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Il segreto del successo di Berlusconi

di Sergio Romano - 04/12/2006

 
 
Se il giudizio sulla grande manifestazione di Roma dipendesse esclusivamente dal programma e dai propositi contenuti nel discorso di Silvio Berlusconi, potremmo limitarci a constatare che nulla di quanto è stato detto a Piazza San Giovanni è particolarmente nuovo e convincente. L’uomo che assicura un futuro radioso è stato presidente del Consiglio e ha governato il Paese sino alla scorsa primavera. Il leader che promette sviluppo non è riuscito a impedire che il tasso di crescita del suo Paese, nei cinque anni del mandato, fosse estremamente modesto. Il leader che ha fatto della libertà il tema dominante del suo discorso non è riuscito a riformare gli ordini professionali, ad abolire il valore legale del titolo di studio e a ridurre ulteriormente la presenza dello Stato nell’economia. L’uomo che dichiara ai giovani di avere a cuore la loro sorte, non ha fatto nulla per impedire che essi debbano pagare con il loro lavoro, per molti anni, le troppe pensioni «di anzianità» della società italiana. Non tutto, naturalmente, può essere rimproverato a Berlusconi. La situazione economica europea era generalmente mediocre, la coalizione era eterogenea e il sistema politico italiano costringe il presidente del Consiglio a navigare con difficoltà tra compagni di viaggio rissosi che rimettono continuamente in discussione l’unità del governo. Molto di ciò che sta accadendo in questi mesi al governo di Romano Prodi era già accaduto al governo Berlusconi.
E la crescita dell’economia italiana nel corso del 2006 (stimata all’1,7%) non è probabilmente merito né dell’uno né dell’altro. Ma Berlusconi parla come se fosse un uomo nuovo. E’ questo l’aspetto più interessante del suo discorso di ieri. Un leader che non è riuscito a mantenere le promesse del 2001 e che ha impiegato una parte del suo tempo a risolvere in Parlamento i suoi problemi personali, può entusiasmare più di metà del Paese. Spero che il governo non si faccia illusioni. Deve riconoscere che la manifestazione romana è stata uno straordinario successo e deve chiedersene i motivi. La prima ragione è il pessimo spettacolo che la maggioranza ha dato di sé nei primi sei mesi del suo governo. Una maggioranza che litiga quotidianamente di fronte alla pubblica opinione e un governo in cui ministri e sottosegretari si comportano come se fossero all’opposizione, non sono credibili. Una Finanziaria che aumenta le entrate per risanare i conti dello Stato, ma non fa nulla per riformare il Paese, è destinata a scontentare anche quelli che avevano sperato nelle virtù dell’alternanza.
La seconda ragione è la massa di malumore e risentimento che gli italiani provano per la loro classe politica. Berlusconi dovrebbe essere, come qualsiasi altro uomo pubblico, l’oggetto di questo risentimento, ma è colui che, paradossalmente, ne trae vantaggio. Ottiene questo risultato con una retorica efficace e una straordinaria capacità di comunicazione. Forse soltanto Tony Blair, in Europa, riesce a stabilire un rapporto così intimo con il suo pubblico. Anche quando non convince con i suoi argomenti, Berlusconi è sempre un elegante, attraente «tribuno della plebe». Ma il vero segreto del suo successo è nella sua capacità di lusingare la folla, di sfruttare le sue paure e di alimentare i suoi pregiudizi. Non è senza significato che in tutto il suo discorso mancasse il benché minimo cenno all’Europa, alla globalizzazione e alla necessità di affrontarne le sfide. Peccato, perché sono queste le due realtà da cui dipende il futuro dell’Italia.