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Sierra Leone, storia di un disastro

di Biraghi - 22/01/2007

 
Storia di Alphonsus (da www.sierraleone.it): A Freetown “ il 15 febbraio del nuovo anno siamo stati svegliati dal rumore degli spari. Dopo cinque giorni i ribelli del Ruf sono entrati in casa. Hanno preso i ragazzi perché avevano bisogno di maschi giovani. Hanno portato via anche tre ragazze, e da quel giorno mia moglie e altre donne hanno cominciato a vestirsi da vecchie. Tra le cose più orribili che abbia mai visto, c'è quella gente con le mani e le braccia tagliate di netto e tutti quei cadaveri buttati sull'asfalto a Freetown. Il giorno che siamo partiti per Conakry abbiamo incontrato molta gente che scappava, fortunatamente non ci siamo mai imbattuti nei ribelli. Sapevo bene come riconoscerli: hanno tutti una piccola cicatrice sulle tempie, dentro la quale mettono una presa di cocaina, per essere ancora più violenti. .....Una volta ho parlato con uno dei ribelli. Avrà avuto 25 anni, e se avessi potuto ucciderlo con le mie mani l'avrei fatto, ma non ne ho avuto il fegato”. Alphonsus è fortunato: lui e i suoi sono vivi. Nella guerra civile, 50.000 sierraleonesi non ce l'hanno fatta a restare vivi, qualcosa come 17 volte le Torri Gemelle. Voi lo sapevate? Io no, i morti nel nostro tempo non sono tutti uguali. E altri 30.000 o poco meno hanno avuto mutilazioni di gambe, braccia e naso. E poi stupri, saccheggi, epidemie, storie di povertà disperata: non abbiamo fatto abbastanza perché non succedesse.

Un po' di storia:

- dopo il crollo dell'impero medioevale del Mali, la società in Sierra Leone è stata disarticolata dalla tratta degli schiavi

- a fine '700, gli inglesi abolizionisti fondarono Freetown come insediamento per schiavi liberati, provenienti dalla Giamaica e dagli Stati Uniti, e poi ne fecero il centro della colonia. I discendenti di questi schiavi oggi sono l'elite locale, i Krio.

- nel 1961, l'indipendenza. Al governo, i fratelli Margai, appoggiati dai popoli Mende del sud. Dal '68, prevale Siaka Stevens, appoggiato dal Nord del paese, e impone il regime a partito unico. Ma negli anni '80 l'economia peggiora, il sostegno a Stevens dei consiglieri cubani non può impedire la sua sostituzione con un altro autocrate (Momoh) nel 1985.

- nel 1992 colpo di stato militare di giovanissimi ufficiali (Strasser, Musa) e soldati non pagati dal corrotto regime di Momoh. Nel frattempo, nelle regioni interne, si sviluppa il RUF di Foday Sankoh, movimento ribelle senza ideologia, con qualche legame con la Libia e fortemente appoggiato dalla fazione liberiana di Charles Taylor. Il RUF agisce con estrema brutalità, in particolare recluta in larga misura “bambini-soldato” e se ne serve per spargere terrore con le atrocità. Sankoh riesce ad occupare le regioni ricche di diamanti e titanio. Un corpo di pace nigeriano (ECOMOG), inviato dalla Organizzazione per l'Unità Africana, non ottiene risultati. La giunta al potere sceglie di ingaggiare eserciti privati di mercenari angloamericani (Executive Outcomes e Sandline International), che contrastano efficacemente il RUF. Nel frattempo, il governo recluta fra i popoli del Sud la milizie “kamajor”, capaci di emulare il peggio del RUF

- 1996: nuovo colpo di stato (Maamada Bio) e poi elezioni quasi libere: vince un civile (Tejan Kabbah) e firma un accordo di pace col RUF. Ma l'esercito governativo teme di perdere potere e privilegi: il maggiore JP Koroma si ribella, scaccia Tejan Kabbah e si allea col RUF.

- 1998: torna l'ECOMOG per reinsediare Kabbah, ma il paese precipita di nuovo nella guerra civile, con massacri anche da parte dei pacificatori nigeriani, Freetown presa e perduta di nuovo dai ribelli, l'ONU che si sostituisce allo screditato ECOMOG (arrivano soldati persino dalla Mongolia).

- anni 2000: i ribelli sono finalmente costretti ad accettare un accordo di pace, anche per la caduta del loro grande sostegno, il presidente liberiano Taylor, e la morte di molti capi ribelli. In Sierra Leone non si combatte più o almeno non troppo; nelle ultime elezioni, è stata persino eletta presidente una donna. Comunque, il governo italiano sconsiglia ancora caldamente di andarci. E'stato istituito un tribunale per giudicare le atrocità. Però ha dovuto incriminare anche tre ministri del governo dei vincitori !

Che racconto complicato e confuso, che vicende insensate, starete pensando. A cosa serve leggere tutto questo? Non c'è significato, logica, senso politico. E pensate che non ho scritto tutto, sconfinamenti dalla Guinea, fazioni ribelli liberiane, giochi ambiziosi degli stati vicini.......... Eppure, non possiamo neanche voltare la testa dall'altra parte, ieri la Sierra Leone, oggi il Darfur, domani il paese X, mentre noi non ci badiamo. Forse, una certa coscienza civile di noi europei, un movimento d'opinione, una mobilitazione per dire basta! potrebbe costringere i nostri governi ad aiutare davvero l'Africa. E allora dobbiamo fare lo sforzo di cercare di capire qualcosa, di chiedersi il perché: vi scrivo cosa mi pare di aver capito (anche se mi rendo conto che sono possibili anche letture in parte diverse).

La tragedia nasce in gran parte da una estrema debolezza degli stati postcoloniali., ma la debolezza di oggi ha anche ragioni storiche: gli stati africani premoderni avevano un controllo diretto solo nelle regioni centrali ma, fra un “impero” e l'altro, vaste aree rimanevano “società senza stato”, senza strutture organizzative formali né istituzioni giudiziarie. Le potenze europee a fine ottocento si spartirono le terre tracciando righe sull'atlante, ma in molti casi il controllo sulle aree periferiche rimase a lungo molto debole, poiché si voleva spendere il meno possibile in colonia (ad esempio molte aree rimasero prive di strade). Perciò è difficilissimo che nasca oggi un sentimento politico “nazionale”. Inoltre, le potenze coloniali in generale si sono appoggiate alla gerarchia sociale preesistente (capi, anziani) e questo ha portato paradossalmente ad un irrigidimento di appartenenze etniche e identità tribali; tra l'altro, le società africane tradizionali avevano sì elementi di partecipazione egualitaria, ma non tradizioni “costituzionali” di pluralismo e limitazione del potere che possano svolgere un ruolo positivo nella cultura politica oggi.. Nella tradizione si trovano invece le radici di ciò che a noi appare corruzione diffusa nello stato, ma che in parte viene vissuta diversamente dalla popolazione. In effetti, si vede nel politico o nel funzionario statale l'erede attuale della figura del “patrono” tradizionale, ci si attende da lui come adempimento di un dovere il favoritismo verso i compaesani, che può essere la soluzione di una pratica o un posto nella polizia di stato. E sembra doveroso compensarlo con il dono in denaro.

Altre spiegazioni si trovano nella storia più recente. Per i primi decenni dopo l'indipendenza, la politica internazionale ha garantito lo status quo territoriale per tutti gli stati africani, anche se deboli e inconsistenti; essi quindi non sono stati costretti dalle minacce esterne a rafforzarsi o perire. Gli europei non avevano aiutato lo sviluppo di una borghesia imprenditoriale locale: l'elite postcoloniale, perciò, è fatta solo di politici e funzionari che controllano le risorse disponibili, che sono soprattutto aiuti internazionali e materie prime gestite in monopolio. In questa situazione, non c'è stimolo a creare un efficiente sistema fiscale: non è da lì che può venire la ricchezza. Il sistema porta invece naturalmente verso la personalizzazione del potere: in base alla personalità del leader, avremo despoti ragionevolmente illuminati (Senghor in Senegal o Kenyatta in Kenia, per esempio) o persino tiranni cannibali come JB Bokassa. Quando poi si riducono gli aiuti o cala il prezzo delle materie prime, il regime è destinato a crollare come un castello di carte.
Ma perché i conflitti politici diventano così spesso guerre civili e massacri? Finiti gli anni delle guerre di liberazioni dal colonialismo, oggi si combatte per aspirazioni alla secessione di una regione o di un'etnia - per riformare lo stato, contro un padre padrone despota - oppure infine per pura e semplice lotta di “signori della guerra” cioè “imprenditori e affaristi che impiegano la violenza come strumento principale per le loro attività economiche”.

Cosa si potrebbe fare perché tutto ciò non accada più? Si dovrebbe poter affermare, come fa il Manifesto di Euston: “ Se minimamente uno stato protegge la vita quotidiana dei propri cittadini (senza torturare, uccidere o massacrare la popolazione, e soddisfacendone i bisogni essenziali per la sopravvivenza), allora la sua sovranità va rispettata. Ma quando uno stato viola atrocemente la vita quotidiana dei cittadini, ha rinunciato alla propria sovranità e la comunità internazionale ha il dovere di intervenire e prestare soccorso. Quando si arriva alla disumanità, vige il dovere di proteggerne le vittime.” Purtroppo, fra gli interventi umanitari negli ultimi anni abbiamo fatto passare menzogne, politica di potenza, affari. Bisogna chiedere ai nostri governi europei di ricostruire una autorità morale alla comunità internazionale, di saper garantire a tutti i popoli che i loro diritti saranno rispettati. Bisogna essere fermi nel combattere i despoti, ma anche .respingere ogni unilateralismo.

A chi volesse approfondire, consiglio: Africa: gli stati, la politica, i conflitti - Carbone - Il Mulino 2005, da cui ho tratto molte di queste riflessioni.

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Fonte: www.biraghi.org