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Sulle difficoltà incontrate dalle nuove fonti energetiche nel mercato dell’energia

di Domenico Coiante - 29/11/2006

     
 
   

La situazione al contorno

La recente ennesima crisi geopolitica internazionale possiede, in parte come quelle precedenti, la sua causa recondita nella pesante e vitale dipendenza dell’economia occidentale dal petrolio e nel fatto che la fornitura prevalente di questo combustibile proviene dalla instabile zona dei paesi mediorientali. La necessità strategica di garantire la sicurezza del rifornimento energetico a costi accettabili rende particolarmente reattivo il mondo occidentale nei riguardi di qualsiasi minaccia di interruzione del flusso di petrolio che alimenta la sua economia. Così, anche nell’attuale crisi, si stanno spendendo ingenti risorse economiche su questo fronte.

A prescindere dal fatto che le vite umane in gioco hanno un valore incalcolabile, tali enormi spese non vengono mai contabilizzate sul prezzo reale del barile di petrolio in quanto considerate strategiche in senso lato e quindi poste tranquillamente a carico della collettività, alla stessa stregua delle spese per la salute. Ignorate pertanto queste spese, il petrolio gode del privilegio ingiustificato di essere considerato come un qualsiasi prodotto commerciale scambiato su un mercato completamente libero, non assistito, mentre i prodotti energetici alternativi (in special modo le energie rinnovabili), per competere, devono fare ricorso a consistenti forme di incentivazione pubblica, tutte giustificabili con molta fatica mediante i benefici ambientali indotti. Stante la situazione degli alti costi di produzione dell’energia rinnovabile, il riconoscimento di un adeguato valore dei benefici ambientali diviene così elemento essenziale per l’ampliamento del mercato e la diffusione nell’uso delle fonti alternative.

D’altra parte l’aumento del volume di mercato è condizione indispensabile per quelle economie di scala che dovrebbero rendere i costi di produzione delle fonti rinnovabili competitivi con il petrolio anche a prescindere dalla contabilizzazione dei benefici ambientali. Sono pertanto comprensibili le resistenze offerte dalle lobbies petrolifere contro lo sviluppo a livello, sia nazionale che internazionale, di regole condivise e strumenti standard di calcolo di tutte quelle spese che sono esterne al puro e semplice ciclo di produzione industriale. Infatti, ciò inevitabilmente metterebbe in conto dei combustibili fossili, oltre ai danni ambientali sviluppati nella parte a valle del ciclo di vita, cioè nella fase del consumo e dei rifiuti, anche i rilevanti costi ambientali pagati a monte per l’estrazione, per il trasporto e per la sicurezza degli approvvigionamenti energetici. E’ evidente che solo il ricorso alla contabilizzazione di tali spese extra potrà correggere le attuali distorsioni del mercato energetico rendendolo realmente libero ed equamente concorrenziale.

La riprova dell’atteggiamento protezionistico vigente è oggi sotto gli occhi di tutti. Il presente dibattito politico internazionale è quasi completamente centrato sul terrorismo, con qualche timida eccezione sul fronte delle altre cause tra cui la sicurezza degli approvvigionamenti di petrolio. Gli osservatori più attenti si spingono a far notare che il tentativo di diversificazione delle zone geopolitiche di approvvigionamento con accordi di fornitura sempre più importanti con la Russia, pur contribuendo nell’immediato a mantenere stabili i prezzi, produrranno nel lungo termine soltanto uno spostamento della dipendenza, ma non la sua riduzione. Al di là di qualche timido cenno sulla necessità strategica e sulla possibilità concreta di ribaltare tale ricorrente situazione di crisi attraverso una consistente riduzione del grado stesso di dipendenza energetica del mondo occidentale dal petrolio, non seguono poi iniziative concrete di grande rilevanza. A parte le chiacchere analitiche e le buone intenzioni espresse ripetutamente nei vari Libri Bianchi, Verdi, ecc. della UE, non risulta che sia presente nei governi occidentali una reale volontà di disinnescare, una volta per tutte, l’arma del ricatto energetico. Si tratterebbe di intraprendere con fatti concreti e significativi il passaggio alla produzione ed al consumo di energia proveniente da fonti alternative al petrolio, prevalentemente rinnovabili per evidenti ragioni ambientali.

Genesi della presente situazione

E’ pur vero che misure di questo tipo, adottate sul lato della R&S a valle delle precedenti crisi petrolifere degli anni ’70 e ’80, hanno prodotto risultati soltanto parziali, non decisivi sul piano quantitativo riguardo alla sostituzione dei combustibili fossili. D’altra parte risultati più consistenti non avrebbero potuto essere conseguiti dal momento che le importanti iniziative prese per lo sviluppo delle fonti alternative, (tra le quali le più rilevanti erano contenute nel coraggioso programma decennale di ricerca USA del Department of Energy, varato dall’amministrazione del presidente Carter nel 1980 e annunciato nel discorso al Congresso nel 1979, in cui si poneva l’obiettivo di realizzare il 20% del bilancio energetico USA con energia solare), non sono state mai portate a compimento. Infatti, le spese governative che alimentavano il programma di R&S furono pesantemente tagliate nel 1985, in corso d’opera, dall’amministrazione del presidente Reagan con la motivazione che i bassi costi del petrolio e la sua abbondanza non giustificavano le spese per la ricerca nelle nuove tecnologie energetiche alternative. A questa decisione negativa si sono via via adeguati anche i programmi di R&S degli altri paesi occidentali, in particolare quelli italiani ed europei, giustificando i tagli con la teoria economica, affermatasi in quegli anni, che l’energia non doveva più essere considerata come un bene strategico, ma soltanto come un bene commerciale, acquistabile sul mercato come qualsiasi altro bene di consumo.

Sul piano qualitativo, tuttavia, la R&S sulle nuove fonti rinnovabili, nonostante il forte ridimensionamento subìto, ha prodotto nel ventennio passato notevoli risultati che sono principalmente esprimibili con la nascita ed il consolidamento di una nuova industria energetica basata sulle tecnologie delle nuove fonti rinnovabili. Oggi tale industria costituisce una realtà a livello nazionale e internazionale con l’offerta sul mercato di tecnologie e prodotti nel campo dell’energia eolica, di quella solare fotovoltaica, termica e termodinamica e delle biomasse, con impianti che si sono dimostrati altrettanto affidabili di quelli dell’industria energetica tradizionale. Purtroppo i costi di produzione sono ancora alti e stentano a diminuire per le difficoltà incontrate nel processo di apprendimento economico. E’ praticamente impossibile per le fonti rinnovabili realizzare economie di scala in un mercato energetico dominato dal petrolio e dai suoi privilegi. Tale situazione è destinata a protrarsi fintanto che la teoria economica dell’energia come bene commerciale di consumo resterà imperante e nonostante il fatto che tale concezione contraddittoria costi, in termini strategici, alla comunità i ricorrenti bagni di tensione dei mercati, le ingenti spese per le operazioni militari e il sacrificio di vite umane. Così, mentre è in corso la guerra per “debellare il terrorismo internazionale”, alla quale partecipa attivamente anche l’Italia con un “contingente militare di pace”, la recentissima legge di modifica costituzionale (n.3 del 18 ottobre 2001, G.U. n.248), in aperta contro tendenza con gli aspetti di importanza strategica dell’energia, ha tolto questa materia dall’elenco delle competenze statali, collocando “la produzione, il trasporto e la distribuzione dell’energia” nei compiti legislativi delle Regioni. Ciò è avvenuto anche in aperta contraddizione con le competenze ambientali, che invece restano di competenza statale centrale. Forse che l’energia non ha più nemmeno le implicazioni ambientali?

Le esternalità

L’accorgimento di porre a carico della collettività le ingenti spese ordinarie (aiuti economici, sostegni diplomatici, accordi educativi e culturali verso i paesi petroliferi, ecc.) e quelle straordinarie (Desert Storm, Enduring Freedom, ecc) per garantire la sicurezza degli approvvigionamenti fa si che il petrolio venga considerato un bene commerciale. Di conseguenza le fonti endogene rinnovabili si devono confrontare su questo terreno senza poter rivendicare pubblicamente il loro valore strategico e quindi senza poter usufruire di un’adeguata attenzione sul fronte dell’impegno economico governativo per il loro sviluppo. Rimane a loro favore il valore ambientale, ma, come si è visto, il suo riconoscimento è attualmente argomento molto opinabile, non essendo collegato a regole di comportamento economico condivise da tutti. (Un piccolo aiuto è giunto con l’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto nel febbraio 2005, ma ancora esso non si è tradotto in atti concreti).

Collegate a questa situazione obiettivamente complicata si trovano tutte le iniziative inerenti al processo di riconoscimento dei danni ambientali causati in tutto il ciclo di vita dei prodotti energetici, dalla fase iniziale dell’estrazione dei combustibili a quella finale del consumo nei diversi settori di applicazione e della sistemazione dei rifiuti. L’incertezza delle conoscenze nel campo degli effetti prodotti sull’ambiente e sull’uomo è la principale causa di intralcio e di ritardo delle iniziative per la quantificazione economica dei danni. Quest’ultimo aspetto, si ricorda, è a sua volta essenziale per rendere le fonti rinnovabili concorrenziali oggi con quelle tradizionali, in modo da accelerare il loro processo di sviluppo e la loro penetrazione nell’uso. La conseguenza è che il settore delle rinnovabili non riesce ad attirare i grandi volumi di investimento che sarebbero necessari per alimentare il processo di apprendimento economico. In conclusione il percorso si chiude su sé stesso in una situazione di stallo, nella quale la dipendenza del mondo occidentale dal petrolio rimane pressoché inalterata, mentre si affacciano sul mercato le grandi esigenze energetiche dei paesi emergenti, India e Cina in testa.

Quindi la situazione è cristallizzata in due aspetti volutamente tenuti separati:

• da un lato, abbiamo le esigenze della crisi ambientale globale e quelle delle ricorrenti crisi per la sicurezza degli approvvigionamenti energetici che potrebbero essere attenuate e risolte nel lungo periodo mediante un percorso di decisiva riduzione della dipendenza petrolifera;

• dall’altro lato, abbiamo l’offerta di un sistema energetico alternativo basato sulle nuove tecnologie delle fonti rinnovabili, la cui affidabilità tecnica sul campo è stata ampiamente dimostrata, tanto da realizzare una concreta opportunità di uso pianificato e massiccio, cosa che potrebbe permettere da subito di iniziare il processo di sostituzione del petrolio in alcuni usi (ad esempio nella produzione di elettricità e di calore) e in prospettiva in tutte le altre applicazioni.

Tenendo presente che la quantità di energia rinnovabile a disposizione potrebbe coprire ampiamente il fabbisogno energetico mondiale, sembrerebbe pertanto logico e ragionevole accoppiare i due argomenti in una linea d’azione concreta, che potesse portare il mondo occidentale fuori dall’attuale precaria situazione di incertezza sulla futura disponibilità di energia per le prossime generazioni. Purtroppo la ragionevolezza non basta a colmare il presente stato di fatto. La visione commerciale falso-liberistica prevale su qualunque altro argomento e i più alti costi di produzione, che rendono oggi l’energia rinnovabile non competitiva con il petrolio, impediscono un’adeguata diffusione delle nuove tecnologie grazie anche al mancato riconoscimento istituzionale dei loro pregi strategici ed ambientali.

In conclusione il minuzioso e faticoso processo bottom up di studio e quantificazione dei danni ambientali, in corso ormai da oltre venti anni, non ha ancora permesso di ottenere un accordo sulle definizioni e sulle modalità di calcolo nemmeno su base nazionale riguardo alle spese sociali da addebitare alle diverse forme e consumi di energia. Vista la presente situazione internazionale di stallo degli accordi ambientali, per la quale ad esempio gli USA e l’Australia si rifiutano di ratificare il Protocollo di Kyoto, tutto lascia presumere che ancora per molti anni non si potrà portare a compimento tale processo, che pure deve essere perfezionato. Le fonti rinnovabili continueranno a seguire la loro lenta curva di apprendimento senza poter approfittare dell’accelerazione che potrebbe essere impressa dall’attuale congiuntura strategico-ambientale. Un contributo per poter sbloccare la situazione potrebbe venire affiancando al processo bottom up in corso un nuovo processo di valutazione up down, che parta da una revisione critica della definizione del PIL nel senso di inserire nel suo computo gli effetti economici delle esternalità dovute alla produzione ed al consumo dell’energia. Se così si facesse, le distorsioni del mercato energetico in favore dei combustibili fossili verrebbero risanate e le fonti rinnovabili potrebbero competere su un piano di parità e forse non avrebbero più bisogno di elemosinare le incentivazioni pubbliche attuali.