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Somalia: il solito incubo a stelle e striscie

di Mazzetta - 02/01/2007

 
 

La situazione in Somalia è ormai chiara, ma purtroppo l’evidenza descrive ancora una volta il fallimento della politica statunitense e dei suoi occasionali alleati. L’offensiva etiope si è risolta in una facile vittoria, le Corti Islamiche hanno rinunciato a dare battaglia e dopo i cruenti scontri intorno a Baidoa l’esercito etiope controlla ora il paese, compresa la città di Kisimayo, segnalata come “roccaforte” degli islamici, che invece sono evaporati all’apparizione degli etiopi. Se le cose stessero come propagandato dal governo statunitense, quello etiope, i loro alleati somali e qualche commentatore troppo allineato a Washington, la Somalia saluterebbe oggi il 2007 finalmente liberata dai terribili talebani intravedendo la possibilità di risollevarsi dopo quindici anni senza un governo, vissuti nell’anarchia tribale e nella violenza. Purtroppo la situazione della Somalia è oggi molto peggiore di quanto non fosse una settimana fa, prima che l’Etiopia scatenasse la guerra di Natale che l’ha portata ad invadere l’indifeso vicino. Dalla menzogna non può nascere nulla di buono e che l’Etiopia sia stata costretta all’intervento perché era minacciata dall’UIC è una falsità mal costruita al punto da risultare controproducente.

La facile invasione dimostra oltre ogni ragionevole dubbio che l’Etiopia (potenza militare della regione) non aveva davvero nulla da temere da parte delle Corti, che potevano schierare solo qualche migliaio di combattenti armati alla buona.

Le guerre si fanno grazie alla propaganda, che è fatta anche di falsi clamorosi come questo. Il 27 di dicembre in un joint statement con la Lega Araba e l’IGAD (il gruppo di paesi vicini che da anni cerca di facilitare la formazione di un governo somalo), l’Unione Africana chiedeva con decisione il ritiro delle truppe etiopi dalla Somalia; il giorno successivo alcuni commentatori italiani hanno scritto che l’Unione Africana sostiene il diritto dell’Etiopia a difendersi dall’UIC. Peccato che nello stesso documento le tre istituzioni internazionali non parlino di mire espansionistiche dell’UIC e invitino piuttosto il Governo Federale Transitorio a riprendere i colloqui con la stessa UIC.

La situazione attuale della Somalia ha sollevato preoccupazione in tutta la comunità internazionale, la UE ha auspicato un ritorno al dialogo tra UIC e GFT, il Consiglio di Sicurezza si è riunito d’urgenza, ma il gran numero di paesi che premeva per una condanna dell’invasione è stato stoppato dal veto americano. Va detto che gli Stati Uniti sono sicuramente i maggiori responsabili dell’invasione, il premier etiope non ha certo agito di sua iniziativa, come dimostra la robusta collaborazione statunitense alle operazioni etiopi. Mentre infatti l’esercito di Adis Abeba conduceva le sue operazioni, navi americane provvedevano a controllare le coste somale e forze statunitensi si coordinavano con gli etiopi fornendo loro le informazioni necessarie per muoversi con successo.

Ora che il premier somalo Ali Ghedi è a Mogadiscio appare evidente quanto in realtà sia privo di qualsiasi potere reale. Non appena insediato ha dichiarato la legge marziale. Non solo i suoi amministrati non se ne sono dati conto, ma nemmeno si sono riusciti a trovare i “parlamentari” del suo governo per ratificare con il necessario voto il suo ordine. Gran parte di quelli che avevano votato il GFT sono irreperibili o nel frattempo sono passati all’UIC e anche il presidente del governo somalo Yusuf pare essersi eclissato in dissenso con Ghedi. Un risultato davvero desolante, qualche migliaio di morti, oltre 30.000 profughi in fuga per insediare il nulla a Mogadiscio

Intanto, nella capitale, per il secondo giorno si sono avute manifestazioni contro la presenza etiope, mentre si assiste al ritorno dei signori della guerra e al saccheggio dei deposti d’armi requisite dall’UIC durante il disarmo dei warlords che imperversavano in città. A proposito dei signori della guerra (armati da Washington e riuniti nella fallimentare “Alleanza contro il terrorismo” sconfitta dall’UIC qualche mese fa), c’è da segnalare il ritorno baldanzoso di parecchi di essi, pronti a riprendere armi e milizie e ritornare al lavoro usato con tanto di bellicose dichiarazioni alle agenzie stampa internazionali.

Non c’è molto da sperare per la Somalia, ora ha un governo-fantoccio sostenuto militarmente da un vicino che oltre ad essere uno storico avversario regionale della Somalia - e come tale inviso alla popolazione - è anche guidato da un governo dittatoriale emarginato dalla comunità internazionale.
Un’altra circostanza poco ricordata dai timorati di Dio preoccupati dai seguaci di Allah: la cristiana Etiopia è infatti per la comunità internazionale un paese dominato da una dittatura criminale (tanto da spingere la comunità internazionale a cessare gli aiuti umanitari dei quali avrebbe tanto bisogno), che ha incarcerato tutti i leader dell’opposizione e che spara sulla folla quando gli etiopi provano a protestare. Un regime che si è segnalato per la costruzione di lager nei quali ha rinchiuso decine di migliaia di studenti ed esponenti della società civile. Tutte cose che non turbano gli esportatori di democrazia del Dipartimento di Stato.

La lunga notte della Somalia non sembra destinata a finire, il governo Ghedi non ha altro sostegno che quello delle truppe etiopi, le quali minacciano di restare “tutto il tempo necessario”. Il premier ha invocato l’invio di truppe internazionali per sostituire quelle etiopi, ma non si vede all’orizzonte nessun paese che abbia voglia di finanziare una missione del genere e ancora meno se ne vedono disposti ad inviare truppe in Somalia. Allo stesso modo l’appello per un massiccio aiuto internazionale al paese andrà disertato, non si vede davvero chi potrebbe approntare un piano Marshall per un paese sotto occupazione militare straniera quando gli stessi aiuti sono negati all’occupante perché il suo governo è giudicato indegno di essere sostenuto. Esaurita la fase dell’invasione il paese tornerà ad essere ignorato da tutti e a consumare la sua tragedia nel solito silenzio interrotto.