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Comunismo, nazismo liberalismo e totalitarismo. Le riflessioni di Alain de Benoist

di Massimo Virgilio - 07/12/2006

Fonte: vita.it




Nel suo saggio intitolato “Comunismo e nazismo” (Arianna Editrice, 104 pagine, 9,29 euro) Alain de Benoist prende lo spunto dalle polemiche suscitate in tutto il mondo dall’uscita del “Libro nero del comunismo” per porre ai suoi lettori una domanda inquietante. Se il comunismo ha provocato massacri superiori a quelli determinati dal nazismo come si spiega che l’anticomunismo è quasi del tutto assente, mentre l’antifascismo militante è sempre al centro del dibattito politico e culturale?
Per risolvere questo dilemma l’autore inizia la sua analisi sottolineando la necessità di distinguere e separare la memoria dalla storia. Esse infatti “rappresentano due forme antagoniste di rapporto con il passato”. La prima non è altro che una “modalità di rapporto affettivo col passato”. La seconda invece provvede a illuminare il passato attraverso rigorosi e imparziali studi scientifici.
Per il saggista francese non ci sono dubbi: comunismo e nazismo devono essere valutati con la lente della storia e non con quella della memoria. E per essere valutati devono essere necessariamente comparati: “l’unica maniera per capirli è prenderli assieme”. A questo punto de Benoist fa propria la discussa tesi del “nesso causale” fra comunismo e nazismo proposta dallo studioso Ernst Nolte. “Il nazismo appare infatti una reazione simmetrica al comunismo”. Esso dunque non sarebbe altro che un atimarxismo, un anticomunismo teso ad annientare il nemico assumendone le forme e i metodi, “a partire dai suoi mezzi terroristici”. Comparare non significa però assimilare: “dei regimi comparabili non sono necessariamente identici”.
Tornando alla domanda iniziale l’autore evidenzia il fatto che molti sostengono l’idea che il nazismo sia stato un regime ben peggiore di quello comunista in quanto il primo professava una dottrina di odio e di rifiuto del concetto stesso di umanità, mentre il secondo una dottrina di liberazione e di amore per l’umanità. Dunque i crimini comunisti non sarebbero stati altro che “una perversione del comunismo, che era in sé un ideale di liberazioneumana”.
Ai sostenitori di questa idea il saggista oppone una semplice considerazione: “fare male in nome del bene non è meglio che fare male in nome del male. Distruggere la libertà in nome della libertà non è meglio che distruggerla in nome della necessità di sopprimerla”.
Sia il comunismo che il nazismo hanno attirato la simpatia di larghe masse professando idee di felicità che si possono considerare false e quindi cattive. Idee di felicità, per di più, che per essere realizzate implicavano necessariamente l’annientamento di un gran numero di esseri umani. “Sia l’utopia della società senza classi che l’utopia della razza pura esigevano l’eliminazione degli individui che si ritenevano ostacolassero l’avvento di una società radicalmente migliore”.
Ma allora perché il nazismo suscita un astio che il comunismo non suscita? Per de Benoist la risposta risiede “nell’alleanza siglata nell’ultima guerra fra lo stalinismo e le democrazie occidentali, alleanza che ha costituito il fondamento dell’ordine internazionale scaturito dalla sconfitta tedesca del 1945”. Poiché la Russia sovietica e le democrazie occidentali hanno combattuto da alleate il comune nemico nazista quest’ultimo non può che essere peggiore di Stalin. Altrimenti come giustificare una simile alleanza?
Dunque l’URSS in quanto ad antifascismo non ha nulla da invidiare alle democrazie occidentali. L’antifascismo del Cremlino, però, serve ad occultare la realtà dei campi di concentramento russi: cancella “la specificità del regime sovietico ponendolo nello stesso campo delle democrazie occidentali; permette di identificare il comunismo con la difesa della democrazia”.
Sia il regime comunista che quello nazista, perciò, rientrano a buon diritto fra quelli che si possono definire regimi totalitari. In entrambi infatti si ritrova un’ideologia ufficiale che permeava l’intera vita sociale, un partito unico di massa, un efficientissimo apparato poliziesco, un controllo totale da parte dello stato dei mezzi d’informazione e di comunicazione, un monopolio dei mezzi di lotta e un’economia estremamente centralizzata. Comunismo e nazismo hanno tutti questi caratteri formali in comune. Ma non solo. La loro parentela è legata anche all’ispirazione e alle aspirazioni. “Questa ispirazione e queste aspirazioni non hanno tanto a che vedere con un’idea comune nel senso dottrinario del termine, quanto piuttosto con un atteggiamento mentale basato sulla fusione di una visione manichea e messianica, di natura religiosa, con un volontarismo estremo, legato a un’adesione senza riserve ai valori della modernità”.
“Il totalitarismo visto da Alain de Benoist - scrive il professore Marco Tarchi nella sua recensione a “Comunismo e Nazismo” apparsa sul numero 247 della rivista Diorama letterario - è una espressione radicale della modernità e dei suoi tratti negativi. E’ riduzione dell’uomo ad oggetto, atomizzazione, sradicamento e culto di un Progresso indefinito”. Il totalitarismo dunque non è altro che una religione secolare, portatrice di certezze assolute, che rende ogni idea differente un’idea falsa e mistificante. Da una parte c’è tutto il Bene, dall’altra tutto il Male. Se non si è fra gli amici, ci si colloca necessariamente fra i nemici.
Questi ultimi devono essere annientati. Infatti “il messianismo ha senso - afferma l’autore francese – solo se i buoni e i cattivi conoscono destini radicalmente opposti”. La soppressione del nemico, che per il comunismo s’identifica nell’ineguaglianza di classe e per il nazismo nella dominazione ebraica, è indispensabile per ottenere la salvezza della collettività eletta, “l’accesso a una vita futura realizzata non più nell’aldilà ma in un prossimo futuro. Il totalitarismo istituzionalizza così la guerra civile”.
Da tutto questo deriva una ulteriore spiegazione del fenomeno del miglior trattamento riservato dalle democrazie occidentali al comunismo rispetto al nazismo. Liberalismo e comunismo infatti sono parenti: scaturiscono entrambi dall’ideale illuminista e “si distinguono esclusivamente nella maniera di realizzarlo. In altri termini , le democrazie liberali non possono evitare di riconoscersi nelle aspirazioni egualitarie-universaliste del comunismo”.
Dunque, se le democrazie borghesi e il totalitarismo comunista hanno origini comuni nulla assicura che i regimi democratici liberali siano immuni per natura contro il totalitarismo. Gli uni e l’altro possono raggiungere gli stessi scopi, seppur con mezzi differenti. “ La caduta dei sistemi totalitari del XX secolo – osserva giustamente de Benoist – non allontana lo spettro del totalitarismo. Essa invita piuttosto a interrogarsi sulle forme nuove che potrebbe assumere in futuro”.
E come non riconoscere una nuova forma di totalitarismo nelle società liberali? “Come i totalitarismi di ieri anche esse tendono ad imporsi come il solo sistema universalmente possibile”. L’uomo continua ad essere ridotto alla condizione di oggetto; i cittadini sono trasformati in consumatori; l’economia ha preso il sopravvento sulla politica; la pubblicità ha sostituito la propaganda; “il conformismo assume la forma del pensiero unico”. Al pari dei tradizionali regimi totalitari le società liberali riducono l’uomo in servitù, ma lo fanno in una forma nuova, attraverso la persuasione e il condizionamento piuttosto che con la violenza brutale: “l’uomo si trova privato dolcemente, e persino con il proprio assenso, della sua umanità”.
Giusta a questo punto l’osservazione di Marco Tarchi (Diorama letterario N. 247, settembre 2001): “Chi vuole omologare le masse al proprio modo di pensare dispone oggi di strumenti per controllarne le menti ben più raffinati di quelli di cui hanno fatto uso i regimi totalitari del periodo fra le due guerre mondiali. Non andiamo in cerca di mali assoluti d’altri tempi, prendendo a bersaglio due esperienze storicamente concluse quali il fascismo e il comunismo. Mali relativi ma non meno sgradevoli ci stanno intorno, e meritano di essere combattuti: anche e soprattutto quando ci si presentano sotto la maschera del migliore dei mondi possibili”.
“Di tutte le forme di persuasione occulta – ha scritto Pierre Bourdieu – la più implacabile è quella che si esercita semplicemente attraverso l’ordine delle cose”.