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Sillogismi all'occidentale

di Daniele Scalea - 15/12/2006



Il primo ministro britannico Tony Blair (meglio noto in patria, per colpa d’un microfono aperto, come "il cameriere di Bush" o "Yo Blair") ha dichiarato: «La tolleranza è un elemento fondamentale del nostro paese, e chi vi si trasferisce deve accettarla». Il ragionamento non sembra fare una grinza. (Certo, qualcuno potrebbe paragonarlo al celebre motto: "In democrazia tutti sono liberi, eccetto coloro che sono antidemocratici" - enunciando il quale, i prodi apologeti del regime in vigore, non s’accorgono di dire qualcosa non diverso da: "In un regime fascista tutti sono liberi, eccetto coloro che sono antifascisti"). O almeno, non la fa se preso di per sé, ma se considerato nel suo contesto, sembra una presa in giro rivolta ai musulmani britannici e non solo. E lo stesso effetto fanno tutte le dichiarazioni, non solo in Inghilterra ma anche in paesi come l’Italia, per cui gli immigrati "debbono accettare le nostre leggi ed i nostri valori" se vogliono vivere qui, giacché noi "dobbiamo essere padroni a casa nostra". Tutto vero, ma è possibile che i diritti varino a seconda del soggetto cui sono riconosciuti? Ovverosia: come può l’Inghilterra, che ha bombardato gli Afghani perché togliessero il burqa alle loro donne, pretendere che i musulmani non s’intromettano nel loro modo di vivere? Non sono stati anche i Britannici a bombardare, invadere ed occupare l’Iraq, dove prima tutti i cittadini vivevano in pace ed uniti, per separare Curdi, Sunniti e Sciiti e metterli uno contro l’altro a combattersi? Allora la domanda è questa: perché se il signor Blair manda bombardieri e torturatori (pardon, "eroici soldati") in Afghanistan ed in Iraq per imporre a quei popoli uno stile di vita o delle istituzioni diverse da quelle che s’erano scelti, ciò è cosa buona e giusta; mentre se un afghano o un iracheno trasferitosi in Inghilterra volesse modificare i costumi e la politica di quel paese, allora sarebbe un "terrorista"? Gli occidentali hanno preteso che i Palestinesi indicessero elezioni a suffragio universale, ma poi, quando questi hanno eletto il governo che preferivano, quegli stessi occidentali si sono messi a sbraitare ed hanno interrotto qualsiasi aiuto economico o diplomatico all’ANP. Come a voler dire che non è sufficiente che i Palestinesi adottino il loro sistema politico: debbono pure eleggere non quelli che preferiscono, ma quelli che piacciono all’Occidente. Non è forse questa un’intollerabile ingerenza? Non è stata ingerenza abbattere il legittimo governo in Iraq per sprofondare il paese in una guerra civile? Evidentemente no. Ma è ingerenza, ad esempio, se un pakistano immigrato in Inghilterra vuole che sua moglie si metta l’hijab. E’ ingerenza se il musulmano disprezza lo stile di vita decadente degli occidentali e s’augura ch’esso possa cambiare o, quanto meno, non contaminare la sua famiglia. E’ ingerenza se il musulmano - e di stirpe italianissima - Roberto Piccardo si permette d’esprimere una sua opinione sulla politica estera italiana.
Evidentemente, bisogna concludere che non è intolleranza andare a far guerra ad un altro popolo per imporgli il proprio stile di vita e la nostra visione del mondo: non sia mai! Questa si chiama "esportazione della democrazia". Invece, è intollerante un musulmano in Italia che criticasse i costumi locali e decidesse di non farli propri!
Capiamo benissimo che la classe dirigente, in realtà, ha ben altri interessi e motivazioni dietro al suo agire, che non il togliere il burqa alle donne afghane. Ma noi volevamo concentrarci un attimo sul pensiero dell’uomo comune, sulla cosiddetta "opinione pubblica". La quale, in Inghilterra e soprattutto in Italia, pensa quel che abbiamo scritto sopra senza minimamente accorgersi di quanto sia contraddittorio ed assurdo. Soltanto un popolo malato d’idiozia (non congenita ma procurata) può non comprendere quanto sia ridicolo quel modo di pensare. Come se io andassi a casa di qualcuno, buttando giù la porta, rovesciando tavoli e mobili, frantumando le finestre e prendendo a ceffoni gli occupanti; ma poi, nel momento in cui quelle stesse persone ch’io ho preso a schiaffi devastandone il domicilio, si presentassero a casa mia, pretendessi da loro che indossino delle pattine, camminino piano, parlino a bassa voce e non tocchino nulla. E’ chiaro che se io isolo la seconda situazione - cioè quelli che vengono a casa mia e pretendo da loro un comportamento ultra-rispettoso - essa può apparire anche eccessiva ma certo legittima. Se però prendo in considerazione l’antefatto, cioè la mia azione vandalica a danno di quelle medesime persone, sembra estremamente iniquo e fuor di luogo la mia pretenziosità quando quelle ricambiano la visita. Credo che la metafora sia chiara: noi occidentali abbiamo saccheggiato la casa altrui e percosso costoro; ma quando questi ultimi si sono presentati alla nostra porta, li abbiamo accolti a patto che svolgessero i lavoro di casa, non toccassero nulla e non s’azzardassero ad aprire bocca. Chi, in tutta questa triste storia, è il buono e chi il cattivo? Chi è il "terrorista" che "odia senza motivo" l’altrui civiltà? La risposta mi sembra ovvia. Ma purtroppo di tutte le pecche che affliggono oggi l’Occidente, quella più grave è proprio l’assoluta mancanza d’autocritica, l’incredibile arroganza e tracotanza che mette continuamente in mostra.
I casi di simili ragionamenti o atteggiamenti iniqui, infatti, non sono pochi. Prendiamo il caso del nucleare iraniano. Tehran ha sottoscritto il Trattato di non-proliferazione nucleare, il quale le impedisce di sviluppare armi atomiche ma le consente di sfruttare l’energia nucleare. L’Iran ha deciso che è venuto il momento di costruire dei reattori nucleari. Qualcuno all’estero mugugna, dice che non si fida, che in verità il presidente Ahmadi Nejad vuole farsi un arsenale atomico a tempo di record per "cancellare Israele dalle carte geografiche". E va bene, dicono gl’Iraniani, vengano gl’ispettori dell’AIEA a controllare. Quelli vengono e non trovano nulla di strano, ma il loro capo, un arabo prezzolato da Washington, dice: "Però non è abbastanza". Ed ora siamo al punto che l’Occidente vuole impedire all’Iran d’esercitare un suo diritto sacrosanto, cioè sfruttare l’energia nucleare. E chi è che s’oppone a questa legittima pretesa? Gli USA, che hanno il più grande arsenale atomico al mondo, nonché solo paese ad aver utilizzato la bomba atomica (e per due volte) su esseri umani, per giunta civili. Israele, che non ha mai firmato il trattato di cui sopra, ed infatti ha segretamente sviluppato qualche centinaia di testate atomiche. La Francia, che una diecina d’anni fa distrusse l’atollo di Mururoa per provare una sua bomba. Da che pulpito giunge la predica! Come può sorprendere che gl’Iraniani s’incazzino e, per rappresaglia, attacchino e dileggino ciò che l’Occidente ha di più sacro? Che non è Dio, né la Patria, né la Giustizia, ma - ovviamente - è l’Olocausto. Tant’è vero che, in risposta alle odiose vignette danesi offensive contro Maometto e contro Allah, Tehran ha reagito con delle vignette dileggianti l’Olocausto, scandalizzando l’Occidente: perché se, invece, avesse attaccato il Dio dei cristiani o il Papa, nessuno qui se ne sarebbe preoccupato. Ma l’Olocausto, invece, è il "mito fondante" dell’Occidente contemporaneo, è per il neoliberalismo l’equivalente del sacrificio del Cristo in croce; ed è anche un dogma inviolabile ed indiscutibile. Infatti, potevamo leggere sul "Corriere della Ser(v)a" di venerdì 8 dicembre, prima pagina, un commento di Piero Ostellino su "La montatura di Teheran", cioè sulla conferenza internazionale che riunirà in Iran studiosi provenienti da moltissimi paesi per discutere sul tema dell’Olocausto. La cosa interessante è che a tale conferenza prenderanno parte tanto storici revisionisti quanto sostenitori della "teoria ufficiale". La verità è che il "cattivissimo" Mahmoud Ahmadi Nejad, il "nuovo Hitler", sta così dando un’incredibile lezione di buon metodo scientifico e buona storiografia agli occidentali: quando una ricostruzione o una teoria è contestata, non si mette in carcere chi la contesta (Ernst Zundel e David Irving), non lo si rimuove dall’insegnamento e priva di pensione (Robert Faurisson), non lo si processa (Roger Garaudy), non lo si ammazza (Maurice Bardeche), bensì si discute con lui, si confrontano le prove, si confutano le argomentazioni e, insomma, si dimostra razionalmente ed oggettivamente la correttezza delle proprie proposizioni e la scorrettezza delle altrui. Ma, anziché arrossire per la vergogna di fronte a cotanta dimostrazione di superiore cultura, Ostellino diviene viola dalla rabbia e dall’indignazione: si vorrebbe «accreditare l’ipotesi che abbiano eguale dignità» (cioè, letteralmente, diritto al rispetto e dunque al confronto, che il "Goebbels" di turno del neoliberalismo, Ostellino, nega decisamente a chi non la pensa come lui) le due tesi storiografiche, e perciò - cosa orribile! - «metterle a confronto». Il fatto che la Conferenza di Tehran voglia definire una tesi attraverso l’esame di fatti, anziché porre apoditticamente una tesi e forzare i fatti per farla risultare vera la rende, secondo l’esimio giornalista-propagandista, «una patacca». Se mi è consentita un’immagine un po’ neoclassicista, potrei figurarmi la reazione di tre povere sorelle, la Ragione, l’Oggettività e l’Imparzialità, che stanno sulla bocca di tutti, che da tutti sono lodate, ma che in realtà se ne stanno, tristi e vecchie e coperte da laceri stracci, disoccupate in una casupola fatiscente di qualche ghetto o banlieu occidentale. Semmai le tre sventurate avessero avuto un euro da buttare per acquistarsi il "Corriere della Sera", cosa avrebbero detto di fronte all’articolo d’Ostellino? Io me le immagino, livide di rabbia: «O maledetto figlio d’un Paolo Mieli, perché sei così fellone da prendertela con noi, vecchie abbandonate e prossime alla morte? Perché c’invochi solo per insozzare il nostro nome?». Già; non sarebbe molto più semplice, per gente siffatta come questi giornalisti, smetterla di richiamarsi a sproposito alla ragione ed all’oggettività e scrivere, piuttosto: "Noi siamo il Bene e perciò possiamo tutto; loro sono il Male e perciò non possono niente"? Tutti ne guadagnerebbero: Ostellino, Mieli, Allam, Nirenstein, Ferrara e compagnia, che sprecherebbero molto meno tempo a scrivere, giacché ogni loro articolo si ridurrebbe a quattro o cinque righe, giusto per descrivere sommariamente la situazione, ribadire il dogma e/o denunciare il sacrilegio ed infine lanciare l’anatema; il sottoscritto e quanti la pensano come me, ché il nostro fegato sarebbe assai più sano; e l’ambiente, perché i giornali si ridurrebbero a poche pagine e non sarebbe più necessario tagliare tanti alberi per produrre simile spazzatura.
Un altro esempio stuzzicante di "sragionamento" all’occidentale ce lo offre sempre la Conferenza di Tehran. Il suo scopo, infatti, non è certo quello di negare la persecuzione e sofferenza degli Ebrei europei negli anni ‘30 e ‘40 (che neppure il revisionista più prevenuto oserebbe mettere in dubbio), quanto discutere perché mai, se sono stati i Tedeschi a perseguitare gli Ebrei, ora debbono essere i Palestinesi a sacrificarsi per dare a questi ultimi una patria. Per Dio, anche un bambino delle elementari capirebbe che Ahmadi Nejad ha perfettamente ragione quando dice: "Voi crucchi avete massacrato gli Ebrei? Ora siete spiaciuti e contriti? E allora dategli un pezzo della vostra terra, non il paese d’un altro popolo che non c’entra nulla!". E’ come se la vittima d’un delitto - poniamo, l’omicidio dei suoi familiari - pretendesse d’essere rimborsato non dall’autore di tale delitto, bensì da una persona terza, un suo vicino che non c’entra assolutamente nulla con quanto successo. E che l’autore di quel delitto (la Germania) sostenga quest’assurdità giuridica, è comprensibile: cerca di scaricare sulle spalle altrui il peso della giusta punizione. Ma che tutto l’Occidente, che s’atteggia a giudice, sancisca che, sì, per il delitto della Germania contro gli Ebrei è giusto che Israele si rifaccia sulla Palestina, questo è semplicemente assurdo, inaccettabile, iniquo e criminale. E se in Occidente nessuno più in grado di ragionare, di denunciare i nostri crimini ed i nostri soprusi, ben vengano dieci, cento, mille Ahmadi Nejad a ricordarceli e rinfacciarceli!