là del danno materiale, diventa un danno biologico perché si traduce in “mancanza di opportunità”. Se la gestione finanziaria viene in qualche modo danneggiata, il mancato investimento di quelle stesse risorse nell’attività di impresa implicano minori utili futuri, oltre che maggiori costi. Al termine della causa, anche nell’ipotesi in cui sia concesso un risarcimento, questo non sarà mai tale da ripagare in sacrificio vero sopportato dall’imprenditore.
L’esperienza dell’anatocismo è un esempio di come una patologia del sistema bancario può segnare l’economia di un Paese. L’anatocismo bancario è quel meccanismo perverso in base al quale le banche calcolavano ogni trimestre gli interessi sugli interessi passivi già maturati , in una spirale debiti- interessi che non conosceva fine: a fine anno il monte debiti si ricapitalizzava con degli interessi usurai sino al 30%.
Grazie a questo sistema criminale 300.000 piccoli imprenditori sono falliti, sono stati umiliati, truffati, uccisi, sono caduti nelle mani del racket , rovinando così intere generazioni di futuri imprenditori, e dunque lo sviluppo dell’imprenditoria familiare. Hanno provocato un danno biologico, sociale ed economico al paese pari ad un vero e proprio genocidio.
Questa prassi, illegittima e criminosa, è stata giudicata un vero e proprio reato solo negli ultimi anni, e le prime sentenze risalgono al 1993 presso il Tribunale di Vercelli, sino a quella della Cassazione del 16 marzo del 1999. Le sentenze avrebbero tuttavia minato l’intero sistema bancario nelle proprie fondamenta e per tale motivo per molto tempo sono state ignorate dalla politica, in quanto in molti casi, gli abnomi interessi passivi si sarebbero trasformati in un bel capitale da restituire, a cui occorre aggiungere il risarcimento per danni biologici e reali. Interviene a questo punto il decreto “salva banche” , D.Lgs. n.342 del 4 agosto 1999, che ha cercato di evitare gli effetti disastrosi e devastanti per gli istituti di credito, eliminando la possibilità di ricorrere in giudizio per i contratti precedenti e futuri l’emanazione della legge. L’allora governo D’Alema emanava un decreto che toglieva il diritto ad ogni cittadino di chiedere la restituzione degli interessi che gli erano stati addebitati dalle banche usuraie, diritto che gli era stato invece conferito dalle sentenze precedenti, stroncando così anche le azioni per i contratti futuri perché l’anatocismo diventava una clausola legittima. Insomma una legge criminosa ed infima almeno quanto il sistema che cercava di salvare.
Gli imprenditori hanno aspettato infatti 30 anni per avere una legge che certifichi l’illiceità dell’anatocismo, e forse ne dovranno aspettare altri 30 anni per riavere i propri soldi, e il risarcimento di per i danni subiti. Oggi si moltiplicano nei tribunali le cause di anatocismo che danno diritto a rimborsi che ammontano ai 2000 euro, a fronte di un danno reale pari ai 100.000 euro, e quel piccolo riconoscimento è tutto ciò che gli imprenditori possono avere perché dopo il fallimento hanno perso la loro posizione sociale e la loro forza contrattuale.
Questo fa senz’altro capire che non esiste più lo Stato né come Istituzione, né come diritto e neanche come società, perché oggi un imprenditore o la sua azienda può morire nel silenzio dei tribunali, 100 aziende possono morire nel giro di un’ora solo seguendo le istruzioni di un software, usurando sul tempo e sulle parole.
Le banche hanno squadre di avvocati, consulenti e una macchina burocratica, mentre le imprese si sentono inermi, disarmati perché sanno di lottare ad armi impari.
Oggi la piccola e media impresa rappresenta il nuovo mercato delle banche d’affari, perché ormai le grandi società sono fallite. Una guerra interbancaria, che ormai da anni si avvicenda a suon di fusioni, OPA e privatizzazioni, vuole essere mascherata da crociata per i consumatori. Il rapporto dell’Antitrust Ue, redatto su impulso del commissario europeo per la Concorrenza Neelie Kroes, ha bocciato le “carte di credito italiane” perché troppo costose per i consumatori e per le imprese dettaglianti. Questo tuttavia è il messaggio che vuole essere inviato per colpire l’immaginario delle associazioni dei consumatori, e perché no, placare gli animi date le recenti polemiche sollevate dinanzi all’Autority. Esemplare è la causa in corso condotta dalla catena di supermercati Poli per costringere Abi e Cogeban, ossia l’intero sistema bancario, a rivedere i meccanismi e le commissioni della rete della moneta elettronica, per tagliare i costi dei passaggi interbancari delle transazioni. In realtà lo scopo dell’inchiesta della Commissione Europea è ben altro, perché vengono soprattutto rilevate le differenze di prezzi tra i diversi paesi, i costi per i nuovi operatori, e gli accordi tra banche per limitare le offerte sul mercato. Per cui vengono censurate gli ostacoli potenziali per l’ingresso nel settore, le barriere di natura tecnica e le pratiche di certe banche che alzano i costi agli operatori esteri. Viene criminalizzato il fatto che le banche locali si associano per contrattare con le piccole imprese un’unica offerta. Allora, si vuole incentivare la concorrenza o eliminare gli ultimi ostacoli per entrare da protagonisti assoluti nel business delle finanziarie e delle carte di credito?