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Afganistan: D'Alema e le illusioni pacifiste

di U.F. - 30/11/2006

 


Per un giorno, lo scorso 10 novembre, era circolata la voce che in qualche modo il ministro degli esteri, nonché vicepremier, Massimo D'Alema avesse cambiato opinione sull'intervento militare italiano in Afganistan, solo perché aveva parlato della necessità di rivedere e ripensare l'attuale missione, al fine di potenziare "gli aspetti politici, economici e umanitari, dato che sul piano meramente militare è difficile trovare una soluzione alla crisi in atto".
Il solo pensare ad un D'Alema in veste pacifista avrebbe dovuto far sorridere chiunque, ben ricordando il suo protagonismo bellicista in occasione dell'aggressione Nato in Kosovo nel 1999, eppure a sinistra la cosa ha alimentato facili illusioni e diversioni politiche, mentre a destra già si gridava al tradimento e al disfattismo.
In realtà D'Alema non aveva fatto altro che riaffermare una storica ovvietà, ossia che la politica è la continuazione della guerra con altri mezzi, rilanciando la proposta di un'improbabile Conferenza internazionale sull'Afganistan, già ventilata nello scorso luglio allo scopo preciso di acquietare gli animi di quanti nella maggioranza governativa di centrosinistra - assai pochi, a dire il vero - non volevano votare a favore della proroga e del rifinanziamento della missione italiana in Afganistan.
Attualmente tale intervento, dal costo di circa 320 milioni di euro all'anno, vede impegnati 2.388 militari italiani, dei quali 1.938 con la missione Isaf-Nato, dislocati a Kabul e ad Herat; 380 imbarcati nel Mar Arabico nell'ambito dell'operazione Enduring Freedom, sotto guida statunitense; e altri 70 su unità navali operanti nel Mediterraneo come parte della missione contro il terrorismo Active Endeavour.
Nel caso ci fossero stati dubbi a riguardo, nei giorni seguenti lo stesso ministro agli esteri, il capo del governo Prodi e altri ministri assortiti, hanno ribadito che nessuno aveva preso in considerazione l'ipotesi di ritirare le truppe, anzi.
Gli impegni sottoscritti, sul piano militare, dal governo italiano nell'ambito della Nato non sono infatti un'opinione.
A scanso di equivoci, in particolare, D'Alema ha precisato che serve "un grande impegno non solo militare e di lotta al terrorismo ma anche politico, economico e culturale"; mentre riguardo la Conferenza internazionale che qualcuno, frettolosamente, aveva definito "di pace" ha chiarito che sarebbe finalizzata ancora a "rilanciare l'azione internazionale, che tratti insieme i temi della lotta alla droga e della lotta al terrorismo, della ricostruzione, il rafforzamento della polizia e delle forze armate afgane".
Quindi niente di nuovo, sul fronte afgano: la guerra continua.
Negli ultimi mesi gli attacchi della guerriglia sono, per stessa ammissione dei comandi Nato e Usa, raddoppiati, da 300 a 600 al mese; così come sono raddoppiati i bombardamenti della coalizione occidentale, toccando le 50 incursioni quotidiane, con continue stragi tra la popolazione civile.
A dicembre, sarà interessante vedere come e con quali voti il governo di centrosinistra prolungherà ulteriormente l'intervento e l'occupazione militare in Afganistan; ma oltre che a tenere gli occhi aperti, l'opposizione alla guerra avrebbe tutte le ragioni per rimettersi in movimento.