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Amato e la teoria delle maggioranze variabili: partitocrazia allo stato puro

di Carlo Gambescia - 06/03/2007

 

Giuliano Amato è uomo di notevole cultura e intelligenza politica. Altrimenti non sarebbe sopravvissuto, e bene, alla catastrofe del Psi craxiano. Certo, per alcuni, probabilmente, si dovrebbe parlare, più che altro, della sua furbizia politica... Ma non sottilizziamo, dal momento che è risaputo quel che vale (poco), nella media, la classe politica italiana. E Amato, tra l’altro apprezzato studioso di diritto pubblico e costituzionale, spicca su tutti gli altri…
Detto questo, non si può però fare a meno di criticare la sua intervista di ieri al Corriere della Sera Perché? Vi si teorizza, emulando i virtuosismi dialettici di un Aldo Moro, maggioranze variabili sulle singole misure. Ecco la sua proposta (riassumiamo): all’Italia in questo momento serve un governo stabile, e la stabilità, visto che il governo non ha i numeri, può essere assicurata dalla formazione di maggioranze ad hoc sui singoli provvedimenti (inclusive, se d’accordo, anche dell’ opposizione).
Che cosa dire? Che, con questa idea, si torna agli anni più bui della Prima Repubblica. Non a caso, Amato cita un saggio di Carlo Lavagna (Maggioranza al governo e maggioranze parlamentari, 1974), “suo maestro”, dove si giustifica questo criterio delle doppie maggioranze, in nome appunto della “governabilità”.
Ma che cos’è la “governabilità? Ecco il punto dell’intera questione. Un problema che Amato si guarda bene dall’affrontare. Dando per scontato, così almeno lascia intendere, che la governabilità debba sempre coincidere con la durata dei governi democraticamente eletti. Più si dura, più si dà prova di governabilità, a prescindere dall’utilità sociale dei provvedimenti presi. Principio che non è giuridico, ma neppure politologico e sociologico. E allora di che cosa si tratta? In pratica, dietro l’idea di “governabilità”si nasconde un criterio di tipo partitocratico. Che assegna, per usare una tipologia vecchia ma sempre efficace, al paese legale (il cui potere risiederebbe nei partiti...) di decidere ciò che sia bene per il paese reale (il popolo degli elettori). Secondo Amato, i cittadini devono limitarsi a votare e delegare… Per poi, purtroppo, subire tutto e il suo contrario, in nome di una governabilità che coincide quasi sempre, guarda caso, con i tempi tecnici per maturare la pensione parlamentare. Infine, Amato assegna al capo dello Stato, il compito di stabilire quando le “maggioranze variabili” stiano andando “oltre un certo limite” (notare la vaghezza). Per farla breve: si rimette il potere (di scioglimento), costituzionalmente decisivo, alla discrezionalità di una figura, il Presidente della Repubblica, che è espressione - visto che non è eletto direttamente dal popolo - di accordi partitocratici. Dove servirebbero “regole trasparenti”, Amato, grande difensore della “trasparenza giuridica” si guarda bene dal chiederle.
Quest’ultima decisione, se ci si passa l’espressione, è la classica ciliegina sulla torta partitocratica. Ecco un altro esempio del “riformismo” del centrosinistra.