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Suum cuique tribuere… bombardare!

di Carlo Corsale - 15/12/2006

     
    

Suum cuique tribuere. “Dare a ciascuno ciò che gli spetta” è il suggerimento di questo antico motto del diritto romano; testimonianza, resa ormai relitto, di un mondo capace di giudicare al di sopra dell’egoismo e del rancore.
Un mondo che sapeva giudicare con la convinzione di raggiungere l’armonia del gruppo prima ancora della soddisfazione individuale.
Che i vincitori dovessero giudicare i vinti è prassi ormai consolidata dai tempi di Norimberga; non ci si ferma più al campo di battaglia, perché la quaestio deve essere risolta anche e soprattutto dal punto di vista morale. A suo tempo si disse che bisognava fiaccare – con le bombe – la resistenza del popolo tedesco, successivamente si volle sancire l’inferiorità morale della Germania Nazionalsocialista con un processo che ne fiaccò non la resistenza fisica ma la tenuta morale. Il che a ben vedere ha un peso più rilevante; il suggello fu posto attraverso la convinzione che esistevano un Bene ed un Male assoluti e che era necessario schierarsi per l’assoluta distruzione dell’uno o dell’altro.
Non è questa la sede per dirimere un giudizio sull’ordine morale della storia (anche perché crediamo che non ne esista uno) né si vuole aprire la questione revisionista. Semplicemente i fatti recenti hanno gettato un po’ di luce su quanto accadde 60 anni fa, proprio perché anche oggi assistiamo ad un processo in seguito ad una guerra.
Con qualche pesante differenza.
Sorgerebbe all’occhio ben allenato un quesito molto semplice: Esiste oggi un vincitore, ed esiste un vinto?
Se parlassimo della finale dei Mondiali di calcio in effetti la risposta sarebbe facile; ma dal momento che l’oggetto della discussione è di portata più pesante (per chi non l’avesse capito, si parla del processo contro Saddam Hussein in seguito alla deportazione, alla tortura e all’uccisione di donne, uomini e bambini sciiti nel 1982, il cui capo di accusa è di crimini contro l’umanità ) la leggerezza la lasciamo volentieri per altre occasioni.
Come acutamente sostenuto da Danilo Zolo: “Qui (in Iraq) non è neanche giustizia dei vincitori, perché non è affatto sicuro che gli USA usciranno vincitori dall’Iraq”. Effettivamente ancora oggi sorge spontaneo il dubbio che esista un vincitore; soprattutto dal momento che la guerra iniziata nel 2003 dagli Stati Uniti non aveva lo scopo di combattere il paese irakeno, ma voleva combattere esclusivamente il regime dittatoriale di Saddam poiché – si disse – era assai probabile che il Raìs possedesse delle armi di distruzione di massa e che queste fossero pericolose per l’Occidente.
Cosa che appare abbastanza ovvia dal momento che quelle stesse armi gli furono consegnate da americani e francesi e, via Germania Est, dai sovietici nel 1985 per combattere i soldati iraniani [1].
Ma siccome anche in questo caso non ci vogliamo mettere a giudicare niente e nessuno lasciamo che sia il lettore a trarre le conclusioni.
Si diceva: può essere considerata una vittoria l’invasione, il bombardamento, l’uccisione di più di 100.000 civili di un paese che allo stato iniziale delle cose aveva la sola colpa di essere governato da un dittatore? Sembra grosso modo di trovarsi di fronte la situazione che precedette l’attacco all’Afghanistan: “Dobbiamo trovare Bin Laden e quindi distruggiamo un Paese intero, bombardandolo con missili da più di 10.000 metri d’altezza.” Mah.
Per evitare di sovrapporre gli argomenti e creare confusione smetteremo di fare degli esempi sulle ragioni che hanno portato gli USA ad intraprendere le recenti vicende belliche, non fosse altro perché lo spazio che abbiamo a disposizione è comunque limitato.
Non esistendo quindi un vincitore, perché è assodato che sul campo gli USA questa dannata guerra non l’hanno affatto vinta – a meno che non si voglia considerare terminato il conflitto con la cattura e l’arresto di Saddam Hussein (ma allora perché continua a morire della gente in Iraq? Soldati americani compresi…) – è giusto accettare come dichiara ancora Danilo Zolo: “Che il processo è stato voluto da Washington sulla base di uno statuto redatto da giuristi americani e manca di ogni legittimazione sulla base del diritto internazionale. E’ solo uno strumento per giustificare una guerra preventiva motivata con evidenti imposture”.
Ci chiediamo: è giusto?
Non spetta a noi il giudizio. Intanto però quella stessa corte ha pronunciato 3 condanne a morte, 1 ergastolo e diverse altre condanne nei confronti di Saddam Hussein e di alcuni fra i suoi più fidati collaboratori.
Ma quel che rimane sullo sfondo di questa vicenda è che ad oggi esiste un Bene assoluto che agendo in ragione della propria autosufficienza, calpesta qualunque ostacolo trovi sulla sua strada. Esiste un’altra via? Se esiste ci verrà dipinta come Il Male, se non dovesse esistere ci toccherà sognarla.
Ma di certo non ci andrà mai di assecondare chi agisce in nome e per conto di questo Bene.

NOTE
[1] Massimo Fini, Il ribelle, Marsilio Editore