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Il federalismo in Iraq: una guerra... nella guerra

di Gilles Munier - 29/11/2006


« L’Iraq, come progetto politico, è finito ! … I partiti al potere applicheranno il Piano B», vale a dire la divisione del paese in tre regioni, ha dichiarato nel luglio 2005 all’agenzia Reuters un alto responsabile iracheno che ha voluto mantenere l’anonimato.

L’11 ottobre 2006, il « Parlamento » iracheno ha dunque approvato la legge syl federalismo. Secondo il quotidiano iracheno Azzaman che ha titolato « Un giorno nero per l’Iraq », solo 138 deputati su 275 hanno votato « sì »... Il voto è stato fatto per alzata di mano e nessuno ha potuto verificare se il quorum fosse stato raggiunto !

I parlamentari kurdi e quelli dello SCRII (Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in Iraq – filo-iraniano) hanno evidentemente votato « sì », ma essi non mettono insieme che 88 deputati. Hanno dunque dovuto intendersi con i comunisti del PCI (filo-americano), Iyad Allaui (ex « Primo ministro » e uomo della CIA) e Tanzim al-Iraq, una fazione del partito Al-Dawa – finora contraria al federalismo – che, nella circostanza, ha cambiato posizione.

Circa 175 deputati contrari allo smembramento a termine dell’Iraq, hanno boicottato il voto ; tra essi, quelli dei partiti cosiddetti sunniti, i sostenitori di Moqtada Sadr, i membri del partito sciita Al Fadila al Islamiya (Partito della Virtù islamica, forte a Bassora) e il deputato turcomanno. Ad essi si sono uniti alcuni eletti del partito di Iyad Allaui (Iraqi List), in disaccordo con il loro capo.


La divisione, uno dei principali obiettivi dei neoconservatori

Il 16 ottobre 2006 su Fox News, George Bush si è dichiarato contrario alla divisione dell’Iraq in tre regioni. « Sarebbe », ha detto, « un disordine ancora più grande ». Ma la Casa Bianca ha subito precisato che ciò non significa che essa sia contro la legge votata a Bagdad ! Chi ci capisce è bravo. L’ex segretario di Stato James Baker, che dirige l’Iraq Study Group, incaricato di proporre scenari di uscita dal pantano irakeno, non vuole pronunciare la parola « divisione ». Preferisce parlare di « messa in atto di un sistema regionalista ». Il mantenimento della sicurezza interna sarebbe assicurato dalle regioni, il che permetterebbe agli Americani un progressivo disimpegno militare. Il potere centrale si riserverebbe gli Affari esteri, la sorveglianza delle frontiere di Stato e la ripartizione dei proventi del petrolio. Ma, dal momento che nella costituzione non è chiaramente specificata la definizione di federalismo all’irachena, tutti si aspettano che le regioni si trasformino de facto in Stati, con un Primo ministro, un esercito (milizia riconvertita), un corpo regionale di guardie di frontiera, un servizio segreto e un ministro del Petrolio.

Bush e Baker non parlano né di autonomia né di indipendenza per non spaventare i loro alleati del Vicino e Medio Oriente, i cui paesi (Arabia, Pakistan, Turchia) sono suscettibili di essere smembrati (1). Sperano di dare l’impressione che l’introduzione del federalismo sia un’idea irachena, mentre il suo inserimento nella costituzione è una decisione presa nei think tanks neoconservatori americani e israeliani. Il voto dell’11 ottobre 2006 non è stato che la verniciatura democratica di una legge imposta dalla potenza occupante.

Il crollo annunciato del Partito Repubblicano alle prossime elezioni presidenziali non salverà l’Iraq dal pericolo separatista : l’influente senatore Joseph Biden ha già da ora presentato la divisione dell’Iraq come la sola opzione in grado di stabilizzare il paese. Egli inoltre ci terrebbe, sembra, che tale obiettivo sia inscritto nel programma del partito democratico.

Almeno sulla carta, rischiano di nascere al posto dell’Iraq tre o quattro nuovi Stati o Emirati : un Kurdistan, un « Sunni- stan », un o due « Scii-stan » e un « Distretto di Bagdad » che godrebbe di uno statuto ispirato a quello di Sarajevo.


L’instabilità nel Kurdistan

La carta del futuro Stato kurdo presentata dagli indipendentisti, comprendente Kirkuk, una parte di Mossul e larghe porzioni dell’Iraq fino ai dintorni di Bagdad – senza concertazione con gli Arabi e senza considerazione per le rivendicazioni turcomanne, assire, yezide – porta in sé in germi di molteplici sanguinosi conflitti (2).

Il progetto di annessione di Kirkuk non lascia indifferente la Turchia. Ultimamente, Abdullah Gül, ministro degli Esteri turco, ha consigliato a Jalal Talabani e a Massud Barzani di non sognarsi la creazione di un Kurdistan indipendente, soprattutto comprendente Kirkuk, facendo assegnamento su un sostegno degli Stati Uniti. Ha loro ricordato che, quando gli Americani avranno lasciato la regione, la Turchia sarà ancora lì (3).

Da parte loro, i nazionalisti iracheni – arabi e turcomanni – non lasceranno che i Kurdi s’impadroniscano delle risorse petrolifere del nord e del controllo delle riserve idriche del resto dell’Iraq.

Questo dovrebbe far riflettere Barzani e Talabani. E invece no ! Dal momento che la pulizia etnica non commuove gli Occidentali quando è praticata dai Kurdi, i Peshmerga fanno come se niente fosse. Espellono in tutta tranquillità gli Arabi e i Turcomanni dalle regioni di Kirkuk e di Tell Afar, rifiutando parallelamente agli Assiri di reinstallarsi nei villaggi situati lungo le frontiere siriana e turca – ai limiti di Dohuk e di Zakho – distrutti dall’esercito iracheno negli anni 80 per creare una « Zona di sicurezza » di una quindicina di chilometri.

Ultimamente, gli Assiri sono rimasti sorpresi nel sentire il Presidente Saddam Hussein apportare loro il suo sostegno. Secondo l’agenzia AINA, durante il processo Anfal, in risposta ad un « testimone », ha dichiarato che gli Assiri sono i discendenti di coloro che migliaia di anni prima avevano fatto l’Iraq, che essi fanno parte dell’autentica storia dell’Iraq. Egli ha poi chiesto perché non si conceda loro la libertà e la possibilità di essere quello che realmente sono (4).

Gli Assiri lamentano omicidi, rapimenti, stupri, estorsioni di fondi, minacce e pressioni che subiscono nella regione di Mossul della quale vuole impadronirsi il KRG (Governo autonomo kurdo). Massud Barzani vedrebbe bene gli Assiri servire da scudi umani nel prossimo conflitto arabo-kurdo. Per questo egli promette di concedere a chi vuole restare nella piana di Ninive una sorta di autonomia amministrativa in seno al futuro Stato kurdo. Agli altri non resta che andarsene…

Alcuni autonomisti assiri si fondano sul voto dell’11 ottobre per reclamare la costituzione di una « Regione d’Ashur ». Essi la vedono affiancata alla Siria, comprendente il Sinjar a maggioranza yezida, la turcomanna Tell Afa, una parte della piana di Ninive … e delle porzioni del Kurdistan : Sheikhan e Hamdaniya. Essi hanno un bel dire che l’Assiria è – con gli Sciiti, i Sunniti e i Kurdi ! – uno dei quattro pilastri senza i quali l’Iraq federale sarebbe uno Stato zoppo. George Bush non si è mostrato ostile in occasione del suo incontro in Georgia, nel maggio 2005, con Edgar Bitbunov, locale presidente del Congresso Internazionale Assiro (5).

Guerre per il petrolio o l’acqua non sono i soli pericoli che incombono sul futuro Stato kurdo (6). Negli anni a venire, i suoi dirigenti avranno anche molto a che fare con le loro minoranze e con le legittime rivendicazioni del loro popolo che non sopporterà per sempre la servitù e la corruzione. Massud Barzani e Jalal Talabani sono certo più avvantaggiati degli Sciiti filo-iraniani : hanno un quasi Stato con una bandiera, un governo regionale con Primo ministro e ministro del Petrolio, un servizio segreto, un esercito. È prevista la creazione di un’aviazione da battaglia, nonché l’acquisto di carri e di missili per tenere testa ad eventuali attacchi turchi, siriani o iraniani, anzi ad una guerra araba di riconquista. Rahim Zebari, professore all’Università della Virginia, chiede al KRG di stanziare urgentemente per almeno 5 anni il 15-20% del suo bilancio per la Difesa (7). Il Kurdistan, scrive, deve imitare Israele che – con i suoi 4 milioni di abitanti - ha tenuto testa al mondo arabo grazie al suo armamento. Egli teme che, se niente viene con rapidità, «Kirkuk non ritornerà mai kurda » (8).


Uno o due « Scii-stan » ?

Nel novembre 2003, Leslie Gelb, del Council on Foreign Relations (CFR), potente think tank americano, preconizzava sul New York Times, la creazione di tre Stati in Iraq. In particolare, egli proponeva agli Sciiti del centro del paese di emigrare in massa verso il sud sotto la protezione delle forze d’occupazione americane (9). Ma, chi dice Stato – o, provvisoriamente, regione – dice frontiere e qui gli Sciiti sono divisi.

Certi si battono per la creazione di due Stati sciiti federati : uno attorno a Bassora, l’altro attorno a Najaf. Questo progetto è sostenuto dal partito Fadila, dai capi tribù e dai seguaci di Moqtada Sadr, che si riservano l’Iqlim al-janub (la Regione del sud) comprendente i governatorati di Bassora, Dhi Qar e Maysan; vale a dire circa il 60% delle riserve petrolifere irachene e lo sbocco del paese sul Golfo.

Abdelaziz Al-Hakim, capo del Consiglio della Rivoluzione Islamica in Iraq (SCIIRI), non è d’accordo. Egli propone la creazione di un’unica regione che inglobi Najaf, Kerballa e Bassora : l’Iqlim al-wasat wa-al-janub (la Regione del centro e del sud) la cui delimitazione sarebbe basata non più su quelle dei governatorati esistenti, ma su quelle dell’epoca dell’impero ottomano. Va notato che se l’antica divisione amministrativa di Bassora a nord non oltrepassava Nassiriya sull’Eufrate e Amara sul Tigri, comprendeva l’attuale Kuwait e si estendeva fino a sud dell’oasi di Hufuf, oggi in Arabia Saudita…

Oltre al petrolio, dietro questi progetti curiosamente ritroviamo in filigrana le antiche divisioni che avevano opposto Kufa e Bassora fin dagli inizi della conquista islamica della Mesopotamia. Al-Hakim arriverà ad espellere dalla regione i sunniti di Zubair, dove sono sepolti i compagni del Profeta Maometto che si opposero all’Imam Alì al tempo della Battaglia del Cammello nel 656 ? (10)


Bagdad e il « Sunni-stan »

Quando gli Occidentali parlano di divisione dell’Iraq, si dimenticano sempre dei Sunniti. Essi non sanno come tagliare le regioni di Bagdad, Babel, Salah Eddine, Ninive, Diyala, Anbar.

Bagdad è la più grande città sunnita, ma anche la più grande città sciita o kurda. Nella prospettiva della creazione di un distretto autonomo, gli estremisti sciiti « ripuliscono » la parte est della città dai suoi Sunniti e dai suoi Cristiani. Nel quartiere di New Bagdad dove alcuni anni fa vivevano oltre 4000 famiglie cristiane, non ce ne sarebbero più di 350… Si dice che l’Esercito del Mahdi di Moqtada Sadr voglia dividere la capitale in due : ad ovest, Karkh con Al-Mansur lasciata ai Sanniti e, ad est, Rusafa con Sadr City e Al-Khademiya per gli Sciiti. Il Tigri fungerebbe da frontiera.

Ma come si regoleranno gli Americani per « raggruppare », a nord della regione di Babel e a sud di quella di Salah Eddine, i villaggi sunniti e sciiti che formano un autentico mantello di leopardo ? In quelle di Ninive e di Kirkuk come rispettare sia le legittime rivendicazioni degli Arabi sunniti e sciiti, che dei Turcomanni sunniti e sciiti, degli Assiri, degli Yezudi, dei Shabaki e dei Kurdi ? Le organizzazioni della resistenza islamica sunnita non sono rimaste ad aspettare. Ultimamente hanno creato uno « Stato islamico di Al-Qaïm » (11) comprendente Mossul, Kirkuk, Bagdad e Kerballa.

L’ipotetico «Sunni-stan » concesso dai neoconservatori americani sarebbe uno Stato-paria. Non avrebbe petrolio, ma comanderebbe il rifornimento idrico dello « Sciii-stan » e sarebbe sul passaggio di oleodotti e di strade verso il Golfo, la Siria e la Giordania. È ancora troppo. Gli Americani e gli Israeliani vogliono dare ai Kurdi il governatorato di Diyala – dove la resistenza islamica è forte - per consentire loro di avere una frontiera con lo « Scii-stan ». La presenza di truppe americane lungo gli oleodotti e l’autostrada Bagdad-Giordania o Siria, basterebbe – secondo loro – a dissuadere la resistenza dall’impedire la circolazione.


I giochi non sono ancora fatti

Margaret Beckett, segretario agli Esteri britannico, dopo il voto di ottobre ha ipocritamente dichiarato alla BBC che sta agli Iracheni decidere del loro futuro. « Essi ne hanno abbastanza », ha detto, « delle persone che vengono da fuori per tracciare frontiere » (12). Avrebbe potuto ricordare che i Britannici avevano disegnato la carta dell’Iraq, piazzato ovunque bombe etniche o religiose a scoppio ritardato e avrebbe potuto dire che essi si apprestano a ricominciare. In effetti, il federalismo introdotto nella costituzione irachena non è una rivendicazione irachena. La scellerata legge non è stata votata che da ex oppositori espatriati in Iran, negli Stati Uniti ed in Gran Bretagna, legati ai servizi segreti di quei paesi. I « boicottatori », qualunque sia la loro opinione, sono stati in maggior parte Iracheni che non hanno mai lasciato l’Iraq.

Per i neoconservatori che abbandonano la nave repubblicana, la divisione dell’Iraq è divenuta una porta di uscita onorevole. Ma i giochi non sono ancora fatti. La resistenza nazionalista fa dell’abbandono del federalismo una delle sue principali condizioni per negoziare la partenza delle truppe d’occupazione e numerosi sono gli Sciiti iracheni che rifiutano l’occupazione del loro paese da parte degli Iraniani e dei loro collaboratori (13). Il cattivo genio del federalismo è uscito dalla sua bottiglia… né gli Americani né gli Israeliani hanno la formula magica per farlo rientrare nel giorno in cui esso si ritorcerà contro di loro.


Note :
(1) Una carta del ristrutturato Vicino Oriente è stata pubblicata dal tenente colonnello Ralph Peters (cfr AFI-Flash n°65). Su questo argomento, vedi anche l’eccellente analisi di Pierre Hillard : « Le Pentagone redessine la carte du Moyen-Orient », comparso su Balkans Infos (settembre 2006)
Nel luglio 2003, l’Unione Popolare Kurda (UPK) di Jalal Talabani – oggi « Presidente della Repubblica » - ha riprodotto l’articolo di Peters sullo smantellamento dell’Iraq.
Si veda anche:
La nuova carta americana del Vicino Oriente di Charles Saint-Prot
(2) Le danger expansionniste kurde, di Gilles Munier

(3) Hürriyet ( 6/11/06)

(4) In Court, Saddam Criticizes Kurdish Treatment of Assyrians (20/11/06)

(5) Georgian Assyrian Leader Meets Bush, Calls for Autonomous State in Iraq


(6) Guerre de l’eau au pays des deux fleuves, di Gilles Munier


La poudrière de Kirkouk, di Gilles Munier



(7) Time to expand our military, di Rahim Zebari


(8) Kirkuk non è mai stata kurda ! Lo attestano, da secoli, tutti i racconti di viaggiatori orienti ed occidentali.


(9) The three-state solution, di Leslie Gelb, New York Times (25/11/03)


(10) Dopo l’assassinio del califfo Othman, la Battaglia detta del Cammello oppose, nei pressi di Bassora, i Qoreishiti de La Mecca, - sostenuti da Aisha, una delle mogli del Profeta Maometto – ad Alì, quarto califfo dell’Islam. Vi morirono due compagni del Profeta, Talha e Zubeir, che contestavano la nomina di Alì. Essi sono sepolti presso l’attuale Zubair, città oggi sunnita.


(11) Fondation d’un Etat musulman sunnite : La partition entérinée par une fraction de la résistance ou opération d’intoxication néo conservatrice ? (AFI-Flash n°65)


(12) BBC, 23/10/06


(13) Durante la guerra Iran-Iraq, lo SCRII con la sua Brigata Badr, fu in particolare incaricato degli interrogatori brutali dei prigionieri e della guardia dei campi. Gli Sciiti iracheni che non vollero tradire il loro paese vi subirono le peggiori torture.