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Dollaro ed euro, pericolosa connection svalutativa

di Joseph Halevi - 19/12/2006

 
Il dollaro si sta svalutando; le banche centrali della Cina e del Giappone lottano con notevole successo contro la rivalutazione delle loro monete rispetto a quella americana. Anche la Bce interviene sui mercati dei cambi, ma senza grandi risultati, bloccata com'è dalla sua politica di tassi di interesse al rialzo.
L'Europa della «zona euro» si prende direttamente in faccia sia il rallentamento della crescita reale Usa che la svalutazione del dollaro. Per mimetizzare la portata del fenomeno il commissario europeo agli affari monetari, Joaquin Almunia, va in giro dicendo che l'impatto non sarà significativo perchè gli Stati uniti assorbono una quota assai bassa delle esportazioni dei paesi europei, solo l'8% mentre oltre il 67% è interno alla stessa UE. La Commissione si rifugia nella pura bilancia commerciale e, per giunta, con una prospettiva unicamente bilaterale.

Le relazioni economiche Usa-Ue hanno un forte contenuto finanziario determinato da due aspetti. Il primo aspetto riguarda la natura delle posizioni in dollari delle società produttive e finanziarie europee. Le entità che hanno posizioni «corte» possono fuggire la svalutazione e perfino guadagnare - rispetto alla composizione di attività detenute - col futuro rialzo dell'euro. Le imprese europee che invece si trovano con posizioni in dollari a più lungo termine stanno subendo perdite.

Il secondo aspetto è più strutturale. Le esportazioni non sono il principale fattore della presenza europea sul mercato delle merci negli Usa. Le vendite delle filiali europee superano di circa sei volte il valore delle esportazioni europee verso gli Stati uniti. Una sistematica svalutazione del dollaro implica la compressione dei margini di profitto per tutte quelle imprese europee le cui filiali usano inputs prodotti in Europa ed esportati in America nell'ambito delle transazioni interne alle imprese. I margini si abbasserebbero - come accadde ai giapponesi nel decennio 1985-95 - perché le filiali non possono, per via della concorrenza negli Usa, trasferire l'aumento del costo unitario in dollari degli inputs importati dalla casa madre europea, il cui costo interno è in euro. A questo si aggiunge la caduta o stagnazione dei profitti per via del rallentamento dell'economia Usa. Nel caso le filiali non usino inputs importati dall'Europa, i loro conti verranno ridotti dal rallentamento della macroeconomia Usa e i loro valori in euro ridotti dalla svalutazione del dollaro.

Nei due casi i conti complessivi delle imprese europee con filiali negli Usa subiranno delle perdite. Tutto questo si ripercuote su una posta della bilancia dei pagamenti che non è quella delle merci e servizi, bensì riguarda la bilancia del reddito guadagnato all'estero attraverso gli investimenti esteri. Questa posta è molto importante quantitavamente. Il Giappone, ad esempio, ha un flusso in entrata di soldi imputati ai redditi da investimenti all'estero che è superiore alle esportazioni nette: nel 2005 l'attivo commerciale era di 56,8 miliardi di dollari, mentre gli introiti netti da investimenti esteri erano di 97,8 miliardi di dollari. Per lo stesso anno l'eurozona aveva un attivo di 138 miliardi di dollari nella bilancia di merci e servizi ed un deficit di 71,6 miliardi di dollari nella posta redditi da investimento. Il che significa che i soldi inviati all'estero da entità straniere che hanno effettuato investimenti in Europa è superiore ai soldi in entrata da parte di entità europee che hanno investito all'estero. E' ovvio che l'impatto della svalutazione del dollaro sui conti delle filiali europee ridurrà il flusso in entrata e ciò influenzerà negativamente la bilancia dei pagamenti dell'eurozona.

Infine c'è la dimensione multilaterale. Lo yen e lo yuan si rivalutano poco o nulla rispetto al dollaro e comunque, con tutte le reserve in mano alla banca centrale di Pechino e di Tokyo, questi due paesi possono congiuntamente mirare ad una rivalutazione molto inferiore all'euro. Ne consegue che la rivalutazione dell'euro rispetto alle due monete asiatiche, e rispetto allo yuan in particolare, accelererà tanto il flusso delle importazioni dalla Cina quanto il flusso degli investimenti europei e delle delocalizzazioni verso la Cina.

E' probabile che se continua la svalutazione del dollaro, e se le due monete asiatiche resistono meglio dell'euro, l'Europa diventerà prima di quanto si possa pensare un'area con un grande deficit netto crescente, principalmente a beneficio dell'export cinese.