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Val Susa, la rinverdita

di Maurizio Pagliassotti - 11/11/2005

Fonte: diario.it


Treno ad alta velocità. Al solo sentire queste parole in Val Susa gli animi si scaldano e i toni della discussione diventano violenti.
A centoventi giorni dalle Olimpiadi di Torino 2006 la gente di questa valle, strategica per i flussi commerciali dell’intera penisola, cova sentimenti che potrebbero non agevolare un pacifico, e soprattutto proficuo, svolgimento dei giochi. Percorrere la strada statale che collega Torino con i siti olimpici più importanti, Sestriere e Bardonecchia in primis, dà un’idea chiara del ginepraio sorto e sviluppatosi intorno alla vicenda alta velocità. «No Tav», «Benvenuti nella valle dell’amianto», «Sì Tav? No Olimpiadi!» sono solo alcuni, e tra i meno violenti, dei bellicosi proclami scritti su muri, cartelli, alberi e rocce che punteggiano la valle in maniera continua. La Val Susa in questo momento, con buona pace del turista olimpico in arrivo, è impresentabile.
Lo zoccolo duro della protesta antitreno è composto da circa diecimila persone, con una corposa componente di uomini e donne dai capelli grigi, distribuiti in maggioranza nella parte bassa e pianeggiante della valle, tra Rivoli e Susa. Sono trenta chilometri dove il treno correrebbe anche fuori galleria. Per definire questo territorio connotato da una forte antropizzazione, i più esagitati fanno richiamo a un famoso triangolo iracheno protagonista di una furiosa battaglia…
Alle elezioni provinciali del 2004 la lista «No Tav» – Rifondazione comunista e Verdi – non andò oltre le 15 mila preferenze nei due collegi provinciali valsusini. Un risultato giudicato modesto, al tempo. Analizzando il voto in seguito ci si accorse però che i 4.497 voti ottenuti in Val Susa dai due leader della protesta, Perino e Cancelli, erano in grado di condizionare qualsiasi consultazione politica nel collegio 18.
Le elezioni regionali del 2005 hanno visto il trionfo dell’ex presidente della Provincia di Torino, Mercedes Bresso, diessina sostenitrice della Tav. La parola d’ordine tra gli elettori valsusini di centro sinistra era «mandare a casa la destra» di Enzo Ghigo, governatore del Piemonte da ben dieci anni, anch’esso pro Tav. Ma l’amore, tiepido, tra la Val Susa e la nuova giunta di centrosinistra è durato pochissimo. La presidente Bresso appena si è insediata in Regione ha detto subito che la Tav è una priorità irrinunciabile, diventando così il nemico numero uno dei valligiani. E con essa l’intera giunta di centrosinistra, compresi i consiglieri che negli anni passati erano scesi sulle barricate antitreno, ma che nel nuovo corso hanno dovuto adeguarsi a ordini molto diversi. Giovedì 6 ottobre mille persone aspettavano l’arrivo dei reparti antisommossa dei carabinieri che dovevano sgomberare i prati di Venaus, occupati dai «rivoltosi» per impedire l’accesso alle ruspe. Presenti sindaci e presidenti delle comunità montane con fasce tricolori, vecchi, giovani, carrozzine, decisi a fare resistenza passiva. Ma i carabinieri hanno ricevuto l’ordine di fermarsi. Situazione troppo esplosiva. A 120 giorni dai giochi olimpici le immagini di vecchi caricati dai cc non sarebbero state una buona pubblicità.

Il cavallo di Troia. Prima di raggiungere questo apice di tensione altre vicende più o meno gravi hanno fatto crescere la protesta. Da qui il progetto di legare la scelta antitreno alle prossime elezioni politiche: far vincere in valle chiunque si opponga sia alla Tav che ai carotaggi, considerati come il cavallo di Troia per iniziare l’opera. Progetto che si è rafforzato ulteriormente quando il centrosinistra ha deciso di indire le elezioni primarie per il candidato premier. È voce diffusa nel popolo no Tav che, data l’attuale situazione, il pacchetto di voti di due anni fa ottenuto dai duri e puri (4.497) sarebbe raddoppiato. Ipotesi credibile in virtù della notevole prova di forza data nel mese di giugno: una marcia di protesta composta da 35 mila persone.
Tutto ha taciuto per lungo tempo, nessuno dei candidati alle primarie ha chiesto la bandiera anti Tav, e la prospettiva di un’astensione massiccia da parte dei valligiani si faceva sempre più consistente.
Poi, il 29 settembre, il coup de théatre. Il presidente dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio sale alla Sacra di San Michele accompagnato dallo stato maggiore nazionale e locale del suo partito. Lassù accende un cero alla Madonna e le chiede protezione per la Val Susa. Non basta. Scende a valle e raggiunge il presidio di Bruzolo dove proclama la sua contrarietà allaTav, ai sondaggi geognostici e alla commissione tecnica da lui vista come un contentino per chiudere la bocca ai valsusini. Applausi, urla di gioia, ovazioni. Parole nettissime, un no netto su tutta la linea. In quel momento il popolo no Tav ottiene quello che cerca: un rappresentante per quello scomodissimo pacchetto di voti. E per il presidente dei Verdi è un colpaccio politico, una mossa coraggiosa e astuta che ha due vantaggi: impossessarsi di un’intera zona elettorale controllata dal movimento no Tav, di cui è diventato il nuovo capo popolo, e mettere in difficoltà Rifondazione comunista, ambigua oppositrice della Tav. La quale il giorno dopo corre ai ripari mandando Agnoletto, ma con scarso successo.
La gente si esalta. Nascono immediatamente i comitati pro Pecoraro Scanio e il suo manifesto elettorale è l’unico che appare in Val Susa. Ce ne sono ovunque. Accanto a quelli ufficiali arrivano le fotocopie fatte in casa con la sua faccia e le sue frasi anti Tav virgolettate. Tutti i comitati valsusini che si oppongono all’opera ferroviaria convergono sul voto al leader ambientalista. I suoi nuovi fan non sono dei Verdi, storicamente assenti da queste parti. Il suo elettorato sarà un crogiuolo di appartenenze politiche: leghisti, diessini, berlusconiani, prodiani, anarchici e soprattutto i delusi da Rifondazione comunista. E sarà anche un voto «contro». Dice Paola: «Il mio sì a Pecoraro è anche un no a Prodi e alla sua totale assenza di politica ambientale. Ma è anche un voto contro i Ds padroni della Cmc (la cooperativa vincitrice degli appalti Tav)». Altra frase ricorrente, talvolta pronunciata però in tono un po’ sconsolato: «Diciamoci le cose come stanno. A mi cul lì a l’è mai piasume (a me quello non è mai piaciuto) ma è l’unico che è venuto e ha detto esattamente quello che volevamo sentire, e io lo voto».

I rari prodiani. Lo scontro all’interno del centrosinistra valsusino è talmente alto che qualcuno teme per le primarie «brogli elettorali dei Ds e di Rifondazione in Val Susa. Controlleremo i diciannove seggi della valle». Ancora, «Adesso io tifo anche per Berlusconi se devo essere sincero!». Una voce fuori dal coro all’interno del popolo no Tav? «No! Io spero che cambino la legge elettorale in senso proporzionale così Prodi non sarà più il rappresentante di nessun partito!». «Lei per chi ha votato alle passate elezioni regionali?», chiedo. «Madama Bresso, chiudendomi il naso!».
In questi trenta chilometri di fondovalle, fatti di prati, acciaierie e capannoni, è difficile trovare un orgoglioso sostenitore di Romano Prodi. Nei bar, nei negozi, davanti alle fabbriche alla domanda diretta «Voterà per Prodi alle primarie?», sono pochissimi quelli che rispondono con un sì secco, convinto. Tra questi il presidente delle Comunità montana Bassa Valle Susa, il diessino Antonio Ferrentino, un protagonista storico della battaglia antitreno amatissimo dai valligiani, che testualmente dice: «Sono contento che il popolo no Tav voti il mio compaesano Alfonso Pecoraro Scanio leader degli amici Verdi… Io voterò invece per Romano Prodi. Sono in gioco gli interessi della nazione e non solo della Val Susa». Ed è anche curioso incontrare alcuni elettori del centrodestra pro treno che voteranno Prodi alle primarie «per non danneggiare gli interessi futuri della valle». Il loro ragionamento è semplice: «Berlusconi è spacciato e la Val Susa non può permettersi che quattro montanari e un demagogo ne blocchino il futuro. La Tav è fondamentale per il futuro dei nostri figli. Loro hanno deciso di votare per chiunque li sostenga? Qualcuno di noi farà la stessa cosa. Prodi vincerà le primarie, le politiche, ed è a favore del treno. Mi è sufficiente per votarlo».
Cambio scena. Superata Susa ed entrati nella zona alta della valle, la tensione si stempera e i timori sono tutti per «cosa faranno le teste calde di là sotto durante le Olimpiadi». Se a fondovalle le primarie sono vissute come un passaggio cruciale, da queste parti tornano a essere una cosa esotica, «per copiare gli americani». Nessuno si scalda e chi andrà a votare non sceglierà in base alla pregiudiziale Tav. Resiste qualche novello supporter di Pecoraro Scanio, deriso dai più e bollato come cuntabale (bugiardo). Il 7 ottobre, a pericolo di sgombero momentaneamente scampato, c’erano ancora persone nel presidio di Venaus. Volti tesi, giornali aperti sui tavoli. «Aspettiamo i politici cui daremo il voto delle primarie quando ci saranno i carabinieri da fronteggiare…», sibila una signora di mezza età, «le occasioni non mancheranno, anzi si conoscono già le date, il 18 e 31 ottobre ci saranno nuovi tentativi di sgombero». Nella baracca costruita per ospitare i presidianti c’è una stufa che dà tepore, tavoli e sedie da fiera paesana. Alle pareti articoli, poster, e una scritta che presto verrà rimossa: «Lasciate la politica voi ch’entrate».