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Mosca: il cappio di Bush sulla politica mondiale

di Carlo Benedetti - 21/01/2007

 

MOSCA. In Russia torna l’antiamericanismo dei tempi sovietici. Ma la colpa, questa volta, non è della propaganda rossa del Cremlino. Sono le dure immagini che provengono dall’Iraq che contribuiscono a far macinare i sentimenti di condanna e a far saltare i già precari equilibri di una coesistenza pacifica obbligata. In Russia sta quindi accadendo qualcosa di nuovo, di inedito. Perché non ci sono più le manifestazioni di piazza del periodo sovietico. Tutte ben organizzate e dirette dall’alto con le quali si esprimeva la condanna contro l’imperialismo americano. Erano i tempi del Vietnam, del Cile ... Ora non c’è nessuno che agita le folle, non ci sono i propagandisti del Cremlino che vanno a parlare nelle fabbriche e nei posti di lavoro. Eppure... monta la protesta. Che non si esprime ad alta voce, ma che porta la gente a ragionare, ad elaborare una propria posizione. E Putin - che sulla conduzione della politica estera si muove con pragmatismo, conscio del fatto che deve attraversare percorsi particolarmente accidentati - cerca di stare in sintonia con l’opinione pubblica interna. E così ai russi che vivono l’avventura irachena delle truppe di Bush attraverso la tv, offre ampi materiali di riflessione.

Le immagini sono quelle delle distruzioni operate quotidianamente dagli americani e i reporter russi che le commentano insistono sul tema della “presenza straniera”, sulla “occupazione delle città e dei villaggi”, parlando sempre più spesso di “resistenza popolare”. E su tutto piomba - ormai quotidianamente - la cerimonia della impiccagione di Saddam. E così quel cappio che avrebbe dovuto strozzare la “resistenza” irachena - portando nella botola non solo Saddam, ma tutta la sua gestione politica ed istituzionale - assume, in Russia, un valore ben diverso. Perchè proprio in queste ore il Cremlino si trova coinvolto in una operazione di revisione storica dovuta al fatto che i resti mortali di un “bianco” (che durante la guerra civile impiccò lungo la linea ferroviaria della “Transiberiana” centinaia di soldati dell’Armata Rossa) trovano ora una religiosa sepoltura, benedetti da Putin e dalla Chiesa ortodossa.

E allora: come è possibile restare in silenzio di fronte alle esecuzioni di Bagdad? Ecco che dure critiche giungono da Mosca nei confronti del governo iracheno per l’uccisione di Saddam e dei suoi collaboratori Barzan al-Tikriti (la cui testa è stata mozzata dal nodo scorsoio) e Awad al-Bandar. Ma le parole di condanna sono indirizzate soprattutto agli americani, a Bush. Mosca non nasconde la sua preoccupazione per quanto avvenuto e per quanto potrà avvenire. E secondo il portavoce del ministero degli Esteri russo le esecuzioni "non favoriscono la stabilizzazione della situazione nel Paese".

Da questa considerazione scaturisce una importante proposta politica e diplomatica che il vertice russo avanza al mondo intero. Secondo il Cremlino, infatti, "solamente un dialogo largo, paniracheno, che coinvolga tutti i gruppi politici e confessionali con l'assistenza dei Paesi vicini, inclusi Siria ed Iran, potrebbe normalizzare la situazione in Iraq".

Mosca, in pratica, propone una sorta di accelerazione storica con l’intento di porre fine alle vendette degli sciiti e bloccare, di conseguenza, l’escalation americana. Sa bene, tra l’altro, che quello che si è celebrato contro Saddam e i suoi è stato un processo politico con tutte le irregolarità e le faziosità che ne hanno caratterizzato le “udienze”. Mosca, in merito, ha conosciuto sulla sua pelle ben altri processi politici pianificati a tavolino e finiti con condanne a morte. Di qui le riflessioni di un Cremlino che mette da parte gli slogan sulla lotta al terrorismo e parla, invece, di dialogo. Comprende che gli Usa hanno fatto “un grande e tragico errore” entrando in Iraq e arrivando, di conseguenza, a creare un nuovo cratere in quell’immenso vulcano che unisce l’Asia all’Europa. Proprio in questa area geopolitica ed economica - dicono i diplomatici di Mosca - si è creata ora una base per nuove tensioni. E con l'impiccagione degli uomini di Bagdad si è offerta, di conseguenza, all’intero mondo islamico la possibilità di vedere nelle figure di Saddam e dei suoi diretti collaboratori, dei nuovi martiri. Gli Usa, di conseguenza, contribuiscono a rafforzare direttamente e indirettamente Al Qaeda e la Jihad, i ribelli dell'Iraq, gli estremisti di Hamas e di Hezbollah e gli stessi estremisti israeliani che soffiano sull’incendio del Medio Oriente.

Per frenare queste tendenze il Cremlino chiede un dialogo “paniracheno” e propone una collaborazione globale, politica e diplomatica, coinvolgendo, in particolare, Teheran e Damasco. Ma sarà Bush a rispondere dinanzi a questo, eventuale, consesso internazionale. Sarà il vero processo a chi ha voluto, organizzato, diretto e sancito le condanne nei confronti dell’Iraq intero. Si può quindi dire che, in pratica, Mosca opera per una conferenza che faccia anche luce su tanti e tanti avvenimenti di questi ultimi anni. E non è così un caso se molti osservatori russi concordano nell’affermare che prima dell’aggressione all’Iraq venne sviluppata una campagna di provocazioni e di menzogne. Non solo, ma anche lo svolgimento della guerra americana in Afghanistan troverebbe precise spiegazioni con le necessità “strategiche” della Casa Bianca-Pentagono-Cia di tenere sotto controllo un paese in cui dovrebbe passare un oledotto che, partendo dal Caspio, dovrebbe evitare il territorio russo. Chiari, in questo contesto, gli obiettivi dell’amministrazione Bush che sta cercando con tutti i mezzi di mettere al collo dell’Unione europea un cappio globale: quello dei suoi interessi, mascherati dalla cosiddetta “lotta al terrorismo”.